A Roma si dice che quando una persona non ha troppi argomenti da spendere la “butta in caciara”. Un sublime termine dialettale che sta ad indicare la volontà di fare confusione (caciara è l’equivalente di gazzarra) per confondere le acque.
E’ quello che ha tentato di fare la Giunta Arena che ha governato, in piena e rivendicata continuità politica con il precedente sindaco Scopelliti Giuseppe, il Comune di Reggio Calabria sciolto per contiguità mafiosa il 9 ottobre 2012. Una decisione assunta – ricordiamolo perché è importante – dal Consiglio dei ministri che, su proposta dell’allora ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, dispose all’unanimità lo scioglimento. Ripeto: all’unanimità, il che vuol dire con il consenso di tutte le anime politiche (comprese quelle più vicine all’ex sindaco e al Governatore) che contribuivano all’esistenza dell’allora Governo Monti.
Che la Giunta Arena abbia tentato di “buttarla in caciara” non lo dice il giornalista cialtrone che scrive da anni e anni delle vicende amministrative reggine e calabresi ma il Tar del Lazio che il 21 novembre ha confermato lo scioglimento del Comune capoluogo e aspirante Città metropolitana. Respinti dunque anche gli argomenti che l'ex Giunta riproporrà ora, come è suo potere fare, al Consiglio di Stato, che potrà ribaltare la precedente decisione.
I giudici che hanno firmato le 41 pagine della sentenza sono il presidente della prima sezione Calogero Piscitello, il consigliere Angelo Gabbricci, e il consigliere estensore Anna Bottiglieri.
I tre, pur trovandosi nella sede romana del Tribunale amministrativo non potevano certo usare il termine "caciara" e così – magari avendone avuto per un momento l’uzzo di farlo – hanno dirottato, nel respingere il ricorso contro lo scioglimento per primo firmato da Arena Demetrio il 9 dicembre 2012, verso un forbito ma inequivocabile linguaggio giuridico-popolare.
Si giuridico-popolare, perché sono riusciti a mantenere alto il profilo dialettico ricorrendo a leggi e norme, riuscendo contemporaneamente (una volta tanto) a farsi capire da tutti. Persino dai politici.
Orbene: quando e come respingono – in via preliminare, attenzione – ogni tentativo di buttarla in caciara politica (perché questa era la via scelta per sviare l’attenzione dai problemi drammatici sottolineati prima dalla relazione prefettizia e poi dal decreto di scioglimento) i tre giudici amministrativi?
Nel modo che leggerete appresso.
BANDO ALLE CHIACCHIERE
La prima sezione del Tar, quando si trova a riassumere la prima censura avanzata dall’ex Giunta Arena contro lo scioglimento – ovvero lo sviamento di potere e eccesso di potere, per travisamento, erronea valutazione dei presupposti di fatto e difetto di motivazione – ricorda alle pagine 5 e 6 che, secondo i ricorrenti, la relazione prefettizia opererebbe un generico riferimento alle pendenze penali che interesserebbero alcuni consiglieri, senza precisarne la rilevanza, tant’è che le stesse (tranne per un caso) non sarebbero poi state richiamate in sede di conclusioni; che tali elementi non siano rilevanti sarebbe attestato anche dalla carenza di provvedimenti dell’Autorità giudiziaria e che in ogni caso tali pendenze non rileverebbero da sole ai fini dell’adozione dello scioglimento. Sarebbero infine irrilevanti i richiami ai legami di parentela dei dipendenti comunali con esponenti della malavita, atteso che la loro assunzione non è riferibile agli amministratori disciolti.
E qui (a pagina 6, quinto capoverso) arriva la sintesi dei giudici che riassumono: secondo i ricorrenti, dunque, «lo scioglimento sarebbe stato disposto per finalità politiche».
I giudici riassumono in un'altra occasione la “veste” meramente e innanzitutto politica che i ricorrenti vogliono dare al ricorso pendente presso la loro sezione.
La prima volta lo fanno a pagina 8 quando ricordano che per i ricorrenti «gli atti gravati sarebbero frutto di una scelta aprioristica di valenza esclusivamente politica, volta a dimostrare all’opinione pubblica il nuovo corso intrapreso a livello centrale nella lotta alla criminalità. Neanche l’arresto di un consigliere comunale per collusione con la criminalità ovvero il collegamento con la stessa di alcuni dipendenti giustificherebbero la misura gravata».
UN GIOCO LEGITTIMO MA PERICOLOSO
Il Tar – come è suo diritto e dovere – a questo gioco non ci sta e respinge dunque il tentativo di buttare – in primis – il ricorso sulla “caciara politica”.
Un ricorso, sia chiaro – da parte dell’ex Giunta Arena che lo ha presentato – legittimo perché tutte le argomentazioni vanno presentate in qualunque sede giudiziaria, amministrativa o processuale, solo che sta poi ai giudici…giudicare. Semplice, no?
E i tre rispondono da par loro autodenunciandosi inconsciamente tra i complottisti governati da una Spectre giudoplutomassonica che ha deciso (chissà perché) di portare (o confermare) Reggio allo scioglimento non per infiltrazioni mafiose ma addirittura per «contiguità mafiose».
Siate lievi e gaudenti, giudici. Siete in buona compagnia. Del complotto fanno parte giornalisti (ovviamente cialtroni e io tra gli eletti), altri giudici (civili), dirigenti della Ragioneria generale dello Stato, periti terzi, funzionari pubblici, prefetti, ministri, Governo, vescovi, imprenditori, associazioni, lobby non meglio individuate, magistrati e ovviamente politici di sinistra (chiedo scusa se dimentico qualcuno ma siamo troppi, anzi: tutti contro uno, il Comune di Reggio Calabria! Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere). Addirittura il Comune di Reggio (solo lui o anche, che so, quello di Spilimbergo o Rivisondoli?) avrebbero avuto contro la “tecnocrazia europea” (e che vor dì? Boh!) alla quale ha fatto ricorso il 10 gennaio 2013, denunciandola, il Governatore corso della presentazione del volume “La democrazia sospesa”, dedicato dal Pdl proprio allo scioglimento del consiglio comunale.
LA RISPOSTA
E così – per far capire che a loro – così come del resto è e deve essere per i funzionari e i servitori dello Stato chiamati a far parte di commissioni di accesso che rimettono alla politica il compito di scegliere – le visioni politiche e di parte non interessano e non competono, in via preliminare i giudici così rispondono da pagina 15: «Occorre immediatamente chiarire che i ricorrenti non possono essere seguiti laddove…tendono a far intravedere che il potere di scioglimento dell’organo elettivo comunale sia stato nella fattispecie consapevolmente utilizzato in totale carenza dei presupposti di legge, all’esclusivo scopo di soddisfare specifiche esigenze di visibilità dell’azione del Governo in carica alla data dello scioglimento in tema di lotta alla criminalità organizzata.
In linea generale, il piano di lettura proposto
dalla parte ricorrente mediante l’argomentazione in esame è innanzitutto inammissibile laddove ridonda in considerazioni di carattere politico, cronachistico, dietrologico, ciò che si pone al di fuori dell’alveo costituito dallo scrutinio di legittimità rimesso alla presente sede».
Più chiaro di così si muore: non buttatela in “caciara politica”, signori, perché la ragion politica deve (e dovrebbe sempre) rimanere fuori dai nostri confini giudicanti.
FUORI DALL’ALVEO
E così – visto che c’è sempre qualcuno in Italia pronto a farla fuori…dall’alveo – i tre giudici ricordano che l’alveo che riguarda un Tribunale amministrativo «attiene esclusivamente alla verifica di se l’intervento di carattere straordinario sia stato posto in essere in ragione dell’avvenuta emersione di elementi che sono idonei (concreti, univoci e rilevanti) a far trasparire modelli di collegamento diretto o indiretto tra amministratori locali e criminalità organizzata di tipo mafioso o similare ovvero forme di condizionamento dei primi, determinanti i gravi effetti patologici nella gestione della cosa pubblica richiamati dalla disposizione stessa.
Resta estranea a siffatto giudizio ogni considerazione che – come quelle cui i ricorrenti affidano l’affermazione in discorso – non trovi diretto e immediato riscontro, secondo l’esclusiva ottica della rilevanza giuridica riguardata secondo i canoni propri del diritto amministrativo, nell’apprezzamento degli elementi di fatto e di diritto presi in considerazione dal provvedimento, ovvero che non refluisca in indizi suscettibili di rivelare – secondo le tipizzate categorie dei vizi dell’atto amministrativo – l’esistenza di anomalie e irregolarità nella formazione della determinazione amministrativa».
Insomma: della politica (rectius: di partiti, movimenti e correnti) nulla ce ne po’ fregà.
DURI A CAPIRE
Spiace che – con una brevissima nota diffusa quando la decisione del Tar era ancora calda – l’ex sindaco di Reggio Arena, sodale di Scopelliti, abbia dichiarato: «Più volte ho avuto modo di manifestare la totale sfiducia su un sistema che si fonda sull'interpretazione di una legge imperniata non su elementi concreti, univoci e rilevanti, ma su semplici indizi, se non, addirittura, suggestioni».
Spiace perché è impossibile non capire che nessuna persona sana di mente può essere felice per uno scioglimento di un qualunque consiglio comunale ed è impossibile non capire che nessuna persona sana di mente può far parte di qualunque complotto che alligna solo nella fervida e interessata fantasia di chi lo denuncia.
Spiace perché – come diceva Agatha Christie – un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Le decisioni assunte non sono né indizi né suggestioni ma una sfilza di prove che passeranno ora anche al vaglio del Consiglio di Stato. L’ennesimo ricorso politico.
A presto con nuove analisi sulla sentenza del Tar che ha confermato lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria per contiguità mafiosa.
1 -to be continued