La politica in Calabria: 36 euro a voto nelle regionali del 2010 ma come si rientra da un “investimento” di 400mila euro?

Pochi giorni fa – il 29 aprile per l’esattezza – la Calabria si è svogliatamente risvegliata al suono dell’ennesima operazione anti-‘ndrangheta (denominata “Reale 6”, come nelle fiction televisive che affrontano la sesta stagione dopo che gli spettatori si sono già sorbiti le cinque precedenti).

L’operazione, delegata ai Carabinieri del Ros e al Gico della Guardia di finanza dai pm della Dda di Reggio Calabria Antonio Gratteri, Antonio De Bernardo e Giovanni Musarò, che l’hanno coordinata, ha strapazzato, ancora una volta, mister preferenze Santi Zappalà, candidato (eletto) per il Popolo della libertà alle regionali del 2010. Costui avrebbe fatto il giro delle sette parrocchie mafiose pur di raccattare gli indegni e vomitevoli voti controllati dalla ‘ndrangheta.

Se sarà colpevole lo diranno i giudici. A me tocca un altro compito. Quello di analizzare e dire, come spesso faccio, la mia senza guardare in faccia a nessuno.

Le operazioni anti-ndrangheta non sono tutte uguali. Ebbene, questa operazione, ad avviso di questo umile e umido blog, è degna di una serie di analisi che, per questo, vi proporrò a partire da oggi.

Cominciando da cosa, vi chiederete? Presto detto: da un rovello, vale a dire da un tormento interiore o, se preferite, da un pensiero ossessivo che non dovrebbe essere – attenzione – solo il mio ma di chiunque abbia a cura il futuro di quella terra che, nei suoi aspetti deteriori, sta “calabresizzando” lo mondo intiero.

Dunque, secondo l’accusa, Santi Zappalà da Bagnara Calabra, classe 60, avrebbe raccolto la promessa di voti in cambio di una stecca da 400mila euro di cui 100mila erogata con 10 assegni circolari (intestati a se stesso e poi “girati”) ai “tipini fini” della cosca Pelle di San Luca (e anche sul termine cosca, usata senza timore dai pm e con qualche cautela in più dal Gip Cinzia Barillà che il 17 aprile 2015 ha firmato l’ordinanza, tornerò facendovi diventare pazzo, come lo sono diventato io, su come la Giustizia possa spaccare il capello in multipli di 4).

Zappalà ha raccolto alle elezioni del 2010 ben 11.085 preferenze (davvero un bel “pacchetto” che, stranamente, non lo ha portato a “depositare” questa dote in un bell’assessorato tagliato a sua misura) e se la matematica non è un’opinione, questo vuol dire che ogni voto gli sarebbe costato circa 36 euro (lasciamo perdere i parenti stretti che magari lo avrebbero votato comunque).

Questo dà già la misura di quanto miserevole sia la politica calabro/italiana: un voto varrebbe in questo caso 36 euro ma ricordiamoci che la storia ci ha abituato a rialzi dell’ultima ora e ai “pacchetti famiglia” per chi porta in cabina anche i morti o i moribondi pur di tracciare una bella X su un nome e un cognome.

Al netto di questa considerazione sulle miserie della politica (!) la domanda che dovrebbe farsi chiunque (ma che ovviamente la stampa e la classe dirigente calabrese non si sono posta, impegnate come sono a non disturbare mai i manovratori della politica) è la seguente: ma se uno giunge (se sarà appurato fino a ad eventuale terzo grado di giudizio perché il principio di innocenza, come amo scrivere spesso, è costituzionalmente garantito fino a passaggio in giudicato) a pagare di tasca propria 400mila euro per salire sull’olimpo di un consiglio regionale, quando e come rientrerà da quella spesa che equivale all’introito medio di una vita di lavoro (inclusa buonuscita) di un funzionario pubblico?

E’ un “domandone” perché delle due l’una: o lo Zappalà di turno è talmente innamorato della Politica come gestione del bene pubblico comune da spogliarsi come novello San Francesco dei suoi averi pur di scendere in campo per il popolo che lo acclama come salvatore della patria oppure…Oppure, ne converrete, altrimenti convincetemi del contrario, quei 400mila euro sono un investimento per il futuro. Il proprio e con obbligo di ammortizzare e “rientrare” da quell’investimento, come farebbe qualunque imprenditore.

Si badi bene che il costo, in realtà è molto ma molto superiore a quei 400mila euro (somma che non ho mai visto nella mia vita e credo non vedrò mai). E già perché, sempre secondo l’accusa, mister preferenze avrebbe anche, come corrispettivo per i voti ottenuti da quei simpaticoni dei Pelle-Gambazza, promesso «al sodalizio una “corsia preferenziale” nel settore dei lavori pubblici e dei lavori comunque finanziati con soldi pubblici, che sarebbero stati in futuro affidati, in appalto o in subappalto, a imprese di riferimento della stessa; inoltre prometteva di attivarsi per far ottenere un trasferimento in un istituto penitenziario calabrese a Pelle Salvatore cl. 57 – altro elemento di vertice della omonima cosca, attualmente ristretto presso la casa circondariale di Roma Rebibbia -, sfruttando le sue conoscenze ed “amicizie” in ambito penitenziario, già utilizzate in passato per favorire altri detenuti.

Tale accordo, in ogni caso, produceva i suoi effetti già prima delle elezioni regionali, al punto che lo Zappalà, su esplicita richiesta di Mesiani Mazzacuva Giuseppe (soggetto, quest’ultimo, organico alla cosca Pelle), decideva di non effettuare alcuni lavori edili, non meglio determinati, che aveva programmato di eseguire, per tornaconto elettorale, nel comune di Bianco e lasciava esplicitamente “carta bianca” a Pelle Giuseppe e Mesiani Mazzacuva Giuseppe su decisioni di quel tipo, con innegabili riflessi in termini di rafforzamento e consolidamento dell’associazione, che dimostrava di essere in grado di condizionare le scelte del politico già prima delle elezioni regionali»  (si veda pagina 127 dell’ordinanza). Altro che 400mila euro per dire grazie…

Tornando a bomba: come sarebbe rientrato Zappalà da quell’esborso che supera abbondantemente i 400mila euro? La domanda la lascio in sospeso perché solo lui (neppure i pm o i giudici) può dare risposta ma, in ogni caso, questa domanda si lega a doppio filo all’aspetto che esaminerò domani su questo sempre umile e umido blog.

r.galullo@ilsole24ore.com

1 -to be continued