La mafia (in)visibile/3 De Stefano in società nelle quali neppure il Capo dello Stato potrebbe far nulla

Cari amici, da inizio settimana ho ricominciato a scrivere della mafia riservata e invisibile, vale a dire la quintessenza – secondo questo umile e umido blog – della stessa mafia.

Il pentito Nino Fiume, ballerino di lungo corso ‘ndranghetista per essere stato culo e camicia con i De Stefano, il 28 novembre 2016, nel corso di un’udienza del processo Breakfast, darà il meglio di se (rimando ai link a fondo pagina per le precedenti puntate).

Fiume nell’udienza toccherà anche il tema della massoneria, mai caldo come in queste settimane, e lo farà con riferimento al modo di esprimersi di Domenico Libri, don Mico, che non parlava mai di massoni ma di «nobili», quando a metà degli anni Settanta a Reggio nacque una superloggia a cui prendono parte personaggi di grandissimi rilievo e i cui contorni lo stesso Fiume delinea. Secondo Libri i «nobili non li dobbiamo toccare perché sennò siamo rovinati».

Per dare l’idea di quale fosse la potenza di fuoco che la massoneria poteva mettere in campo anche dopo la seconda guerra di mafia a Reggio Calabria, Fiume ricorda un viaggio che fece a Roma per accompagnare Carmine De Stefano che voleva spostare la sede legale di alcune società, nonostante fosse sconsigliato dal farlo da un loro amico avvocato. «Allora, io sono andato in quello studio ai Parioli a Roma – fa mettere a verbale Fiume – dove loro avevano una società, dove questo dottore era un massone amico loro, che gli teneva determinate coperture. La cosa che ha dell’incredibile… Lo avevo accompagnato e era rimasto fuori. Ci aprì un signore che aveva i guanti; c’era una specie di confessionale entrando sulla destra. Si sedette con questa persona, parlò e andammo via; dice: “Guarda, qua noi non siamo mai venuti” dice Carmine, “Dimentica che siamo venuti qua che siamo rovinati”».

E parlando, successivamente con l’avvocato che aveva sconsigliato i De Stefano dallo spostare le società in quel determinato periodo storico, l’avvocato gli dirà che «Paolo De Stefano faceva la società con persone dove non può accedere nemmeno il Presidente della Repubblica. E questo discorso simile, pensate le cose della vita, me lo fece Mimmo Condello, figlio di Luciano e Maria Romeo, che a suo dire aveva trascorso un periodo di carcerazione insieme all’ergastolano Domenico Papalia a Civitavecchia; e mi disse: “Sai, compare Paolo aveva una figlia, non lo sa nessuno, che lavora al ministero, che gli copre determinate cose su Roma, non lo conosce nessuno”; ho detto: “Ma che stai dicendo?”, “No, no, me l’ha detto Nicolò Papalia, sono cose riservate”, “No, guarda che lui è vero, ha nove figli, quattro con la moglie, tre con Carmela a Milano, due di Reggio che non lo sa nessuno. Però di questa qua ha capito male”. Mi fece un discorso molto simile a quello che poi aveva fatto l’avvocato …omissis…, sì».

Ora mi fermo ma la prossima settimana si ricomincia.

r.galullo@ilsole24ore.com

3 – to be continued

(si leggano anche

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