Una mia prima ampia inchiesta sull’emergenza ambientale al Sud è stata pubblicata l’11 gennaio sul Sole-24 Ore (ne seguirà un’altra). La ripropongo per quanti non avessero potuto leggerla sul quotidiano.
Il copione rischia di ripetersi: agli arresti nelle società che gestiscono il ciclo integrato dei rifiuti segue l’emergenza ambientale e la demagogia: strade piene di immondizia e partiti a cavalcare l’onda del malcontento popolare. Il filo rosso che tiene assieme questo quadro è uno solo: la criminalità organizzata a braccetto con la cattiva amministrazione della cosa pubblica.
Così è sempre accaduto, così potrebbe ripetersi nell’alto jonio etneo, dove la Dia di Catania, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, ha arrestato 27 persone. L’ipotesi è che Cosa nostra attiva nel comprensorio si sia pesantemente infiltrata nella gestione dell’appalto bandito dall’Ato (Ambito territoriale ottimale) Ct1 Jonioambiente. Una mazzata in più in una regione, che convive già da mesi con l’emergenza nelle strade di Agrigento e Palermo, invase dai cumuli di rifiuti.
Ad entrare questa volta in gioco è stata, secondo le ipotesi investigative, la cosca mafiosa dei Cintorino di Calatabiano, a sua volta consorziata con il gruppo dei cursoti catanesi ed entrambi federati al potente clan dei Cappello. Ma il gruppo criminale poco avrebbe potuto se non avesse potuto contare su funzionari e amministratori. “E’ emersa l’assenza di controlli sostanziali – dichiara il direttore nazionale della Dia Arturo De Felice – che avvenivano solo formalmente e con debito preavviso nei tempi e nei modi. Una situazione aggravata dal fatto che in più circostanze, laddove venivano individuate delle circostanziate irregolarità, le autorità competenti evitavano la contestazione degli addebiti, rivolgendosi per la risoluzione del problema a Roberto Russo, ex responsabile tecnico-operativo della società Aimeri Ambiente, che opera nel ciclo dei rifiuti nell’area ionica-etnea e che si è aggiudicata l’appalto bandito dalla Ato Ct1 joniambiente per quel comprensorio e, al tempo stesso, esponente di spicco del clan mafioso dei Cintorino”. La società Aimeri, ha smentito qualunque coinvolgimento nella vicenda e ha annunciato che si costituirà come parte lesa in un eventuale processo.
Il filone più importante di questa indagine è quello che, al momento, resta dietro le quinte: le condotte dei pubblici amministratori e la disponibilità manifestata, secondo l’accusa, dalla società Aimeri nel favorire lavori e assunzioni, soprattutto a tempo determinato, di personale. Anche in questo caso la società smentisce tutto.
In Sicilia, del resto il copione si ripete da talmente tanto tempo che la relazione conclusiva sulla Sicilia della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, del 2010, recita testualmente: “Il settore dei rifiuti è organizzato per delinquere. Il rifiuto, in questo paradossale sistema, è esso stesso la ricchezza e come tale va conservato e tutelato affinchè non si disperda. Laddove fosse minimamente efficace un’attività programmatica di controlli preventivi, l’intero sistema crollerebbe”.
E’ tutto il sud, comunque, ad essere una polveriera che coniuga indagini, arresti ed emergenza ambientale. La prossima settimana la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti si occuperà della Campania e Basilicata dove i traffici criminali e l’inerzia della politica si riflettono sulle emergenze che si ripetono con frequenza sospetta (in realtà poi l’audizione è saltata). In Campania forse è persino superfluo ricordare cosa accade a Napoli e quali siano gli interessi della camorra legati all'emergenza ma quel che preoccupa è che ormai anche Puglia e soprattutto Calabria hanno iscritto stabilmente il tema in agenda. In quest'ultima regione il commissario straordinario Vincenzo Speranza da mesi sta rincorrendo le falle che si aprono da Catanzaro a Lemezia passando per Reggio Calabria: discariche piene e 'ndrangheta che soffia sul fuoco. A Reggio, dopo le inchieste della Procura che hanno investito la società di gestione ambientale, le strade si sono riempite di immondizia. Un'altra coincidenza.
Ma il tema senza dubbio più interessante – al netto delle contingenze – è quello che lega l’emergenza ambientale al famelico potere politico elettorale.
E’ il 24 giugno 2011 quando un collaboratore di giustizia, parlando con un magistrato della Procura di Reggio Calabria che lo mette a verbale, dichiara in merito alla Leonia, la società pubblico-privata che nel capoluogo gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti: “Le assunzioni avvengono a seguito di una vera e propria lotta politica: l’ex assessore …omissis…ha fatto assumere moltissimi soggetti dalla Leonia spa e dalla Multiservizi spa in cambio di voti…”. Questa dichiarazione è stata allegata dal pm antimafia Giuseppe Lombardo all’indagine del 6 ottobre 2012 sulla Leonia, pervasa secondo l’accusa dall’infiltrazione dei clan Condello, Libri e Tegano. Nell’ordinanza firmata dal Gip Domenico Santoro si legge che “…si può ritenere, senza tema di smentite, come le società miste abbiano rappresentato uno dei poli di attenzione della ‘ndrangheta, finendo con il rivelarsi strumento (l’ennesimo) mediante il quale la criminalità organizzata ha infiltrato (sarebbe meglio, forse, dire ha fatto propria) l’economia cittadina”.
Anche se tutta da provare è solo l’ultima dichiarazione di un pentito di mafia che svela l’intreccio che esiste, al sud ma non solo, tra le società che si occupano di igiene ambientale, le mafie e il potere politico. Puntualmente si verifica che – sotto elezioni, siano esse politiche o amministrative – scoppino le emergenze che portano le strade ad essere invase di rifiuti, le discariche stracolme, i dipendenti a marciare per mantenere un posto di lavoro e i politici a cavalcare l’onda del malcontento.
Accade ora che le elezioni politiche sono alle porte, accadde, in particolare in Campania dove la ferita è più in profondità rispetto al resto del Mezzogiorno, in coincidenza con le elezioni politiche, comunali e regionali che si sono verificate dal 1994 in avanti. Lo stato di “calamità ambientale” si aprì ufficialmente l’11 febbraio 1994 con il Governo Ciampi (le elezioni politiche furono il 27 e 28 marzo), per proseguire con gli Esecutivi Dini, Prodi, D’Alema, Amato e Berlusconi. In mezzo a questi 19 anni ricatti e collusioni con la politica si sono riaffacciati carsicamente a ogni stormir di scheda elettorale.