Devo essere sincero. Ho atteso diversi giorni prima di scrivere alcune riflessioni successive alla pubblicazione del primo lavoro della Commissione parlamentare antimafia di San Marino, dato in pasto all’opinione pubblica locale (e no) il 18 settembre.
Ben 112 pagine che riservano qualche sorpresa, al netto del fatto che i commissari della Commissione consiliare antimafia si sono sforzati di aizzare gli animi (perché i politici e i professionisti chiamati in causa non sono stati auditi? E perché, chiusa la relazione, spuntano ora come funghi documenti e dichiarazioni – si veda l’Informazione di San Marino – che avrebbero potuto essere agevolmente acquisiti prima se solo quelle persone fossero state ascoltate? E dire che in un anno di lavoro – con i poteri di inchiesta – si sarebbe potuto scrivere un’enciclopedia altro che 112 pagine, molte delle quali zeppe di cose già note e scritte, a cominciare dagli scavi proprio sull’Informazione di San Marino dei miei bravi amici David Oddone e Antonio Fabbri).
Di certo nella relazione si rileva un’ ipocrita premessa (e conclusione): che la mafia a San Marino sia scoperta recente e, perlopiù, circoscritta alla camorra. Rectius: un solo clan, che oltretutto in Campania conta quanto il due di coppe quando a briscola regna denari: Vallefuoco.
I limiti della Commissione consiliare – e di questo gli va dato onestamente atto – è stata del resto avallata ab origine. Questa era la mission affidata ai Commissari il 27 settembre 2011 ma era proprio questo il peccato originale: partire dalla laurea senza aver neppure sostenuto l’esame per la primina.
Insomma è come se a uno studente di prima elementare il maestro dicesse il primo giorno di scuola. “Apri il quaderno e scrivi. Tema: La teoria della relatività alla luce delle recenti missioni della Nasa su Marte”. “Ma signor maestro non so neppure scrivere il mio nome. E’ il mio primo giorno di scuola. E poi perché devo scrivere del naso di Marzio. Maestro cattivo, voglio la mamma!” “Zitto e scrivi, altrimenti un bel due. Anzi zero, ciuccio di un asino che non sei altro”.
Il paradosso è che in quelle 112 pagine ci sarebbe anche qualche spunto interessante (come ad esempio quello sulla speculazione edilizia governata da capitali sporchi o quello sui rapporti con la politica e la classe burocratica) ma tutto viene – a mio modesto parere – offuscato da quella mission che ha fatto partire a razzo una Commissione a stento in grado di camminare e ha ingenerato nell’opinione pubblica l’idea che il marcio sia o possa essere circoscritto a quella vicenda.
Niente di più sbagliato e del resto questo umile e umido blog sono anni che dà conto di quanto profondo sia il malaffare sul Titano, con decine e decine di articoli che hanno puntato innanzitutto il dito sulla finanza. Come sembra dimostrare proprio il caso Fincapital la vera mafia è finanziaria e – sempre a mio modesto parere – proprio l’analisi sui perversi rapporti che spesso sono (stati) intrattenuti dai circuiti bancari e finanziari con i mafiosi, dei quali ospita(va)no o ripulivano i denari, sarebbe stato un convincente punto di partenza. Capisco, però, che una Repubblica che si fonda sul segreto bancario (talvolta borderline o comunque ancora da chiarire come nel caso che descrivo oggi ed è per questo che ne rendo edotti i lettori) non avrebbe potuto (e non potrà mai) osare tanto. E allora si spara su Fincapital.
LA FAMIGLIA ARENA
Io però sono discolo e allora – anche per zittire gli imbecilli che pensavano che passassi la mia vita a scrivere di vicende sammarinesi come se niente altro avessi da fare nella mia vita e per far tacere gli stessi imbecilli che pensavano che qualche politicastro locale mi avesse chiesto di non scrivere più su San Marino, cosa che se fosse stata vera mi avrebbe spinto a scriverne ogni giorno – vi racconto un nuovo episodio della sagra. Ce l’avevo – come altri episodi – in canna da tempo ma c’è un tempo per ogni cosa.
Bene. Esiste una cosca, si chiama Arena, che a Isola di Capo Rizzuto (Crotone) tanto può (quasi tutto) e tanto dispone (quasi tutto).
Un rampollo della famiglia Arena (ripeto: famiglia e non cosca) è Nicola, nato a Isola di Capo Rizzuto il 18 luglio 1964. Costui ha – scrivono testualmente i pm della Procura distrettuale antimafia di Catanzaro Paolo Petrolo e Salvatore Curcio a pagina 43 del decreto di sequestro preventivo di urgenza del parco eolico, 48 pale a Isola di Capo Rizzuto, datato 24 luglio 2012 – legami di parentela con i più noti esponenti della cosca mafiosa degli Arena. Nicola è figlio di Raffaele Arena, fratello del più noto boss Nicola (classe ’37), ritenuto il capo storico dell’omonima cosca, attualmente detenuto in regime di carcere duro per associazione mafiosa ed estorsione.
Nicola Arena (quello del ’64) è inoltre cugino di Carmine Arena, classe ’59, ucciso in un agguato mafioso nell’ottobre 2004 e cugino di Pasquale Arena, che la Procura distrettuale antimafia di Catanzaro ritiene il deus ex machina del Parco eolico (n.b. a fondo pagina con aggiornamento al 19 febbraio 2015) “Wind farm Icr” di Isola di Capo Rizzuto. Parco dietro il quale – scrivono i pm a pagina 21 del decreto di sequestro preventivo del Parco avvenuto il 24 luglio – “c’è l’interessamento fattivo della famiglia Arena…pur non rivestendo ciascuno di loro alcun ruolo ufficiale nelle compagini societarie delle imprese coinvolte nella realizzazione del progetto”. Con l’aggiornamento che leggerete a fondo pagina vedrete che la storia assumerà ben diversi contorni e di questo giornalisticamente e deontologicamente bisogna dar conto.
L’INCROCIO CON SAN MARINO
La richiesta di realizzazione del Parco Wind Farm Icr era stata originariamente presentata il 27 settembre 2005 al Comune di Isola di Capo Rizzuto dalla società sammarinese Seas srl rappresentata (ora come allora scrivono i magistrati) dal sammarinese Massimiliano Gobbi.
Il 25 gennaio 2006 Seas srl * comunicava al Comune il subentro, nella realizzazione e gestione del parco eolico, della società “Venti Capo Rizzuto srl”.
L’allora commissario prefettizio del Comune di Isola di Capo Rizzuto – Antonio Ruggiero – solleverà non poche perplessità sulle modalità di comunicazione e sull’assenza di qualunque spiegazione del subentro nel dettaglio e, non a caso, il 26 gennaio 2006 lo stesso Ruggiero revocherà il parere favorevole precedentemente espresso, in attesa di una nuova e più approfondita trattazione.
Non è un caso – dunque – che nel 2008 la Procura di Catanzaro avvierà un procedimento penale estremamente complesso anche per gli incroci societari e i prestanome, che vede indagati, oltre ai sammarines i Massimiliano e Roberto Gobbi, altre 29 persone tra cui Pasquale Arena, i due Nicola Arena e Carmine Megna. I due Gobbi, gli Arena e Megna sono accusati dalla Procura di Catanzaro di aver effettuato quell’investimento nel settore dell’energia rinnovabile, per conto e nell’interesse della cosca Arena. Questo è quanto – testualmente – si legge nel decreto di sequestro del 24 luglio (SI VEDA NOTA BENE A PIE’ DI PAGINA che però demolisce questa accusa, si sottolinea ancora una volta con l’aggiornamento odierno e tempestivo)
SEQUESTRO O NO?
Sequestro sostanzialmente confermato il 21 settembre, dunque pochi giorni fa secondo quanto appreso dall’ agenzia di stampa Ansa in ambienti giudiziari. I giudici del Tribunale della libertà avrebbero dissequestrato quote societarie e conti correnti bancari e postali, mentre il parco eolico resterebbe sotto sequestro. Per quanto riguarda Carmine Megna il tribunale della libertà ha disposto il dissequestro delle quote societarie della Purena srl e dei conti correnti bancari e postali.
Gli avvocati di Megna – Piero Chiodo e Carmine Mancuso – la pensano diversamente. Secondo loro il Tl tribunale della libertà di Catanzaro ha accolto totalmente il riesame della difesa, annullando l’intero decreto di sequestro del Gip del parco eolico. “Ciò si evince – dicono – dalla formulazione letterale dell’ordinanza del tribunale della libertà del 18 settembre nel cui dispositivo si legge testualmente che ‘annulla l’impugnato decreto e per l’effetto revoca la misura in atto applicata, disponendo la restituzione di quanto allo stesso sequestrato (quote societarie della società Purena srl, rapporti bancari e postali in essere sul territorio nazionale allo stesso intestati). E’ del tutto evidente che l’annullamento è relativo al sequestro dell’intero complesso aziendale del parco eolico e alle sue pertinenze, anche se chiaramente è del tutto corretto nei confronti del Megna il provvedimento del Tdl di restituzione delle quote societarie e dei rapporti bancari ed aziendali intestati a quest’ultimo in quanto allo stato soltanto il Megna ha proposto riesame al Tdl”.
Gli avvocati rilevano inoltre che “diversamente argomentando, come sostenuto da ambienti giudiziari, la formulazione del dispositivo avrebbe dovuto specificatamente parlare di annullamento parziale del decreto di sequestro, con l’effetto paradossale di mantenere il sequestro in capo a taluni soggetti, pur nella consapevolezza del venir meno dei presupposti giuridici sottesi all’emissione del provvedimento di sequestro stesso. E’ evidente pertanto che tutti gli altri coindagati, che ancora a tutt’oggi non hanno proposto il riesame, potranno beneficiare del provvedimento ottenuto dalla difesa del Megna e ciò è quello che ragionevolmente si auspica“.
CONTI CORRENTI
Orbene queste vicende le ho (parzialmente) ricostruite per due motivi: 1) per far capire il complesso contesto nel quale ci muoviamo e i suoi recenti sviluppi; 2) per ricordare che sul Titano sono conosciute dal 2008 e che devono essere necessariamente seguite perché di mezzo ci sono società e cittadini sammarinesi. Ci siamo? Giusto? Giusto.
E allora vediamo cosa succede nell’anno domini 2012, vale a dire 4 anni dopo un’indagine e un procedimento che – per quanto fino a giudizio e sentenza passata in giudicato vede tutti innocenti – dovrebbe indurre a mio avviso le banche sammarinesi ad una grandissima attenzione nei confronti dei titolari (indagati) dei conti correnti. Parlo di vigilanza insomma al netto – ripeto – che la storia subisce aggiornamenti continui e dunque non è stata ancora scritta la parola fine alla vicenda giudiziaria.
Un’attenzione che deve essere continua e supportata dalle forze politiche e dalla classe dirigente di quel Paese. Tutti sono al corrente di queste vicende tanto che Roberto Gobbi, il 5 ottobre 2011, dichiarò: “Non ci hanno avvisato su nessuna rogatoria, l’abbiamo saputo dai giornali. A noi non è arrivato alcun avviso di garanzia. Dal 2005 ci sono state indagini con chi aveva a che fare con tutte le energie alternative. Chi ha sgarrato finito sotto processo, gli altri lavorano”. Intanto, però, il 12 luglio 2012, le autorità giudiziarie sammarinesi, hanno disposto – a poche ore di distanza dal sequestro del Parco che vale centinaia di milioni – il sequestro della società Seas.
LA COLLABORAZIONE TRA AUTORITA’
Il 29 novembre 2011 la Polizia giudiziaria di Catanzaro (nota 379322/11) ha comunicato alla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro l’esito degli accertamenti sulla documentazione trasmessa dall’Autorità giudiziaria di San Marino. E cosa ha scoperto?
Che in una banca del Titano (chissenefrega quale anche se lo so, anche perché non è assolutamente coinvolta nella vicenda) Nicola Arena classe 1964 ha due conti correnti tuttora attivi (almeno, pare di capire, al 29 marzo 2011, data alla quale si fermano le comunicazione delle autorità sammarinesi alla Procura di Catanzaro). Arena – dunque – una parte dei suoi soldi li tiene a San Marino secondo le comunicazioni tra magistrature. La Commissione cosa ne pensa? Si badi che è una domanda e non un atto di accusa.
Nel 2007 si è visto accreditare 125.960 euro e nello stesso anno ha acquistato titoli per 115.013 euro, ha prelevato o movimentato a vario titolo 337 euro, con un saldo contabile positivo di 10.610 euro.
Nel 2008 l’accreditamento – per vendita di titoli o interessi maturati – lievitava a 540.454,15 euro. I titoli acquistati salivano a 497.413,92 euro e – al netto di movimentazioni e addebiti per 30.664, 88 euro – il saldo contabile positivo era di 19.005,35 euro.
Nel 2009 l’accreditamento è stato di 75.187,55 euro, gli addebitamenti pari a 41.122,32 euro, per un saldo contabile positivo di 53.070,58 euro.
Nulla nel 2010: solo addebitamenti per oltre 57mila euro e saldo contabile di poco superiore ai 5mila euro e – fino al 29 marzo – il 2011 vedeva lo stesso saldo contabile dell’anno precedente.
ANCHE MEGNA SI TROVA BENE A SAN MARINO
Carmine Megna ha un conto corrente aperto (almeno al 29 marzo 2011 secondo i pm) e un altro acceso il 22 ottobre 2010 e chiuso, senza movimentazioni, il giorno dopo. Ha anche un deposito titoli vivo e vegeto (sempre al 29 marzo 2011).
Nel 2007 un accreditamento per 54.050 euro e debiti per poco più di 40mila. Nel 2008 accreditamenti per 176.495 euro e addebiti per 165.244,45 euro. Nel 2009 accrediti per 30.075,85 euro e addebiti per 14.165,34 euro. Nel 2010 zero accrediti e addebiti per 16mila euro. Nel 2011 (anche in questo caso fino al 29 marzo) zero su tutti i fronti e saldo positivo per 13.656,46 euro.
LE CONSIDERAZIONI DELLA PROCURA
Vi tralascio molte considerazioni della Procura a pagina 138 del decreto sui bonifici in entrata dei due e veniamo al dunque. “La causale ufficialmente riportata nei due bonifici in questione
* TRATTO DAL CORRIERE DELLA CALABRIA DEL 19 FEBBRAIO 2015
ISOLA CAPO RIZZUTO L’ordinanza del gip di Catanzaro,
Gabriella Reillo, che dispone il dissequestro della società proprietaria
del Parco eolico di Isola Capo Rizzuto, di fatto sancisce la fine
dell’inchiesta che ne riconduceva la proprietà in capo a esponenti del
clan mafioso degli Arena. La svolta, come detto, arriva con l’ordinanza
emessa dal gip che, di fatto, smonta ogni quadro accusatorio: «Ipotesi
che all’esito –scrive, infatti il giudice delle indagini preliminari –
di approfondite indagini anche economiche svolte con rogatorie
internazionali non hanno avuto alcun riscontro». Secondo il gip, «dagli
accertamenti eseguiti in Germania risulta che i fondi per la
realizzazione del parco eolico Wind Farm di Isola Capo Rizzuto sono
stati erogati dalla HSH Nordbank con esclusione di finanziamenti occulti
riconducibili alla consorteria degli Arena di Isola Capo Rizzuto e
dell’ipotizzato reato di riciclaggio e che in relazione alla “Vent1 Capo
Rizzuto” non vi sono elementi per ipotizzare la riconducibilità della
società ad Arena Pasquale cl.’53». Insomma, dopo sei anni di indagini ci
si ritrova con una ordinanza che esclude «l’ipotesi di impiego di
capitali mafiosi», così come esclude «che gli indagati, soggetti
stranieri ed incensurati, fossero a conoscenza del fatto che Pasquale
Arena classe 1953, Nicola Arena classe 1964 e Carmine Megna, anch’essi
incensurati, fossero gravati da “precedenti di polizia” che da soli non
consentono l’applicazione di misure di prevenzione nei loro confronti».
Nella sua ordinanza demolitoria, poi, il gip Gabriella Reillo aggiunge
che «Arena Pasquale, Arena Nicola classe 1964 e Megna Carmine, erano
portatori di interessi personali ed autonomi nella realizzazione del
parco eolico nella previsione di un guadagno economico derivato dallo
svolgimento di ruoli e funzioni lavorative», laddove invece, le indagini
non sono riuscite ad andare oltre il «mero sospetto del collegamento
dei due Arena con lo zio Arena Nicola classe 1937.
E ciò sulla
scorta dell’accertamento economico che ha escluso investimenti illeciti e
della verifica positiva ed innegabile dell’espressa volontà di Arena
Nicola classe 1964, di tenere lontano lo zio dall’attività
imprenditoriale in questione». Sempre secondo il gip, infine, le
indagini hanno «consentito di verificare appieno che la formale
estromissione di Arena Nicola classe 1964 e Megna Carmine dalla
compagine societaria era stata suggerita dalla necessità di difendere la
società dal sospetto di cointeressenze mafiose, così come ipotizzato
dal clamore mediatico che aveva accompagnato alcune inchieste
giornalistiche».
Inevitabilmente, sulla scorta di tale
pronunciamento del gip, la difesa ha ora formalizzato una richiesta al
Procuratore distrettuale di Catanzaro tendente ad ottenere «l’immediata
archiviazione del procedimento in relazione a ciascuna e tutte le
posizioni investigate» Nell’istanza, prodotta dall’avvocato Giancarlo
Pittelli, legale della società che ha la titolarità del parco eolico di
Isola Capo Rizzuto per averla acquistata dai fratelli Arena, si
sottolinea l’urgenza dell’archiviazione per scongiurare «il rischio
concreto e imminente della definitiva cancellazione di un’azienda
produttiva, in ragione delle conseguenze disastrose di un’ipotesi
investigativa rimasta priva di qualsivoglia conferma ed, anzi,
puntualmente smentita da acquisizioni probatorie di inequivoca portata».
E giusto per non restare nell’equivoco, ecco che l’avvocato Pittelli
ricorda che «la s.r.l. Vent1 Capo Rizzuto si trova attualmente in stato
di decozione prefallimentare.
E ciò a seguito dell’avvio
dell’inchiesta con l’emanazione del provvedimento di sequestro
preventivo d’urgenza del luglio 2012 (dapprima revocato e
successivamente riadottato) e dell’immediata spedizione, da parte del
prefetto di Crotone, dell’interdittiva antimafia che ha determinato
l’inevitabile sospensione e la successiva revoca del contratto
intrattenuto con il Gse avente ad oggetto la corresponsione degli
incentivi alla produzione (certificati verdi)». Un danno che la difesa
stima in «diverse decine di milioni di euro di mancati introiti, senza
considerare il debito residuo nei confronti dell’Istituto bancario
finanziatore (HSH North Bank) d’importo pari a circa duecento milioni di
euro. E ciò senza procedere a valutazioni economiche coinvolgenti altri
e diversi aspetti della vicenda». E qui sta il punto: cosa conviene più
ai titolari della società proprietaria del dissequestrato parco eolico?
A sentire le cattiverie che circolano, conviene che la loro istanza
venga respinta e l’inchiesta portata avanti con una richiesta di rinvio a
giudizio, nonostante la stroncatura già anticipata dal gip. Un caso
scolastico di errore giudiziario “pro reo”, se vogliamo.
È proprio
di questo che si preoccupa (e si occupa) la commissione Gratteri nel
rivedere il meccanismo di utilizzo dei beni sequestrati. Se invece di
bloccarne il funzionamento con interdittive e affidamento a curatori che
spingono le aziende verso il fallimento, le si mettesse a regime
avremmo, nel caso la confisca vada a buon fine, un bene pubblico
produttivo e utile alla comunità, nel caso di un proscioglimento la
restituzione dell’azienda senza alcun danno e quindi senza la
possibilità che sia l’erario a dover rimborsare danno e mancati guadagni
che è come dire, per il cittadino in cerca di giustizia, la beffa è il
danno. In questo caso anche ingente.