Leggendo e rileggendo la relazione conclusiva della Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, relativa alla morte del capitano Natale De Grazia ho avuto la sensazione che, in questi ultimi mesi, abbiamo guardato al dito anziché alla luna.
Da quando il caso è tornato alla ribalta, come fanno gli stolti, anziché guardare alla sostanza abbiamo guardato all’apparenza.
Sia ben chiaro: un’apparenza tragica – la morte di un validissimo Uomo dello Stato – che, proprio per questo motivo avrebbe dovuto spingere i giornalisti a guardare oltre.
Debbo dire che le ultime sortite dell’allora pm Francesco Neri che, senza uno straccio di una prova, afferma che De Grazia è stato ucciso, non aiutano.
Che lo pensi la vedova, la famiglia, noi tutti intimamente, è un conto. Che lo dica un ex pm che con De Grazia lavorò fianco a fianco, in una pubblica assise e non in Commissione parlamentare (dove pure è stato audito) è un altro paio di maniche.
Ancora più confuse e confusionarie sono le dichiarazioni che si sono accavallate sul legame con la morte in Somalia della collega Ilaria Alpi e del fotografo Miran Hrovatin, che avrebbero toccato gli stessi fili che stavano a cuore di quel pool investigativo morto dopo la morte di De Grazia: lo smaltimento illecito dei rifiuti.
ILARIA ALPI
Vedete, un conto sono le chiacchiere da bar, un altro le riflessioni che si fanno sulla pelle di un morto. Non si può dire, ma è un gidizio personale, come ha detto ancora Neri, «De Grazia mi confessò di aver trovato delle anomalie nel certificato di morte di Ilaria Alpi. Ma quel certificato non è più stato trovato».
«Tale certificato, peraltro, non è stato mai ritrovato all’interno del fascicolo e quindi, secondo quanto dichiarato dal magistrato – si legge però a pagina 46 della relazione – sarebbe stato verosimilmente trafugato. Questa specifica vicenda ha avuto già sviluppi processuali, non essendo stata confermata la notizia che effettivamente nel fascicolo vi fosse tale documento (vi è stato un procedimento penale a carico dello stesso magistrato per falsa testimonianza», di cui però la commissione non rivela l’esito, ndr).
Il dato incontroverso, prosegue la relazione, è che all’interno della cartellina dedicata alla Somalia trovata in casa dell’imprenditore Giorgio Comerio e sequestrata, vi fosse un documento in qualche modo attinente alla morte di Ilaria Alpi, documento che secondo il maresciallo Scimone sarebbe consistito in una notizia Ansa.
Resta in ogni caso significativo, prosegue la relazione, che all’interno di una cartella intitolata “Somalia”, nella quale erano contenuti documenti concernenti lo smaltimento di rifiuti tossici e contatti con esponenti somali, vi fosse un atto riguardante la morte della giornalista, in un’epoca in cui ancora nessun potenziale collegamento era stato ipotizzato tra la morte della stessa e il traffico di rifiuti.
Si riportano le dichiarazioni del maresciallo Domenico Scimone sul punto: «Ho anche sentito dire una cosa stranissima: che il comandante De Grazia avrebbe trovato tra gli atti di Comerio il certificato di morte di Ilaria Alpi. Non mi risulta. (…) Non era il certificato di morte di Ilaria Alpi perché sapete bene che il certificato di morte non è stato redatto in Somalia: Ilaria Alpi fu portata su una nave italiana e il primo certificato di decesso è stato fatto dal medico della nave. Credo che poi il comune di Roma abbia redatto l'ultimo certificato. Comerio aveva una «fascetta», la notizia Ansa della morte di Ilaria Alpi, che De Grazia aveva trovato mentre cercavamo nelle carte e che mi aveva fatto vedere. Era una notizia Ansa, non un certificato di morte. (…) Era un fascicolo della Somalia. Lui aveva dei fascicoli tra cui questo, Somalia, in cui c'erano tutte le proposte di smaltimento dei rifiuti, i suoi progetti, i contatti con i vari ministri, roba di questo genere e c'era questa striscia».
DEPISTAGGI
Vedete amati lettori, due sono i fili rossi che legano le 107 pagine che compongono la relazione sulla morte del capitano De Grazia. Il primo è la serie impressionante di contraddizioni, mezze verità, verità contese, intimidazioni, spionaggio, inchieste nate, morte, abortite, depistaggi, non so, non ricordo, effetti personali spariti, abitazioni visitate con documenti volatilizzati, cassetti forzati, uffici violati, perizie e controperizie, collaborazioni fasulle e via di questo passo di fronte alle quali si è imbattuta la Commissione parlamentare presieduta da Gaetano Pecorella (alla quale va dato atto di aver effettuato uno splendido lavoro su questo come su altri temi).
Il secondo è intimamente connesso al primo ed è proprio quella sostanza alla quale facevo riferimento in premessa e che va ben oltre l’apparenza di un uomo (verosimilmente) ucciso perché non avrebbe dovuto battere le piste che stava battendo.
STRANEZZE
Per far capire di cosa parlo basti unicamente un capoverso che riporta la commissione parlamentare che – a mio giudizio – è uno dei passi salienti della relazione. Testualmente da pagina 71 in poi.
L’ 8 aprile 1997 venne sentito dalla procura di Reggio Francesco Postorino, cognato del capitano De Grazia, il quale, oltre a riferire in merito alle preoccupazioni che il capitano aveva per la sua incolumità in relazione alle indagini che stava svolgendo (preoccupazioni che aveva confidato al cognato), parlò di alcuni sospetti che il capitano nutriva. Postorino si espresse in questi termini: «... Qualche giorno prima della morte, sicuramente tra il giorno dell’Immacolata ed il 12 dicembre mi confessò in modo esplicito di essersi accorto che un suo collaboratore nelle indagini passava informazioni riservate ai servizi segreti deviati…. ADR: mio cognato mi ha anche ritento in più di una occasione di aver subito pressioni ma non ha specificato da parte di chi, so soltanto che una volta mi disse che se voleva poteva essere già ammiraglio. Presumo pertanto che lui facesse riferimento a pressioni che in qualche modo riceveva per le indagini che andava svolgendo da ambienti interni alla Marina o ad altri organismi statali (…) ricordo che mio cognato mi riferì, dopo l’inizio della sua partecipazione alle indagini, che era stato chiamato presso lo Stato maggiore della Marina a Roma per riferire sulle indagini. All’inizio delle indagini mi disse che doveva andare a Messina per incontrarsi con una persona dei servizi segreti della Marina, come da sua richiesta, proprio in relazione alle indagini che avrebbe compiuto».
LA LUNA
Ora non sta a me giudicare (né tantomeno nella relazione si trova traccia di un proseguo di questa analisi che comunque è indimostrabile e dunque volontariamente ho omesso il nome del collaboratore pure citato da Postorino) i comportamenti corretti o meno di un appartenente (o più) di quel pool investigativo coordinato dall’ex pm Neri. Non mi permettò né mi interessa ma quel che conta è che il filo rosso della morte del capitano De Grazia va in realtà molto ma molto oltre quella morte e tocca tutte le vicende legate allo smaltimento illecito dei rifiuti in quegli anni in cui mancava totalmente una legislazione di riferimento.
Il filo rosso – anzi il filo ad alta tensione che chi tocca muore, oggi come allora e come sempre – è quello che intreccia i servizi segreti deviati.
I SERVIZI DEVIATI
Non c’è posto migliore in Italia di Reggio dove i servizi segreti deviati possano sguazzare, figliare e proliferare.
Quella era la direzione da battere – ormai è inutile e nessuno, neppure la riapertura del fascicolo, se lo mettano tutti ben chiaro in testa, potrà condurre quella morte a verità – ma nessuno potè batterla.
Già il 5 dicembre 1995, Carlo Giglio, un ingegnere ascoltato dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, disse le seguenti cose, come riassume la Commissione a pagina 12, dalla quale ometto le parti relative a enti chiamati co,pevolmente in causa che poi tali ufficialmente non si sono giudiziariamente rivelati:
«1) da quando aveva iniziato a collaborare con l'autorità giudiziaria, lui e i suoi familiari avevano vissuto strani episodi riconducibili a velate intimidazioni;
2) anche l'Italia aveva disperso in mare le scorie radioattive;
3) per il tramite della massoneria deviata i traffici illeciti del materiale nucleare e strategico o quelli relativi allo smaltimento in mare possono essere attuati con la copertura più ferrea compresa quella con i servizi deviati, da sempre e notoriamente coinvolti in detti traffici».
LA PISTA DA (AB)BATTERE
Eccola la pista da (ab)battere e non a caso, nel corso della relazione si richiamano l’intuito del capitano De Grazia nel seguire una pista sullo smaltimento illecito dei rifiuti via mare che portava dritta dritta in casa Kgb (i servizi segreti dell’allora Unione Sovietica) e il ruolo della massoneria deviata.
Ragazzi è inutile girarla: mafie (‘ndrangheta o Cosa nostra che siano), massoneria deviata, servizi segreti deviati e coperture politiche deviate erano (sono) la pista da seguire non solo per quella morte ma anche per tutte le vicende sporche che insanguinano il nostro Paese. E’ così – solo per restare alle vicende contemporanee, si badi bene – dalla morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa in avanti (ergo: il giudice Antonino Scopelliti, le stragi di Capaci, Via D’Amelio, le stragi del ‘93 a Firenze, Milano e Roma e via di questo passo).
Mi soprendo del fatto che qualcuno se ne sorprenda e mi indigna il fatto che questa trama non sia stata sottolineata con forza estrema dalla Commissione parlamentare.
LE TESTIMONIANZE E GELLI
Gli stessi servizi segreti italiani hanno collaborato (c’è chi dice con slancio c’è chi dice con riluttanza) prima con il pool investigativo e poi con la Commissione parlamentare.
Ad esempio sui rapporti con il Sismi ha riferito anche il maresciallo Niccolò Moschitta – anche lui membro del pool poi disgregatosi dopo la morte di De Grazia con grande sollievo della parte inquinata dello Stato italiano – nel corso delle due audizioni rese avanti alla Commissione (l’11 marzo e l’11 maggio 2010). Ecco testualmente cosa si legge nella relazione della Commissione: «Un giorno mi presento al Sismi e sequestro un documento, con tanto di provvedimento del magistrato. Ho trovato grande collaborazione nel generale Sturchio, il capo di gabinetto. Mi chiese se volessi il tale documento e me lo dettero tranquillamente. (…) Chiedevamo se avevano qualcosa su Giorgio Comerio. Il primo documento che emerse mostrava che Giorgio Comerio era colui il quale aveva ospitato in un appartamento, non so se di sua proprietà, a Montecarlo l’evaso Licio Gelli.
Da lì comincia il nostro rapporto con i servizi segreti, i quali ci hanno veramente fornito molto materiale. Si è sempre collaborato benissimo, apertamente e senza problemi, tanto che nell’edificio della procura distrettuale di Reggio Calabria avevano approntato per loro anche un piccolo ufficio per esaminare documentazioni nostre ed eventualmente integrarle (…) i servizi segreti, il Sismi, hanno lavorato con noi. Il primo impatto che ho avuto con i servizi segreti è stato a seguito di un decreto di acquisizione di documenti presso il Sismi. Sono andato personalmente ad acquisire un documento a carico di Giorgio Comerio, titolare della O.D.M., oramai noto nell'inchiesta. In modo particolare, si trattava della fuga di Licio Gelli da Lugano fino al suo rifugio segreto nel principato di Monaco. Ci risulta che la casa in cui era ospitato Licio Gelli era di Giorgio Comerio.
In seguito, i servizi segreti sono entrati ufficialmente con noi nell'indagine perché esaminavano la documentazione, d'accordo con la magistratura. In effetti, è stata una collaborazione corretta, leale e senza problemi».
IL DOCUMENTO DESECRETATO DEL COPASIR
Corretta o meno che sia stata, trasparente o meno che sia stata (anche qui non sta a me giudicare), qualche dubbio (non a me) sulla piena collaborazione dei servizi segreti viene se è vero (come è vero) che la Commissione (non io) testualmente scrive nella relazione finale: «Quello sopra descritto fu il rapporto “formale” tra procura (di Reggio Calabria ndr) e servizi segreti, in merito alle indagini sulle “navi a perdere”.
E’ emerso, però, un ulteriore profilo di intervento dei servizi segreti nella materia riguardante il traffico dei rifiuti radioattivi e tossico nocivi e il traffico di armi, come emerge dalla documentazione acquisita dalla Commissione riferita al medesimo periodo in cui erano in corso le indagini del dottor Neri.
In particolare il documento proveniente dal Copasir, archiviato dalla Commissione con il n. 294/55, riguarda una comunicazione del Sismi al Cesis in merito alle spese sostenute nell’anno 1994 per i servizi di intelligence connessi al problema del traffico illecito di rifiuti radioattivi e di armi, indicati nella misura di 500 milioni di lire.
Si tratta di un documento desecretat
o dalla Commissione particolarmente interessata a comprendere in che modo fossero stati utilizzati i 500 milioni di lire nelle operazioni di intelligence relative al traffico di rifiuti e di armi.
Non è stato però possibile, nonostante le numerose audizioni effettuate sul punto, sapere in che modo sia stata spesa la somma di cui sopra, per lo svolgimento di quali attività e, ancor prima, per quali ragioni i servizi, all’epoca, fossero interessati al tema dei rifiuti radioattivi.
E’ stato, inoltre, prospettato alla Commissione, ma non è stato acquisito alcun riscontro al riguardo, un ulteriore ipotetico interessamento dei servizi all’indagine svolta dal dottor Neri attraverso il controllo delle attività poste in essere dalla procura e dagli ufficiali di polizia giudiziaria».
MURO IMPENETRABILE
Insomma: silenzi coperti forse da ragion di Stato, buone per tutte le occasioni. Ora, per piacere, riportatevi a quegli anni (il capitano De Grazia morì il 12 dicembre 1995) e ai due decenni precedenti. Erano gli anni in cui i traffici di rifiuti illeciti erano governati, in ambiti internazionale, esclusivamente dalle parti deviate dei servizi segreti oltre che dalle mafie che da sempre vivono in simbiosi nelle logge deviate. La politica? Oggi come allora chiudeva un occhio, poi l’altro e prendeva a prestito – se non bastavano i propri – gli occhi dei vicini.
Negli anni 80/90 era acclarata l’esistenza di un traffico illecito di rifiuti radioattivi destinati ai paesi del terzo mondo, in particolare Irak, Pakistan e Libia, ove sarebbero stati utilizzati per la produzione di ordigni atomici.
E’ in questo clima – che nessuno avrà mai la forza di violare oggi come allora – che il capitano De Grazia muore.
Lo dice indirettamente anche l’ex controverso testimone di giustizia Francesco Fonti, audito dalla Commissione parlamentare dei rifiuti in trasferta il 5 novembre 2009 a Bologna. Fonti (recentemente morto e con lui sono scomparsi anche documenti che deteneva in casa) dichiarò: «Con i rifiuti si trattava con i servizi segreti, e, se qualcosa non va, questi decidevano di far sparire anche le persone. L’ipotesi era quella che anche il capitano fosse stato eliminato, perché stava andando a scoprire qualcosa che non doveva emergere.
Presidente. Lei non parlò mai con Pino (soggetto non meglio identificato, già indicato da Fonti come appartenente ai servizi segreti ed elemento di collegamento con il Fonti e con la ‘ndrangheta) di questa vicenda?
Francesco Fonti. No.
Presidente. Poiché nella trasmissione, che anch’io ho sentito, lei dava come una notizia importante, quasi certa, il fatto che fosse stato ucciso…
Francesco Fonti. Non penso, non era questa la mia intenzione, anche perché è una vicenda che non ho vissuto».
CHI TOCCA I FILI MUORE
Fonti sì, Fonti no, questo è il punto: quel collante mafiosostatale deviato all’ombra di logge sporche è inviolabile e non si può provare perché significherebbe violare il cuore stesso dello Stato malato che pulsa accanto a quello dello Stato sano.
Insomma: si sa ma è indimostrabile che i peggiori traffici della nostra democrazia e della nostra Repubblica sono legati a quella cupola che tutto tiene e tutto può.
Chi tocca i fili (come il capitano De Grazia) muore.
Lo dice chiaramente il maresciallo Moschitta, audito dalla Commissione l’11 marzo 2010: «(…) quando le indagini arrivavano a un picco, e quindi stavamo mettendo le mani su fatti veramente gravi, coinvolgenti anche il livello della sicurezza nazionale…(…) A un certo punto De Grazia non venne più a effettuare le indagini con noi, perché il suo comandante l’aveva bloccato.(…) »
Non consola la conclusione della Commissione parlamentare («non si può non segnalare che la morte del capitano De Grazia si inscrive tra i misteri irrisolti del nostro Paese») mentre bisogna porre l’attenzione su un altro passaggio. Quello in cui la stessa Commissione scrive a proposito delle indagini : «Va sottolineato che, man mano che l’indagine acquisiva maggiore consistenza, sarebbe stata naturale un’intensificazione ed accelerazione delle attività investigative, che, peraltro, fino a quel momento, si erano svolte regolarmente. Viceversa, deve prendersi atto che fu proprio quello il momento in cui si assistette, non solo ad un rallentamento dell’attività di indagine, ma anche al disfacimento del gruppo investigativo costituito dagli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti a diverse forze dell’ordine, che fino a quel momento avevano collaborato con il dottor Neri. Il decesso del capitano De Grazia deve essere inserito in questo preciso contesto investigativo ed analizzato unitamente agli eventi immediatamente precedenti e successivi al decesso».
Il “disfacimento del pool investigativo” (perenne) era il fine. La morte del capitano De Grazia era il mezzo. Gli autori e i mandanti sono nel cuore dello Stato deviato e – per questo – non saranno scoperti. Come sempre.
Il capitano riposi in pace. I mandanti siano destinati a patire – sulla terra o altrove – le pene dell’inferno.
r.galullo@ilsole24ore.com