Cari lettori da ieri sto analizzando la “folle” ipotesi investigativa del pm della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che si è messo in testa di scoperchiare quel “sistema criminale”, fatto “anche” di ‘ndrangheta, che governa la Calabria.
Lombardo vuole proseguire l’opera – interrotta nel 2001, processualmente non provata ma quanto mai vera, viva e vegeta – di Roberto Scarpinato della Procura di Palermo (si veda il mio articolo di ieri in archivio).
Le principali pedine sullo scacchiere di Lombardo sono i processi Meta e Agathos, oltre a quelli svolti o in corso come Bellu lavuru e Piccolo carro, l’indagine sulla Lega Nord e su Francesco Belsito e la riapertura, inutilmente negata in Procura, dell’omicidio del giudice Nino Scopelliti.
Ciascuno di questi “pezzi” sta arricchendo la trama criminale. Alcune mosse sono state già vincenti. Altre attendono la contromossa. Altre saranno inattese.
COSA NOSTRA CHIAMA: LA “SUPERCOSA”…
Caso archiviato dunque ma, la storia, non si archivia. Resta.
In quell’indagine sui sistemi criminali archiviata nel 2011, a pagina 59 c’è il richiamo all’interrogatorio – sulle strategie stragiste e politiche – di uno dei collaboratori di maggiore spessore trapanese, Vincenzo Sinacori, reggente del mandamento di Mazara del Vallo, uomo di fiducia di Mariano Agate e di Totò Riina.
Sinacori, nell’interrogatorio del 14 febbraio 1997 riferì della nuova organizzazione interna di Cosa nostra soprattutto di tipo operativo, la cosiddetta “supercosa”. Ecco cosa dichiarò a verbale: “….dette riunioni si tennero a Palermo verso la fine del 1991. In uno di questi incontri si parlò della “supercosa”. Ricordo infatti che in quel periodo si parlava della superprocura (antimafia ndr) e Riina, in contrapposizione alla nuova istituzione, disse che era necessaria che anche Cosa nostra si riorganizzasse in una struttura che prevedeva la costituzione di gruppi molto ristretti i cui componenti non avevano alcun obbligo di informare delle loro azioni i rispettivi rappresentanti e capi mandamento: in sintesi come preciso ora in sede di verbalizzazione riassuntiva, la supercosa dipendeva esclusivamente da Totò Riina. In effetti per quello che mi consta furono costituiti questi gruppi ristretti: Matteo (Messina Denaro ndr) si portò Francesco Geraci mentre i fratelli Graviano, Lorenzo Tinnirello e Fifetto Cannella. Questi gruppi erano talmente riservati che credo che gli stessi Geraci, Cannella e Tinnirello, non sapessero della loro stessa appartenenza alla supercosa”.
…LA ‘NDRANGHETA RISPONDE: IL “SISTEMA RISTRETTO” CHE SE NE FOTTE DI POLSI
La Procura di Palermo, in quella sofferta, soffertissima richiesta di archiviazione, riportò le dichiarazioni del pentito Pasquale Nucera, uno che conosceva la ‘ndrangheta come il deo pagano Francesco Totti conosce l’arte del calcio. Nucera parlò di un “piano politico criminale” elaborato dalla criminalità organizzata nel 1991.
Nucera – si legge a pagina 64 – ha spiegato che la riunione annuale al santuario di Polsi corrispondeva alla riunione delle gerarchie tradizionali della ‘ndrangheta. Sopra di queste esisteva un vertice gerarchico molto più ristretto nel cui ambito si prendevano le decisioni strategiche che poi, a Polsi, venivano discusse solo per un rispetto della forma e al fine di mettere al corrente tutti gli affiliati di quanto, in realtà, veniva deciso altrove.
Dalle dichiarazioni di Nucera è emersa una specifica conferma delle dichiarazioni di Filippo Barreca ma anche di collaboratori palermitani (in particolare Gioacchino Pennino): al più alto e ristretto livello della gerarchia della ‘ndrangheta appartengono anche elementi della massoneria deviata e – ha aggiunto Nucera – anche dei servizi deviati. Una commistione che – sempre secondo le dichiarazioni di Nucera – sarebbe stata all’epoca, conseguenza di una iniziativa di Licio Gelli che, per controllare i vertici della ‘ndrangheta, aveva fatto in modo che ogni componente della Santa, ovvero la struttura di vertice dell’organizzazione criminale, venisse inserito automaticamente nella massoneria deviata.
“Le dichiarazioni di Nucera – si legge a pagina 65 – appaiono certamente di grande portata, visto che dalla stessa emergono numerosi elementi che confermano il quadro probatorio finora illustrato e in particolare: 1) l’esistenza di un comune progetto politico-criminale fra Cosa nostra, altre organizzazioni di tipo mafioso (in particolare la ‘ndrangheta) e ambienti della massoneria deviata; 2) la collocazione temporale della nascita di tale progetto nel 1991…”.
Peccato, aggiungo io con modesto avviso, che avendo individuato l’anno (1991) non fosse stato individuata anche la miccia esplosiva di quel progetto (l’omicidio del giudice Scopelliti) e la finalità della ‘ndrangheta (spostare i riflettori su Cosa nostra e far decollare la forza della ‘ndrangheta destefaniana).
Questa “parziale cecità” in vero non è tanto imputabile alla Procura di Palermo (che giustamente, in premessa, rimandava ad altre Procure l’analisi del contesto fuori dalla regione Sicilia) quanto, forse, a settori della Procura di Reggio Calabria che, in quegli anni (e non solo) dormiva sonni profondi quando c’era da avvicinarsi alla polveriera “politica marcia-massoneria deviata-Stato infedele”.
Chi – se non la Procura di Reggio Calabria – avrebbe dovuto dedicare anima e corpo – e faccio solo un esempio – alle dichiarazioni del pentito Filippo Barreca che proprio di fronte alla stessa Procura di Reggio, l’ 8 maggio 1994 dichiarò: “Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra Freda, Paolo Romeo e Giorgio De Stefano. Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi di ‘ndrangheta e della destra eversiva e precisamente lo stesso Freda, l’avvocato Paolo Romeo, l’avvocato Giorgio De Stefano, Paolo De Stefano, Peppe Piromalli, Antonio Nirta, Fefè Zerbi. Altra loggia dalle stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania”.
UN ADDIO DOLOROSISSIMO
Tutti gli elementi che la Procura di Palermo mise, tra mille difficoltà, insieme meticolosamente – il nuovo progetto politico attribuibile alla massoneria e alla destra eversiva, la preparazione di un s
oggetto politico meridionalista, l’azzeramento ad opera di Cosa nostra in primis con l’ausilio della ‘ndrangheta per l’azzeramento dei vecchi referenti politici e destabilizzazione del Paese a vantaggio del “sistema criminale” – non vennero, dalla stessa Procura, ritenuti sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio in ordine alla correlazione causale fra quelle circostanze. “Non è insomma sufficientemente provato – e posso provare a immaginare l’amarezza di chi ha vergato queste frasi, con rara onestà intellettuale e senza innamorarsi delle tesi al punto da andare incontro al suicidio processale e mediatico – che l’organizzazione mafiosa deliberò di attuare la strategia della tensione per agevolare la realizzazione del progetto politico del gruppo Gelli-Delle Chaie, né che l’organizzazione mafiosa abbia approvato l’attuazione di un piano eversivo-secessionista per effetto di contatti col gruppo Gelli-Delle Chiaie. Ed è infatti ipotizzabile – allo stato degli atti – anche una spiegazione alternativa: e cioè che il piano eversivo concepito in ambiente esterni a Cosa nostra sia stato prospettato a Cosa nostra al fine di orientarne le azioni criminali, sfruttandone il momento di crisi dei rapporti con la politica e che l’organizzazione mafiosa ne abbia anche subito – anche temporaneamente – l’influenza, senza però impegnarsi a pieno titolo nel piano eversivo-secessionista. Peraltro, la verifica di tale ipotesi, e cioè dell’eventuale influenza di soggetti esterni sulle determinazioni di Cosa nostra nella fase iniziale della strategia delle tensione attuata nel 1992, esula dallo specifico oggetto del presente procedimento…”.
DA QUI SI RIPARTE
La richiesta di archiviazione, fatta propria dal gip fu la logica conseguenza ma resta scolpito quel che, 12 anni fa, fu scritto nella storia giudiziaria di questo Paese con riferimento, in quella famosa pagina 11, a quel sistema criminale “delle singole organizzazioni mafiose, delle altre organizzazioni illecite ad esse collegate e delle relazioni esterne di ciascuna di esse”. E da qui è ripartito il pm Giuseppe Lombardo che sta tentando di mettere insieme le tessere di un mosaico che – a distanza di 21 anni dalla stagione della strategia della tensione – nel frattempo si è evoluto, migliorato, perfezionato, corroborato proprio in Calabria, quello spicchio marcio di un’Italia putrescente che, come abbiamo visto ieri, un pentito siciliano, Cannella, il 28 maggio 1997 già indicò come crocevia vitale per le strategie della massoneria deviata, della criminalità organizzata e del servizi segreti deviati. In una parola le strategie del “sistema criminale”. In Calabria, come in Sicilia come (ad esempio nel ciclo dei rifiuti) in Campania.
A domani.
2 – to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata ieri)
r.galullo@ilsole24ore.com