Questo servizio, firmato con il collega Angelo Mincuzzi con il quale sto seguendo per il nostro giornale l’indagine sulla Lega Nord, è stato pubblicato sul Sole-24 Ore di domenica 8 aprile. Lo ripropongo per quanto avessero perso la lettura sul quotidiano.
Una banca d’affari in proprio con capitali privati. Capofila dell’operazione Stefano Bonet, indagato per riciclaggio e appropriazione indebita aggravata nell’inchiesta che ha terremotato la Lega Nord e che attraverso il suo avvocato Franco Giomo dice di avere “esclusivamente pagato delle prestazioni fatturate da società o da professionisti che erano dei consulenti commerciali, tra cui anche Francesco Belsito, perché lo introducessero e per lui dessero garanzie di affidabilità presso grandi aziende soprattutto del settore della sanità e delle forniture navali».
La Procura e la Dia di Reggio Calabria stanno approfondendo questa ipotesi investigativa, partendo dai riscontri del Comando Carabinieri per la tutela dell’ambiente (Noe) che nell’informativa trasmessa il 30 marzo alla Procura di Napoli scrive che Bonet è “un soggetto spregiudicato, tecnicamente in grado di sviluppare investimenti e operazioni finanziarie complesse e compartimentale a livello internazionale” sui quali sono stati veicolati flussi di denaro ingenti anche per conto e nell’interesse della Lega, ottenuti dall’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito. Denaro – come affermano le Procure di Reggio Calabria, Milano e Napoli – in parte di provenienza illecita.
E’ proprio Bonet che, in una telefonata del 13 febbraio, fa riferimento alla banca d’investimento, a causa dell’inaffidabilità del promotore finanziario Paolo Scala che vive e opera a Cipro. Alternando italiano e veneto, Bonet, riferendosi proprio a Scala, dice che “perché, perché mi da quel giorno lì, premesso che non te da garanzia di sicurezza, per cui se dovesse continuare così dovrei avere anche un avvocato internazionale con i contro coglioni perché…valuto comunque di sospendere tutte le operazioni e prendo in considerazione quello che serve a noi, cioè costruire la banca di investimenti che opera su capitale privato, capito?”. E poi aggiunge: “…questo è un po’ lo scopo, che ormai a questo punto funziona così”.
E su quel “noi” sono ora accesi i fari dei pm che vogliono capire fino in fondo – e da questo punto di vista saranno fondamentali i riscontri delle Fiamme Gialle che il 3 aprile hanno perquisito lo studio e l'abitazione di San Donà di Piave di Bonet – su quali capitali privati avrebbe eventualmente potuto contare Bonet e con chi altri avrebbe potuto portare a compimento il piano, avendo comunque chiaro che l’asse con Belsito, indagato dalle Procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria per truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e appropriazione indebita di denaro, era privilegiato e che l’ex tesoriere della Lega Nord, a sua volta, aveva un filo doppio con Romolo Giraredelli, che la Procura di Reggio Calabria reputa la longa manus della cosca De Stefano per gli investimenti all’estero.
Proprio la Procura di Reggio, in questi giorni – sta cercando di vedere se e come questo tassello può incastrarsi nel puzzle che sta venendo alla luce nel processo Meta. Il 30 marzo l’ex comandante dei Ros di Reggio Calabria, Valerio Giardina, ha infatti fatto delle dichiarazioni esplosive nel corso del processo Meta. Rispondendo proprio alle domande del pubblico ministero Giuseppe Lombardo, l'ufficiale dei Carabinieri, ha ricordato la necessità della cosca Condello di avere autonomia finanziaria e che a disposizione ci sarebbero stati 50 milioni che potevano essere riversati per costituire una società finanziaria nuova di zecca.
E nel quadro che – faticosamente gli inquirenti stanno cercando di comporre – resta da vedere come e se si incastreranno le tessere delle piste estere che, hanno scoperto i pm reggini, ad un certo punto riunisce i faccendieri vicini o organici alla Lega a quelli vicino o organici alla cosca De Stefano.
Sugli affari esteri di Belsito e soci indaga anche la Procura di Milano. Nel decreto di perquisizione del 3 aprile i pm milanesi scrivono infatti che «Belsito aveva chiesto il supporto di una società fiduciaria con sede a Lugano, la Doge SA, per la predisposizione di strutture societarie attraverso le quali giustificare il trasferimento all’estero di denaro detenuto in Italia». La Doge era già incappata nelle maglie della giustizia.