Cari amici di blog da giorni sto scrivendo dell’operazione Aemilia condotta la scorsa settimana dai Carabinieri e coordinata dal pm della Dda di Bologna Marco Mescolini (l’ordinanza è stata firmata dal gip Alberto Ziroldi) che ha consentito l’arresto di 163 persone tra Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia. Gli indagati sono 203, a vario titolo accusati di associazione mafiosa, omicidio, estorsione, reimpiego di capitali di illecita provenienza, riciclaggio, usura, emissione di fatture per operazioni inesistenti, trasferimento fraudolento di valori, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, danneggiamento e altri reati, aggravati dal metodo mafioso.
Ne ho scritto a lungo anche sul Sole-24 Ore ma su questo umile e umido blog voglio ampliare l’orizzonte.
Ad esempio andando a vedere quali sono state le contemporanee ricadute su Mantova e sulla sua provincia, al momento salite agli onori della cronaca nazionale (quella locale ha ovviamente scavato) per il fatto che l’attuale sindaco di Mantova di Forza Italia, Nicola Sodano, è indagato per associazione a delinquere e corruzione.
Ebbene, io stesso, abituato come sono da 10 anni a leggere fiumi di ordinanze, sono rimasto basito leggendo l’ordinanza con la quale il Gip del Tribunale di Mantova Matteo Grimaldi, ha aderito (non in tutto) alle richieste prospettate dalla Dda di Brescia (pm Paolo Savio e Claudia Moregola) con l’operazione Pesci, delegata al Nucleo investigativo dei Carabinieri e (col)legata appunto all’omologa “Aemilia” della Dda di Bologna.
Il Gip infatti, con riferimento agli indagati fermati il 28 gennaio 2015 con provvedimento della Procura-Dda di Brescia ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere per Giuseppe Loprete e Paolo Signifredi e gli arresti domiciliari per Gaetano Belfiore, Rosario Grande Aracri, Salvatore Grande Aracri, Antonio Muto e Moreno Nicolis. Sono accusati di estorsioni continuate aggravate dal ricorso ai metodi mafiosi.
Fin dalle prime battute dell’indagine, anche grazie ad una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali, investigatori e inquirenti si rendono conto dell’esistenza di una vera e propria struttura mafiosa nel territorio di Mantova, che affonda le sue radici genetiche nella cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone).
Le conversazioni intercettate, infatti, hanno delineato l’esistenza di rapporti strutturati e non di mera e generica relazione tra alcuni indagati e altri personaggi già accertati come organici alla cosca Grande Aracri. È emerso inoltre che gli ordini relativi all’impiego presso i cantieri della provincia di Mantova di ditte o maestranze facenti riferimento alla famiglia ‘ndranghetista derivavano direttamente dal capo clan Nicolino Grande Aracri e facevano generalmente seguito a veri e propri summit che si tenevano a Cutro. In particolare, si legge a pagina 16 dell’ordinanza del Gip, l’individuazione di Antonio Rocca e di Salvatore Muto (con la Magisa srl) per l’insediamento nel cantiere di Campitello di Marcaria è stata decisa nel corso di un summit mafioso tenutosi a Cutro tra il10 e il 20 agosto 2011, al quale risultano aver partecipato Nicolino Grande Aracri, Francesco Lamanna, Antonio Rocca e Antonio Muto. Questo è comprovato non solo dalle conversazioni intercettate ma anche dall’analisi dei tabulati del traffico telefonico.
La scorsa settimana mi sono interessato delle “mani sulla citta” di Mantova che era negli auspici di alcuni indagati. Oggi vorrei soffermarmi su un aspetto importante e conseguenziale.
ANTONIO MUTO
Si può dire che, per l‘accusa, molto ruota proprio intorno alla figura di Antonio Muto, certamente uno dei più affermati imprenditori edili in provincia di Mantova, protagonista di una rapidissima ascesa professionale e sociale, grazie alla quale, ricorda ancora il Gip aderendo all’impostazione della Dda, ha intessuto una fitta serie di rapporti con numerosi amministratori locali e altri rappresentanti delle istituzioni, con i quali, si legge ancora da pagina 58, ha intrattenuto anche plurimi rapporti illeciti, come emerso nel corso dell’indagine.
Anche per questo motivo, sottoscrive il Gip, Antonio Muto è divenuto la figura di riferimento nell’ambito della comunità crotonese che si è insediata nel mantovano. Al di là della sua evidente esteriore emancipazione sociale, ha mantenuto un fortissimo legame con la comunità di origine, relazionandosi con continuità – sebbene talvolta in maniera occulta – con i cutresi e mesorachesi stanziati nel mantovano.
Un vero e proprio leader, tanto da avere coniato egli stesso, si legge a pagina 58 del provvedimento, il motto «non si muove foglia che Muto non voglia».
LA TELEFONATA
Del resto il suo allineamento a logiche palesemente omertose, continua il Gip allineandosi all’ipotesi accusatoria della Dda di Brescia, si evince dalla reazione all’incendio (chiaramente doloso) dell’autovettura intestata a una delle sue società e in uso al figlio, data alle fiamme la notte del 21 settembre 2011. Ebbene, scrive ancora il Gip, in tale frangente, Antonio Muto ha fin da subito inteso chiarire all’opinione pubblica che l’evento era senz’altro da ricondursi a cause accidentali. parlando di autocombustione, benché dalle intercettazioni emerga la sua chiara consapevolezza dell’origine dolosa dell’atto.
Questi elementi, si legge, non fanno che corroborare le già chiare emergenze investigative circa l’inserimento di Antonio Muto nel contesto ‘ndranghetista.
Le intercettazioni svolte dalla Dda di Catanzaro e dalla Dda di Bologna, poi, offrono, per l’accusa. ulteriori decisivi argomenti.
Nella conversazione registrata il 3 novembre 2012 all’interno dell’abitazione di Nicolino Grande Aracri, lo stesso boss cutrese indica in Antonio Muto un soggetto «a disposizione» della cosca, al quale si può fare riferimento in caso di necessità.
Ecco il testo (legenda, Gan: Grande Aracri Nicolino; A:Alfonso, non meglio identificabile, L: Lamanna Francesco; X: voce maschile non identificata).
Gan: quando, quando ci sono problemi di nafta e non sappiamo dove scaricare.. come e quando… no? Potete andare pure a Mantova là dov’è… dove c’è Totò dov’è Totò Muto
A: ora facciamogli il lavoro…scarichiamo
Gan:… Totò Muto
A: …ne prendiamo 10-15…dopo che ho scaricato lì…c’è il guadagno.
X: …il coso di qua…
Gan: Totò Muto
X: no, è là sopra…
LA DIFESA
Giusto dar conto delle prime reazioni di Muto (non sono un giudice e non sta a me giudicare ma solo raccontare e offrire spunti di valida riflessione).
Ebbene, il 31 gennaio, la Gazzetta di Mantova riporta online questa sintesi: «Nell’incontro con i giornalisti, ieri pomeriggio, Sodano (il sindaco di Mantova, anch’egli indagato, ndr) ha respinto qualsiasi accusa: “Sono onesto, non sono un mafioso. Voglio girare a testa alta”. E poi è scoppiato a piangere. Il costruttore Antonio Muto, che si trova in isolamento, è accusato dai pm antimafia di tre estorsioni. Gli vengono contestati episodi aggravati da metodi mafiosi ai danni di membri delle sue società. Muto si dichiara innocente».
4 – to be continued (per le precedenti puntate si vedano http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2015/02/04/operazione-aemilia1-nellospedale-di-crotone-rivive-il-set-del-padrino-con-la-devozione-di-villirillo-a-grande-aracri/)