Amati lettori di questo umile e umido blog, due giorni fa ho cominciato a scrivere della sentenza con la quale il Tar del Lazio il 21 novembre ha confermato lo scioglimento del Comune capoluogo Reggio Calabria, aspirante Città metropolitana.
I giudici che hanno firmato le 41 pagine della sentenza sono il presidente della prima sezione Calogero Piscitello, il consigliere Angelo Gabbricci, e il consigliere estensore Anna Bottiglieri.
I tre hanno respinto il ricorso contro lo scioglimento per primo firmato dall’ex sindaco Arena Demetrio il 9 dicembre 2012.
Nel precedente articolo abbiamo visto che il Tar respinge seccamente l’idea di scendere sul terreno dei ricorrenti, secondo i quali «lo scioglimento sarebbe stato disposto per finalità politiche». Non è infatti quella la sede – un Tribunale amministrativo – per affrontare questi rilievi. E così i giudici scendono nel dettaglio, mettendo in fila la sintesi delle lagnanze dei ricorrenti. Eccole.
I MOTIVI DEL RICORSO
1) Si sarebbe fatto illegittimo ricorso al potere di scioglimento degli organi elettivi anziché adottare i poteri cautelativi nei confronti del personale amministrativo oggetto di indagini penali, pur sussistendone i presupposti;
2) la proposta ministeriale avrebbe modificato il contenuto della relazione prefettizia effettuando autonomi apprezzamenti di merito. A sua volta, la relazione prefettizia sarebbe finalizzata al solo scopo di sottrarre l’autorità prefettizia, evidentemente compulsata in tal senso, alla proposta di adozione delle misure cautelari nei confronti del personale amministrativo, risulterebbe formulata in termini generici e dubitativi e, rimandando a mere risultanze processuali e ad una generica carenza di azioni di contrasto alla criminalità organizzata, nulla direbbe in ordine alla concreta esistenza dei presupposti di legge per procedere allo scioglimento. Invece la giunta disciolta, nei pochi mesi della sua attività si sarebbe adoperata a tutela della legalità e per contrastare le disfunzioni dell’apparato amministrativo;
3) I rilievi su cui baserebbero gli atti gravati ricalcherebbero per la gran parte le indagini a suo tempo svolte dal ministero dell’Economia e delle finanze, attraverso la Ragioneria generale dello Stato, dalla Corte dei conti e dalla Procura della Repubblica, che atterrebbero a fatti imputabili a precedenti amministrazioni e in ogni caso a inefficienze amministrative difettanti del nesso eziologico con la criminalità organizzata e che pertanto non assumerebbero alcuna valenza nella sede Tar. Il lavoro di indagine dimostrerebbe il cattivo funzionamento dell’ente ma non offrirebbe alcuna prova dell’esistenza degli elementi che la legge considera costitutivi del rischio di condizionamento a carattere criminale degli organi elettivi.
LE RISPOSTE
Ed ecco le risposte del Tar alle lagnanze.
1) Relativamente al primo punto – vale a dire che i collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso concernerebbero il solo personale amministrativo – i tre giudici affermano con nettezza che «l’illustrato iter argomentativo non trova alcun riscontro negli atti di causa».
2) Quanto al punto 2 – vale a dire la presunta generica e confusa relazione della commissione prefettizia – e anche al punto 3, la stessa Commissione ha dapprima preso atto del lavoro della commissione d’indagine (a partire dalle problematicità e criticità esistenti a carico dell’amministrazione comunale) condividendone gli aspetti negativi e ha poi concluso senza tentennamenti nel momento in cui ha presentato al ministro dell’Interno e dunque al Governo, il proprio lavoro.
Tanto che per l’organo esecutivo di sicurezza della Prefettura «le intromissioni della criminalità organizzata appaiono talmente ramificate e pervasive, che non risultano opponibili con il mantenimento della situazione attuale».
A fronte delle illuminanti parole utilizzate dalla relazione prefettizia in uno con la commissione d’indagine, per descrivere le gravissime anomalie rilevate a carico degli organi del Comune di Reggio Calabria, della assoluta concludenza e sovrapponibilità di tali anomalie con quanto accertato dalla commissione di indagine, della sicura attribuzione ivi contenuta della loro afferenza alla situazione straordinaria tipizzata dall’articolo 143 del Testo unico sugli enti locali – scrivono proprio così i tre giudici da pagina 20 della sentenza – il collegio giudicante stesso «non riesce a comprendere quali siano le titubanze e le ambiguità che i ricorrenti intendono attribuire all’Organo prefettizio nella visualizzazione del problema costituito dall’accertamento della permeabilità del Comune di Reggio Calabria all’influenza criminale delle cosche mafiose e nella individuazione dello strumento atto a fronteggiarlo».
Accertata l’infondatezza delle censure della ex Giunta Arena ricorrente, indirizzate contro la relazione della Prefettura di Reggio Calabria del 26 luglio 2012, per il Tar risultano destituite di ogni fondamento anche le doglianze secondo cui la proposta del Ministro dell’interno si connoterebbe per essere finalizzata ad “aggirare” le conclusioni assunte dal Prefetto e concludere comunque, ovvero al di là di quanto da esse consentito, per lo scioglimento dell’ente comunale. «Sul punto, va immediatamente rilevato che le conclusioni della relazione prefettizia risultavano, anche alla luce delle valutazioni della commissione d’indagine – motivano i tre giudici del Tar – univocamente concludenti per la proposta di scioglimento dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria ex art. 143 Tuel e non abbisognavano quindi di essere ulteriormente rafforzate o integrate, come suggerito dai ricorrenti».
NESSUNA CONDIVISIONE
E per far meglio capire che il tentativo dei ricorrenti – ex sindaco Arena Demetrio in testa – di cogliere in castagna diversi organi istituzionali dello Stato e loro servitori, con presunte contraddizioni che dimostrerebbero non solo una volontà politica di sciogliere il Comune di Reggio Calabria ma anche che nello Stato la mano destra non sa cosa fa la sinistra (cosa in vero frequente), il collegio giudicante del Tar Lazio scrive chiaro e tondo che «Ribadito, invero, che nella fattispecie non è rinvenibile alcuno scostamento tra la relazione della commissione di indagine, la relazione prefettizia e la proposta ministeriale, di talché tutte le argomentazioni ricorsuali in esame vedono sfiorire il loro presupposto sostanziale, consistente nella prospettazione di una relazione prefettizia contraria allo scioglimento, o comunque sul punto ambigua, che come detto non vi è, i termini assoluti fatti propri dal descritto impianto teorico non meritano condivisione».
Forse scosso per l’aggressività delle motivazioni dei ricorrenti, il collegio giudicante del Tar sottolinea poco dopo che: «Ancora, contrariamente a quanto rappresentato dai ricorrenti, il provvedimento mette in luce abbondantemente come i predetti elementi, dimostrativi delle pressioni esercitate dalla criminalità sugli organi elettivi, abbian
o generato non una generica condizione di disfunzionalità dell’ente territoriale (come si sostiene in ricorso) bensì proprio quell’azione amministrativa inadeguata a garantire gli interessi della collettività (perché alterante il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi, perché compromettente il buon andamento e l’imparzialità dell’azione amministrativa, perché compromettente il funzionamento dei servizi, perché arrecante gravi e perduranti pregiudizi alla sicurezza pubblica) che la ripetuta norma dell’art. 143 Tuel intende combattere».
Per ora ci fermiamo qui. Continuiamo domani.
2 -to be continued (la precedente puntata è stata pubblicata il 25 novembre)