Pochi giorni fa – il 29 aprile per l’esattezza – la Calabria si è svogliatamente risvegliata al suono dell’ennesima operazione anti-‘ndrangheta (denominata “Reale 6”).
L’operazione, delegata ai Carabinieri del Ros e al Gico della Guardia di finanza dai pm della Dda di Reggio Calabria Antonio Gratteri, Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, che l’hanno coordinata, ha strapazzato, ancora una volta, mister preferenze Santi Zappalà, candidato (eletto) per il Popolo della libertà alle regionali del 2010. Costui, secondo l’accusa, avrebbe fatto il giro delle sette parrocchie mafiose pur di raccattare gli indegni e miserevoli voti controllati dalla ‘ndrangheta.
Rimando al link a fondo pagina per il servizio di ieri.
Oggi cavalchiamo ancora l’onda del patto tra ‘ndrangheta e politica (questo connubio è indissolubile in quel sistema criminale che infesta l’Italia e che va molto oltre, come ho scritto mille volte, la singola mafia come siamo abituati a conoscerla).
Per farlo partiamo da quanto i pm dicono e il Gip Cinzia Barillà, che il 17 aprile 2015 ha firmato l’ordinanza, sottoscrive a pagina 138 del provvedimento: «L’analisi delle emergenze in atti consente di affermare, inoltre, che in occasione delle elezioni é assai diffusa la pratica di rivolgersi alla ‘ndrangheta erogando somme di denaro in cambio della promessa di voti e che, da questo punto di vista, Santi Zappalà era notoriamente un candidato disposto a pagare profumatamente il “pacchetto voti” a disposizione dell’organizzazione mafiosa…».
Non è un “così fan tutti” (il Gip e così i pm non lo scrivono e non so se lo pensano) ma poco ci manca…Comunque sottoscrivono che rivolgersi ai padrini delle cosche è «una pratica diffusa». Se l’italiano ha un senso vuol dire che Zappalà (se sarà giudicato definitivamente colpevole) non è un’eccezione. E’ chiaro questo? Nessuno può spingersi (tantomeno sulla base delle evidenze giudiziarie) a scrivere che è la regola ma per un giudice e tre pm della Repubblica italiana fare il giro tra i quaquaraqua delle cosche non è un eccezione.
Andiamo avanti perché nelle pagine di questa interessantissima ordinanza c’è un risvolto importantissimo.
Ho sempre pensato – ancora una volta controcorrente – che non è affatto vero che la cancellazione del voto di preferenza indebolisce le mafie nel momento del voto alle elezioni politiche. Che il voto di preferenza gli agevoli il compito è indubbio ma che la cancellazione della preferenza li faccia disperare beh, proprio no.
Ho sempre pensato, infatti, che le mafie allevino come polli da batteria i politici o, viceversa, puntino su alcuni di loro, tra i tanti che bussano alle loro porte. Questi si chiamano “investimenti”. Se questo è vero (ed è vero, credetemi) le mafie sono pronte a seguire i propri “cavalli in erba” dalla culla alla tomba. In altre parole: dalle comunali su per li rami alle elezioni provinciali, regionali e infine politiche, con un ricambio necessario e vitale non solo per le cosche (che avrebbero in questo modo sempre più leve riconoscenti da manovrare in ogni Palazzo che conta) ma per le stesse aspirazioni di chi si vende o si fa comprare.
Liberi di non credermi (tanto non cambio idea) ma vi chiedo di soffermarvi su alcuni interessantissimi dialoghi captati il 14 marzo 2010 a casa di Giuseppe Pelle, nel corso dei quali “gambazza” figliolo classe ‘60, introduce la necessità che la ‘ndrangheta si proponga di agire in maniera unitaria in occasione delle consultazioni elettorali future, sostenendo un ristretto numero di candidati, al dichiarato fine di non disperdere voti.
“Gambazza” introduce il discorso così: «ogni paese chi ne ha due, chi ne ha tre, chi ne ha quattro .. o per me è una cosa che non la condivido, sapete perché? Perché poi ognuno ha le sue, voi avete le vostre, quello ha le sue, l’altro ha le sue e questi voti compare si disperdono tutti…Perché se voi portate, voi dovete stabilire, che portiamo due, tre persone l’anno prossimo nella Provincia, che si può o…due, tre e c’è la possibilità, c’è una possibilità che si va, ma se qua c’è tutta sta…».
Tutti i presenti, si legge a pagina 161 dell’ordinanza, si dichiarano d’accordo con Giuseppe Pelle (avrei voluto vedere il contrario…). Uno di loro, in particolare, evidenziò che spettava alla ‘ndrangheta e non ai partiti, scegliere le candidature (giusto, cazzu-cazzu!), in quanto un candidato che avesse potuto contare sui voti dell’intera organizzazione (o, quantomeno, di un mandamento sui tre) sarebbe stato certamente eletto alla Provincia; per cui i voti dei singoli locali di ‘ndrangheta (vale a dire cellule strutturate con almeno 50 affiliati) avrebbero dovuto essere gestiti indipendentemente dai partiti e convogliati in modo unitario su determinati candidati («però è una cosa che dobbiamo gestire noi in tutto il nostro locale, nel paese nostro dobbiamo gestircela noi, no che la gestiscono loro … Perché a noi ci tirano… un paese piccolo come Natile. Noi con i voti se si porta uno, d’accordo, noi con i voti nostri lo mandiamo alla Provincia»). Il problema era dovuto proprio alla mancanza di una strategia unitaria che indirizzasse i voti su un solo candidato («Quando ci sono le provinciali, non è che dicono: “d’accordo, mandiamone uno”»).
L’argomento sarà affrontato nuovamente il 27 marzo 2010 da Giuseppe Pelle con altri interlocutori. In quella circostanza il “boss” (?!) (come si legge nell’ordinanza, che lo definisce anche capo indiscusso ma vedrete nel servizio di domani che la parola diventerà questione di finissima interpretazione non ancora conclusa) di San Luca si espresse in termini ancora più espliciti con riferimento alla strategia unitaria che la ‘ndrangheta avrebbe dovuto adottare in occasione delle future elezioni politiche, criticando quello che fino a quel momento era stato fatto: affermava, in particolare, che per il consiglio regionale l’organizzazione avrebbe dovuto appoggiare candidati ben precisi, scelti fra soggetti appartenenti ai diversi mandamenti in cui l’organizzazione è strutturata («la politica nostra è sbagliata…omissis…se noi eravamo una cosa più compatta compà, noi dovevamo fare una cosa, quanti possono andare? Da qua…diciamo qua dalla jonica, quando raccogliete tutti i voti che avete, vanno tre persone per volta, altre tre vanno alla piana e sono sei, e vanno già sei per il consiglio regionale»).
Poi Pelle aggiunse che i candidati scelti dalla ‘ndrangheta ed eletti con i voti dell’organizzazione, se avessero dimostrato di meritarne la fiducia, sarebbero stati successivamente appoggiati per le elezioni politiche : «La prossima volta quei sei che dovevano andare…che escono dalle regionali, se si portavano bene andavano a Roma…andavano a Roma e andavano altri sei al posto di quelli, in questa maniera si può andare avanti, potevamo ottenere una cosa, uno…c’era chi ci guardava le spalle, poco dopo aveva … ». Altro che listone bloccato e listini: ci pensano loro, cazzu cazzu, a dare le consegne a chi deve redigere le liste elettorali!
E c’è chi è entusiasta della riflessione di Pelle (sfido io il contrario…). Così uno dei presenti evidenziò che per i politici l’appoggio della ‘ndrangheta era assolutamente fondamentale: «Compare, sapete quale è il fatto? Che noi siamo due di quelli che hanno bisogno, di noi, perché noi siamo una “valvola di scarico”, loro hanno bisogno di noi».
Già gli uni hanno bisogno degli altri ma noi, persone oneste e perbene, non abbiamo bisogno né della ‘ndrangheta e dei suo quaquaraqua né di quella politica di merda.
2 –to be continued (per la precedente puntata si veda