Il 6 settembre il capo della Procura di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho ha detto, nel corso di in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, una serie di cose assolutamente condivisibili che le animelle calabresi hanno preso come un affronto.
Alcuni politici, alcuni intellettuali e alcuni imprenditori (mah!), hanno preso cappello e, chi più chi meno, chi con distinguo, chi con distacchi dialetticamente contorti, hanno rigettato le accuse.
Qualcuno si è spinto a ricordare che la Calabria è la madrepatria di menti illuminate della cultura, dell’arte, della Politica, della scienza e via di questo passo, omettendo di dire che quelle menti illuminate si rivolterebbero nella tomba se vedessero lo strazio che è stato fatto della loro genialità e omettendo di scrivere che la loro eredità è stata ignobilmente dissipata in pochi anni.
Qualcuno (sic) è arrivato a dire che le parole di De Raho potrebbero danneggiare il turismo. Certo! E’ l’onestà intellettuale di un capo della Procura che ostacola l’economia turistica (nella quale imperversa il nero, l’improvvisazione e la mediocrità a discapito degli operatori seri che hanno ancora il coraggio di investire), mica la mancanza di infrastrutture, alberghi degni, formazione, servizi e un mare depurato degno di questo nome…
Ma cosa ha detto di così sconvolgente uno tra i migliori Servitori dello Stato che può vantare questo Paese? Un magistrato che, se l’asse tutto siculo-romano che sta fibrillarmente brigando non interverrà a suo sfavore per mettere in quel posto un modesto perdente di successo, sarebbe tra i più degni per diventare il prossimo capo della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo?
«Questo è un territorio nel quale – ha detto – non si possono avere rapporti con altre persone. Perché quello che caratterizza la ‘ndrangheta è la sua capacità di confusione, d’infiltrazione e inquinamento dei vari settori: economico, politico e sociale. Quindi bisogna vivere sempre da soli».
Sbagliato? No: giusto e sottoscrivibile per i veri Servitori dello Stato in tutto il Sud, in particolar modo in Calabria. De Raho a questo si riferiva e su questo ragionava: l’atteggiamento che deve assumere e che è costretto ad assumere in terra calabra (e meridionale ma ormai non solo) il Servitore dello Stato.
A nulla vale dire – come qualche presunto politico ha indecorosamente sostenuto – che se questo discorso fosse ampliato a tutti gli strati, a partire dalla politica stessa, che ha invece di vivere il territorio, non ci sarebbero più relazioni sociali.
Posso dirlo? aA mio parere una cavolata sesquipedale. Per due motivi.
Primo, perché purtroppo è proprio la politica locale il primo canale di laido inquinamento e di confusione sociale, che rendono dunque obbligatorio il totale isolamento dei Servitori dello Stato da ogni minimo contatto che non sia quello obbligato (oserei dire quasi forzato) da rigidi protocolli istituzionali. O che non sia quello auspicato (ma di fatto miseramente latitante) della denuncia raccolta dallo Stato stesso.
Secondo, perché visto che quella classe politica locale assolutamente inaffidabile e per larghissime quote collusa o diretta espressione della raffinata strategia criminale non cade dal cielo calabrese ma viene votata e dunque scelta dagli stessi calabresi, ecco che, a maggior ragione, diventa giocoforza obbligatorio (e umiliante in primis per il popolo calabrese che anziché riflettere su questo, si chiude in un offeso atteggiamento) diffidare giù per li rami di ogni sguardo che ti fissa e ti incrocia e di ogni mano che stringi o che ti vuole stringere.
Calabresi è così o non è cosi? In altre parole: se un Servitore dello Stato ha paura di stringervi la mano, la colpa è sua o di un giudizio basato sui fatti e sulle ricorrenze fattuali?
Interrogatevi e rispondetevi.
Ma andiamo avanti.
«Non si ha mai la certezza – ha aggiunto De Raho – di parlare con l’antimafia o con persone che hanno preso una posizione ferma contro
la ‘ndrangheta. La ‘ndrangheta per essere battuta necessita di esponenti delle istituzioni che adottino anche un codice etico che riporti alla rinuncia a tutti i rapporti esterni che non siano quelli strettamente istituzionali».
Sbagliato? No giusto e sacrosanto. Lo raccontano le recenti e recentissime vicende. Indipendentemente dagli esiti giudiziari, esse sono moralmente, eticamente e socialmente esecrabili. Ma quelle vicende raccontano altro che Reggio e i calabresi fanno finta di non vedere: quell’antimafia parolaia era ampiamente alimentata non solo dalla politica parolaia ma anche da ampi settori parolai dello Stato, che così chiudevano il cerchio dell’antimafia parolaia e di facciata. Quale miglior sigillo dello Stato alla (presunta) antimafia sociale? Peccato che Reggio e i calabresi si stiano ancora leccando le ferite. Intendo dire quella parte (minoritaria) di Reggio e della Calabria che ha il coraggio – perché di questo si tratta in una terra devastata dalla ‘ndrangheta e dai sistemi criminali integrati – di vedere e di reagire.
Oltretutto chi critica le severe riflessioni di De Raho cade in un paradosso devastante. Si diceva e si dice infatti che lo Stato in Calabria e nel sud è assente e quando c’è e meglio evitarlo. Se così è o se così fosse, questo accade perché spesso (per precisa volontà) la scelta dello Stato non è caduta e non cade sui migliori Servitori a sua disposizione ma su figure che, nel migliore dei casi, sono di volontario passaggio “carrieristico” e, nel peggiore, sono borderline o, peggio ancora, parte integrante del sistema malato.
E una volta che lo Stato – da alcuni anni a questa parte – ti manda gente come Cafiero De Raho, come gli straordinari vertici della Polizia, dei Carabinieri e della Gdf che si stanno alternando in delicati punti di quella martoriata terra, tu, presunta elìte calabrese che fai? Ti offendi perché finalmente un Servitore dello Stato ha il coraggio di dire ciò che tutti i veri Servitori dello Stato dovrebbero dire, fare e condividere?
A tutela, si badi bene, della parte sana della popolazione calabrese, che si è rotta di vedere il magistrato camminare sul lungomare con il politico “acchiappa voti costi quel che costi” o con il professionista nullafacente che si è ricostruito l’imene della falsa verginità antimafia.
Ma andiamo avanti.
«Prima giocavo a tennis – ha rivelato De Raho – oggi non lo posso più fare perché anche quello determina entrare in un circolo, avere rapporti con persone. Cosa penserebbe il cittadino se mi vedesse insieme a persone che io reputo perbene ma che invece hanno rapporti che io ignoro. Penserebbero tutti ad una Procura inaffidabile».
Sbagliato? No giusto e sacrosanto, anche alla luce di più e meno recenti vicende giudiziarie che, lo ripeto allo sfinimento, indipendentemente dalle conclusioni processuali, testimoniano come i centri di condivisione sociale a Reggio (ma il discorso vale di sicuro per l’intero meridione) e in Calabria (vogliamo parlare di Cosenza, please?) siano l’imbuto depuratore che prova a incanalare, filtrare e raffinare ogni profilo che ne entra (anche in buona fede) a far parte. Lo scopo finale di quell’indegna melassa massonico/politico/mafiosa che governa la Calabria, è quello di creare un profilo unico: il “genere a disposizione”. Sia esso magistrato requirente o giudicante, professionista di ogni settore, giornalista, investigatore, uomo delle forze dell’ordine, politico o professore universitario.
Qualcuno ha il coraggio di negare questa banalissima verità?
Su una cosa, inoltre, vorrei appuntare la vostra attenzione. De Raho si pone una domanda che per decenni in Calabria nessuno si è posto pubblicamente e mediaticamente (in molti lo hanno fatto e lo fanno riservatamente): ma che penserà di me il cittadino sapendo che un giorno potrei essere chiamato a fare Giustizia sulla sua testa, se mi vedesse giocare un set con il potente imprenditore (grazie alle mammelle di Stato sempre gonfie di soldi pubblici) o con il potente dirigente o amministratore con il quale è in causa o con i quali ha un contenzioso per la semplice concessione di una licenza di pesca? O con professionisti (giornalisti inclusi) di cui molti conoscono passati e trascorsi che, almeno all’inizio, i Servitori dello Stato non conoscono o, pur conoscendoli, non riescono a disvelare in un’aula di giustizia)? Qui, in Calabria (anche qui, direi, oltre che in tutto il sud) il diritto viene vissuto ancora come un favore.
Ma andiamo avanti.
«Nel contrasto alla ‘ndrangheta – ha proseguito De Raho – non mi sento solo. Nell’ambito delle istituzioni i vertici sono rappresentati da uomini di altissimo spessore etico e di una straordinaria professionalità: il prefetto, il comandante provinciale dei carabinieri, il questore, il comandante della Guardia di Finanza. Persone con le quali si riesce a condividere un’impostazione strategica nel contrasto alla ‘ndrangheta. Una volta non c’erano denuncianti, oggi invece le vittime di estorsione a volte denunciano. E questo è un passo enorme se si tiene conto che la ‘ndrangheta controlla tutto. Nella città di Reggio Calabria anche per pitturare una parete è necessario chiamare l’impresa che è autorizzata a lavorare in quel edificio. Oggi invece ci sono cittadini che credono che questo sistema criminale può essere cambiato e che l’azione dello Stato è costante, seria e forte. Alcune persone si presentano spontaneamente per riferire di estorsioni subite da anni. Questa è la dimostrazione di
una società che sta cambiando».
Beh, qui, nella sola parte finale della riflessione, in parte, dissento ma De Raho, come Uomo e Servitore dello Stato, non poteva che esprimersi così, sia chiaro. Non credo, infatti, che la Calabria, il popolo calabrese sia ancora conscio dell’enorme occasione (irripetibile?) che gli sta capitando con Servitori dello Stato in centri nevralgici (Polizia, Carabinieri, Gdf e via di questo passo) pronti all’ascolto e all’azione. Ma sia chiaro che, per lungo tempo ancora, se c’è una possibilità in più di portare i calabresi a ribellarsi, a reagire e a denunciare, questa passa solo e unicamente da Uomini di Stato che gridano ai calabresi tutti e al mondo, di rifiutare pubblicamente di essere anche solo confuso con il “genere a disposizione”. E, per questo, infliggono una innaturale violenza a se stessi, giocando contro natura. Come? Isolandosi per permettere, alla Calabria e ai calabresi, di uscire dal proprio isolamento.
r.galullo@ilsole24ore.com