Caro compagno Sansonetti,
piacere di scriverLe dalle colonne di questo umile blog. LeggerLa è un piacere.
No, non compagno di pregresse battaglie politiche comuni con il pugno chiuso. No.
A unirci, mi permetto di pensare ma, non conoscendoci, mi corregga se sbaglio, è una fede più profonda di quella politica: quella nel giornalismo.
Compagno – dunque – di sentimento ed etica giornalistica. Compagno di amore per la professione e del rigore nella stessa. Compagno nella libertà di stampa e nel diritto all’informazione. Costi quel che costi.
Strade comuni, insomma, lungo le quali pochi, pochissimi si avventurano. E quei pochi, spesso, dagli “impuniti di Stato”, vengono additati come “cricca”, “cialtroneria” manovrata, “ciarpame” pilotato da oscuri interessi contro i Palazzi. Che in Calabria – come a Roma e a Milano – sono spesso, semplicemente, “palaverminai”.
Colpa nostra, di noi giornalisti, se abbiamo abituato la classe dirigente di questo Paese a credere che un giornalista quando scrive, svela e rivela quegli interessi marci che si annidano nei Palazzi (tutti, senza guardare in faccia a nessuno), lo fa per interessi “terzi” che non siano quelli dei soli lettori.
La libertà di stampa in Calabria si trasforma talvolta in chimera e per questo passa in cavalleria che un’informativa (una sola?) attenti alla libertà di stampa e venga usata a orologeria per invertire la realtà delle cose ed essere brandita come una clava infamante contro alcuni giornalisti (tra i quali chi scrive) rei solo di fare il proprio mestiere (senza padrini né padroni), senza che nessuno muova un dito nonostante chi scrive lo abbia denunciato (e non solo su questo blog) il 27 giugno 2012 in un puntuale articolo. Ignorato persino dall’Ordine nazionale e regionale dei giornalisti, da Ossigeno per l’Informazione, dai partiti (!?), dai politici (!?), dai movimenti e da chi più ne ha più ne metta. Silenzio (omertà?) assoluto, di cui la cupola si nutre. La trasparenza e la schiena dritta, Sansonetti, hanno un costo altissimo. Che paga solo il singolo.
Per questo passa in cavalleria perfino che (pare, sembra, si dice, come diceva Loche in Avanzi) intercettazioni preventive siano state usate in questa regione contro alcuni giornalisti con la stessa – presumo – solita indegna premessa: c’è chi trama contro il pensiero unico. Già, fare il giornalista diventa, anche in Calabria, un crimine. E chi commette questo crimine deve essere perseguito, colpito. Da pelle d’oca per la sopravvivenza delle democrazia ma in questa Calabria martoriata dal pensiero unico non importa a nessuno.
Chi sa che a muovere la penna (oggi i tasti su un pc) di un Giornalista è solo la coscienza, la libertà e una schiena drittissima, può dunque permettersi di rivolgersi all’altro –come sto facendo io con Lei in questo articolo – scrivendo quel che pensa e pensando – contemporaneamente – quel che scrive. Binomio raro – soprattutto in Calabria – dove spesso si scrive quel che altri pensano (e dettano) e si pensa quel che altri scrivono. O non si pensa proprio.
Questa lunga premessa era ed è necessaria perché ho letto – come sempre – con grandissimo interesse l’editoriale che ieri, domenica 4 agosto, Lei ha dedicato, in contemporanea alla presentazione della nuova testata, all’”ora dei calabresi”. Un editoriale pieno di amore ma – sia chiaro, a mio sommesso giudizio – senza le fondamenta che dovrebbero sorreggere la speranza di cambiamento in questa terra: la base.
Già perché la base – in questa curiosa costruzione architettonica in Calabria – coincide con le fondamenta, vale a dire quella “gente”, quel “popolo” a cui Lei lancia come una ciambella di salvataggio il Suo grido di amore. Sì, quei «poteri, forze politiche, sindacati, movimenti e cultura calabrese» ai quali rivolge il Suo appello «per aprire una nuova stagione di lotte meridionaliste» che cambi il corso delle crisi e che faccia della Calabria l’epicentro di un terremoto ideologico, sociale ed economico contro il vento del Nord.
A CHI SI RIVOLGE?
Mi scusi, Sansonetti, ma si è guardato intorno? Dov è la base? Dove sono le fondamenta del cambiamento? Si è accorto che in Calabria, come in ampie parti del Sud e ormai anche in aree del Nord, la democrazia è (quantomeno) sospesa?
A quali poteri si appella? A quelli che – in un confine che solo in Calabria tale appare – è così labile che giocano borderline tra legalità e illegalità? A quei poteri che in Calabria – dagli anni Settanta – sono riusciti a creare una borghesia mafiosa che ricorre alle cosche come ad agenzie di servizi? A quei poteri che hanno mescolato nello stesso cemento ‘ndrangheta, massoneria deviata, Stato marcio, servizi sporchi, professionisti collusi, politici allevati a vangelo (no, non quello degli Evangelisti)? Un cemento che oggi soffoca qualunque – e dico qualunque – sogno di rinascita.
A quali forze politiche si riferisce, Sansonetti, atteso il fatto che – a mio modesto avviso – lo stesso confine labile tra legalità e illegalità assurge a linea di partenza verso inconfessabili interessi da parte di persone che oggi sono di destra e domani di sinistra e magari dopodomani di centro a seconda di come spira il vento dei poteri marci? Si rivolgerà mica a quelle forze politiche (tutte) che hanno fatto strame, negli anni, di Reggio Calabria sciolta infine per contiguità mafiosa da un Governo e non certo da una cricca di giornalisti cialtroni? Si rivolgerà mica a quelle forze politiche (tutte) che piegherebbero gli interessi di una regione ai propri interessi come – solo per fare un esempio popolare – l’indecente caso “rimborsopoli” sta a fatica svelando? Si rivolgerà mica a quelle forze politiche (tutte) che stanno lasciando morire il turismo, la cultura vera e dissanguarsi ciò che resta dei poli industriali, economici e commerciali?
A quali sindacati si rivolge visto che – mai come in Calabria – hanno chinato la testa in attesa che passasse la piena pur sapendo che la piena non sarebbe passata e avrebbe comunque coperto di melma il futuro dei figli e dei figli dei figli?
A quali movimenti indirizza il Suo atto di amore? A quelli che hanno goduto di passarelle mediatiche ed estemporanei amor di popolo per poi proiettare – a distanza di anni – la loro nullità nell’effimero politico e/o sociale?
A quale cultura calabrese pensa? A quella che d’estate si diletta nella sagra del peperoncino, nella notte della cipolla di Tropea e nell’orgia della pitta fritta?
Già che ci siamo, perché non rivolgersi alla finanza che lascia morire quei pochi imprenditori che lottano sui mercati e foraggia ad libitum gli amici degli amici e/o chi già vive di prebende pubbliche?
La Calabria, ahinoi, dagli anni Cinquanta ha esportato braccia. Oggi esporta cervelli perchè, in questa terra martoriata, attivarlo e metterlo a disposizione della collettività è impossibile.
SI DIRA': E LE ECCEZIONI?
Si dirà: ci sono le eccezioni. A parte che – dalla politica al sindacato – non me ne viene in testa nessuna ma, ovviamente, è solo un mio gravissimo deficit, il punto è proprio questo: seppur vi fossero, sarebbero eccezioni, merce rara, eroi del momento, incapaci di coagulare e creare consenso e dar vita a quel contropotere intellettuale e di risveglio nel pensiero, capace di diventare massa. Di diventare maggioranza di azione e pensiero, pensiero e azione, in grado di stravolgere le gerarchie di questa terra che si basano su un solo principio: a chi appartieni? Se appartieni campi, sennò…crepa pure.
Appartenere non solo alla propria coscienza – costi quel che costi, perché la democrazia è salatissima – ma a una diffusa coscienza di massa fatta di valori e principi profondi, è quel cambio di passo che in Calabria non scatta e non scatterà (a mio sommesso giudizio) mai.
La Calabria che Lei invoca, Sansonetti, «capace di andare al tavolo della politica e a quello dei grandi poteri, alzare la voce e stabilire il principio che la crisi feroce che sta devastando l’Italia non può e non deve concludersi con un ulteriore rafforzamento dei ricchi e con un impoverimento dei deboli», semplicemente non esiste.
Mi permetto di riscrivere – con lo strazio nel cuore per una terra che ha dato il 50% del sangue dei miei figli – questa Sua frase così: «Esiste una Calabria capace di andare al tavolo della politica marcia e a quello dei poteri deviati, alzare la voce e godere di una crisi feroce che sta devastando l’Italia spingendola verso un federalismo che avvicina sempre più quei poteri marci alle stanze dei bottoni, spogliando sempre più il Sud e continuando lo stesso processo nel Nord d’Italia e, su per li rami, in Europa? » Sì, esiste. Quella esiste, eccome!
Sansonetti, è l”ora dei calabresi”, solo che Lei e la Sua redazione (fatta di professionisti tra i quali alcuni di altissimo livello) deve e dovete andarli a cercare con il lumicino, uno per uno e non certo in quei branchi, composti di centinaia di migliaia di randagi che, mai come in Calabria, hanno sopravvissuto grazie a politicanti e classe dirigente da strapazzo che getta a ogni piè sospinto ossa scarnificate da divorare. Al popolo la carogna da sbranare, a lor Padroni la carne da gustare mentre briciole di potere cadono sotto il tavolo. Lor Padroni dispongono del potere di sopravvivenza – la vita è un’altra cosa – e di morte (come le indagini della magistratura hanno dimostrato e stanno dimostrando a 360 gradi da Reggio a Vibo, da Crotone a Catanzaro passando per piccoli e medi centri) mentre il popolo grida che, in mancanza delle briciole, si accontenta anche di meno: dell’aroma, del profumo del potere, in cambio del quale – come un pagherò – si mette (in)consapevolmente a disposizione dei sistemi criminali.
IL GRIDO DI SPEZIALI
Giuseppe Speziali, presidente di Confindustria Calabria, il 29 luglio all’agenzia di stampa Agi ha detto cose da far tremare i polsi, che gli fanno onore e che, per questo, la cupola mafiosoborghese ha cancellato dai radar dei media. Dunque, con piacere, le ripeto e le riscrivo, visto che suonano come un’analisi precisa e, al contempo, un grido estremo per la vita. O come un canto di morte. «Dubito fortemente che la ripresa di cui si sente parlare possa arrivare fino alla Calabria – ha detto Speziali-. Mancano le condizioni minime». Minime…
Speziali, sgomento come molti, di fronte al silenzio sulla programmazione comunitaria, alla programmazione della spesa e alle risposte di politica economica si appella al Governo nazionale affinché aiuti veramente la Calabria «che è il Sud del Sud. Spesso si dimentica che in questa regione è distante dalle altre realtà del Mezzogiorno e non è in ritardo solo rispetto al Nord».
E chi lo dimentica, Speziali? La “cricca” cialtrona della stampa non lo dimentica e lo scrive da anni, con sacrifici personali che Lei neppure immagina, invocando il senso di responsabilità di ogni singola componente istituzionale e no di questa regione. Per questo – Speziali, lo sappia – viene messa all’angolo e additata come nemica di questa terra. Come se ad essere colpevole non fosse chi ha appiccato l’incendio ma chi cerca di spegnerlo lasciando poi ad una nuova classe dirigente il compito di ricostruire sulla tabula rasa.
MANCA LA BASE
Altro che l’”Ora” di Sicilia, baluardo giornalistico di fede e progresso civile contro la barbarie delle mafie rurali e borghesi che Lei richiama nel Suo appassionato editoriale, Sansonetti. Ma quando mai avrebbe potuto vedere la luce un tale giornale in Calabria? Può nascere (rectius: continuare) con la sua direzione “L’Ora della Calabria?”. Ne dubito. Non perché manchi la Sua e la Vostra incredibile dedizione alla professione giornalistica fatta di lotte civili, principi e valori altissimi. Manca la base, mancano le fondamenta sociali che in Sicilia hanno invece messo solide radici “oltre” L’Ora, come testimonia, ad esempio, la stagione dei lenzuoli bianchi e come testimoniano, ancora in questi giorni, le manifestazioni a supporto di un valente magistrato come Nino Di Matteo.
Sappia, Sansonetti, che sulla strada del riscatto del Sud e della Calabria troverà in me (per quel che conta) un tifoso pronto a seguirla su per le curve più insidiose e spronarla con il proprio contributo verso il successo, come fanno i fanatici della bici nei confronti dei propri eroi nelle tappe di montagna. Mi dispiace pensarlo e dirlo (ergo: scriverlo) ma moriremo di stenti su quei pendii in attesa che qualcuno ci porga una borraccia. Più facile che ci passino un’informativa.
Ciò non toglie che amo la Sua utopia e spero che possa almeno trasformarsi in un sogno. Almeno questi ultimi, qualche volta, si realizzano.
r.galullo@ilsole24ore.com