Il 30 gennaio la Direzione investigativa antimafia (Dia) di Roma, guidata dal colonnello Gregorio De Marco, ha arrestato e indagato un pugno di persone ritenute vicine o prestanome della cosca di ‘ndrangheta Gallico e del clan Alvaro.
Fin qui nulla di strano: la Capitale ormai da almeno 50 anni è crocevia di mafie e da decenni vede la mafia calabrese prevalere sulle altre. In un clima di armonia, potremo dire, con le altre mafie e con la mafia capitolina che è un perverso mix di poteri occulti e criminalità organizzata (do you remember la banda della Magliana?).
Nulla di strano anche nel fatto che i proventi illeciti della cosca venivano utilizzati, secondo la Procura romana, per acquistare locali commerciali (ristoranti, bar, pasticcerie) e immobili. Il gip ha disposto – e così diamo l’idea di una fetta di potere economico – il sequestro di beni per una ventina di milioni. Non male no?
Ma andiamo oltre. Quel che infatti questa operazione mette in luce è la facilità con la quale è possibile ignorare la normativa antiriciclaggio e la conseguente complicità di una rete (la vulgata dice insospettabile, io ritengo sospettabilissima) di professionisti.
Il primo atto compiuto nella capitale da uno dei soggetti arrestati – Francesco Frisina, nato a Palmi, con precedenti per associazione mafiosa, estorsione, armi e rapina, già sottoposto a sorveglianza speciale – è stato verosimilmente l’acquisto nell’agosto 2004, senza alcun muto, di un villino di 10 vani più garage in via Boccea, per un valore del tutto inferiore a quello di mercato (266mila euro). Su questo acquisto, si legge a pagina 19 dell’ordinanza firmata il 14 gennaio dal gip Simonetta d’Alessandro, “è da rilevare la mancata segnalazione da parte del notaio, in violazione alla normativa antiriciclaggio…”, alla luce della sproporzione tra valore dell’acquisto e capacità reddituale dichiarata.
I professionisti – scrivevo – sono la filigrana di questa operazione. Come quando, da pagina 30 in poi, si legge che un indagato e un immobiliarista parlano amichevolmente di assegni e operazioni fittizie. O come quando – con il nipote apparentemente all’oscuro delle operazioni immobiliari dello zio – lo stesso indagato dice con educazione oxfordiana: “u notaru avi a fari ca quando ca ficimu l’assegni i versamenti e tutti i cazzi!” ovvero – si legge nella spiegazione/traduzione degli inquirenti – il notaio si sarebbe dovuto limitare “ad attestare una circostanza di fatto mai avvenuta”.
Il ruolo degli immobiliaristi – in questi anni poco analizzato – è messo straordinariamente in luce dagli inquirenti quando scrivono (pagina 52) che “il libero professionista nel campo immobiliare è una risorsa importante e punto di riferimento per tutti quei soggetti o per le organizzazioni criminali che intendono ovviare alla legge che ormai hanno costante bisogno di professionisti del settore per immettere nell’economia legale le ingenti disponibilità prodotte dai gravi delitti che costituiscono il core business delle organizzazioni di appartenenza (traffico di stupefacenti, di armi et similia)”.
LA BANCA DICE SI
Le ville nella capitale sono una “fissa” ricorrente per l’organizzazione criminale messa sotto la lente dalla Dia di Roma e dalla Procura. Un altro villino, nello stesso comprensorio di via Boccea, viene infatti acquistato nel gennaio 2008 per un valore dichiarato di 292mila euro: per l’acquisto una banca ha erogato un mutuo prima casa di 350mila euro. Non è importante dire qual è la banca – ritengo – innanzitutto perché non è stata (almeno al momento) oggetto di indagine e poi perché (credo, avendo qualche anno di esperienza) che questo tipo dl comportamento è sempre più generalizzato tra gli istituti di credito (abili, abilissimi a scaricare eventualmente in sede penale le colpe sui singoli anziché sul “sistema”, indotto dai vertici stessi delle banche). Ad acquistarla sono i coniugi Saccà/Rugolo. Lui, Carmine Saccà, nato a Taurianova ma residente a Roma, cognato di Frisina e arrestato nel corso dell’operazione, ha precedenti di polizia per estorsioni e altro.
Ebbene: leggete con attenzione cosa scrivono gli inquirenti e sottoscrive il gip da pagina 64: “….ci si chiede come abbia potuto la banca, senza inoltrare una segnalazione per operazioni sospette e cioè in palese violazione della normativa antiriciclaggio, erogare un simile mutuo a delle persone che risultano ufficialmente quasi indigenti, considerato peraltro che una società che si occupa di piccoli finanziamenti, la Findomestic, nega il prestito per un’autovettura usata ai citati coniugi proprio per la totale mancanza dei parametri che consentono ogni forma di finanziamento.
L’episodio è stato registrato dalle intercettazioni telefoniche…Nelle conversazioni intercettate tra Saccà e un dipendente della Findomestic, il Saccà ha fatto delle affermazioni decisive ed illuminanti perché rivelano il continuo ricorso alla fittizia intestazione e la disponibilità di denaro occulto posseduto, tanto che il Saccà dichiara che dopo la cessione del Caffè Chigi hanno in corso un’ulteriore acquisizione di attività commerciale. Inoltre, come nel caso dei mutui, il Saccà ha già comprato l’autovettura ma per “proteggere” l’acquisto tenta di ricorrere, come prassi, al finanziamento…”.
FINDOMESTIC
Nel corso di una delle numerose telefonate intercorse tra i coniugi e Findomestic, l’addetta di Findomestic chiede a Saccà quali siano le motivazioni che lo rendono restio a fornire il numero di conto corrente per l’addebito della rata di finanziamento e Saccà spiega che sul conto corrente c’è già l’addebito del “mutuo di mia moglie”. “Pertanto – si legge a pagina 72 – ove si sommasse l’eventuale rata del finanziamento Findomestic, l’addebito mensile risulterebbe invece superiore alle somme dichiarate…in ciò costringendolo a lasciare traccia del transito di denaro: movimentazione che il Saccà intende celare, ricorrendo all’uso del cosiddetto bollettino”.
IN POCHE PAROLE
La sintesi è brutale: secondo l’accusa ciò che una piccola finanziaria nega (facendo bene e fino in fondo il suo dovere) una banca (in barba alla normativa antiriciclaggio) eroga, oltretutto in maniera copiosa. E a chi eroga? Lo abbiamo visto: a Carmine Saccà, cognato di Francesco Frisina.
A questo punto si può sintetizzare il loro profilo conclusivo secondo quanto si legge a pagina 81 dell’ordinanza: “….i cognati hanno posto in essere una serie di operazioni di intestazioni fittizie, artatamente frammentate e quasi tutte nel settore della ristorazione, intestando immobili alle proprie coniugi e quote di società costituende o già costituite alle stesse coniugi e a soggetti appartenenti alla cerchia familiare, amicale o comunque collegati ai sodalizi criminali, cosca Gallico e clan Alvaro, a cui gli stessi sono vicini”.
Non c’è altro da aggiungere se non sottolineare – come ho fatto mille volte – l’evoluzione delle mafie che, grazie ad una serie di tasselli di cui professionisti e credito sono parti vitali, ormai da tempo è cupola che soffoca economia e società. A Roma – concedetemi la battuta – la retromarcia è drammatica: da città der cuppolone a città della cupola.
r.galullo@ilsole24ore.com