Tanti i meriti della ricerca ricerca “Gli investimenti delle mafie”, commissionato dal Viminale al centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica di Milano, che viene presentata oggi in ateneo (rimando ai miei pezzi odierni sull’home page del sito del Sole–24 Ore per una lettura globale della ricerca).
In primis un’analisi su 20 anni (1983-2012) di imprenditoria mafiosa. L’equipe capitanata dal professor Ernesto Savona ha messo sotto la lente 1.301 imprese confiscate alle organizzazioni criminali. Ebbene il settore “costruzioni ed estrazioni” è quello privilegiato innanzitutto da Cosa Nostra (oltre il 40% delle confische di imprese ai clan calabresi opera in questo ambito) e da camorra e ‘ndrangheta (con quote che si aggirano intorno al 20%).
La ‘ndrangheta invece preferisce il commercio all’ingrosso e al dettaglio (insomma, grande distribuzione e negozi) anche se viene superata anche in questo campo da un’altra organizzazione mafiosa: la camorra.
Per il resto l’imprenditore mafioso si butta, nell’ordine, nel turismo e ristorazione e nell’agricoltura.
Altro merito della ricerca, collegato al primo, è quello di aver svelato, provincia per provincia, proprio la mappa del rischio di infilitrazioni mafiose nel settore delle costruzioni. Nel nord e nel centro nord il rischio è stato calcolato “basso” o “medio basso” mentre nel Lazio e in Abruzzo è stato catalogato “medio-alto”, così come anche, a sopresa, nelle province di Trento, Imperia, Aosta, Pistoia e in diverse province sarde.
Le soprese però non finiscono qui perché il rischio di infilitrazione se è “alto” nelle province di Caserta e Napoli oltre che in tutte quelle della Sicilia (ecezion fatta per quella di Siracusa dove è “medio-alto”) e in tutta la Calabria, lo è anche nelle province di Foggia e Lecce. A testimonianza che la Sacra Corona unita non dorme.
r.galullo@ilsole24ore.com