Ieri tutti i media (compreso il portale del Sole-24 Ore per il quale ho scritto due articoli ai quali rimando attraverso una semplice ricerca con parola chiave nello spazio “cerca” del sito) hanno riportato la notizia dell’ordinanza di custodia cautelare firmata il 14 novembre dal Gip Simone Luerti che ha condotto in carcere 35 persone (oltre a tre finiti ai domiciliari) accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, detenzione e porto abusivo di armi. Al centro delle indagini delegate al Ros dei Carabinieri dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini, tre sodalizi della ’ndrangheta radicati nel Comasco e nel Lecchese, con diffuse infiltrazioni nel tessuto locale e saldi collegamenti con le cosche calabresi di origine. A colpire l’immaginario collettivo sono state le immagini che coglievano, per la prima volta in Italia (la prima volta fu in Canada nel 1985) i riti di affiliazione e i giuramenti dei nuovi “ingressi”. L’operazione è stata chiamata Insubria, che è convenzionalmente il nome dato ad un’area che abbraccia le provincie di Como, Lecco, Verbanio-Cusio-Ossola, Varese e che si spinge fino in Svizzera (Canton Ticino e Grigioni italiani). C’è chi si spinge a ricomprendervi anche la provincia di Pavia.
Un parte molto interessante, la più interessante a mio giudizio, è però quella nella quale l’ordinanza (da pagina 51) sottolinea che l’imprenditoria non si limita a subire la ‘ndrangheta ma fa affari con la stessa, prendendo l’iniziativa per il contatto con la criminalità organizzata e ricavandone momentanei vantaggi.
LUOGHI COMUNI DA SFATARE
La Dda di Milano e con essa il Gip che ne recepisce e arricchisce le riflessioni e i ragionamenti rivendica che le indagini condotte hanno permesso di sfatare uno dei luoghi comuni più frequenti in tema di criminalità organizzata calabrese in Lombardia.
Spesso si parla di “infiltrazione” della ‘ndrangheta nell’economia legale e il termine fornisce l’idea di una penetrazione di qualcosa di negativo all’interno di un tessuto sano, una sorta di attacco dall’esterno nei confronti di una realtà che prova inutilmente a resistere.
Il termine infiltrazione pertanto presuppone una sorta dei verginità e purezza del tessuto sociale aggredito e una valutazione negativa dell’aggressore. Scontata quest’ultima, la pretesa purezza del destinatario dell’aggressione è una sorta di baconiano idolum fori che va sfatato.
IDOLA FORI
Questa colta e dotta digressione della Procura e del Gip va spiegata. Per Francis Bacon, il filosofo, politico, scrittore e giurista inglese vissuto sotto Elisabetta I Tudor e Giacomo I Stuart a cavallo tra il Millecinquecento e il Milleseicento, per potere giungere alla conoscenza certa di un fenomeno bisognava conoscerne la parte costruttiva e quella distruttiva. Quest’ultima è composta dagli “idoli”, cioè dalle illusioni, tra le quali spiccano gli “idola fori”, ossia le illusioni della “piazza”, fallaci, equivoche, irreali.
In altri termini il concetto di infiltrazione potrebbe avere avuto una sorta di effetto catartico e autoassolutorio per la società civile, continua il provvedimento emesso ieri, dipinta come vittima di una specie di generalizzata estorsione.
«Al fine di adeguare il linguaggio alla realtà che si vuole descrivere è pertanto necessario – si legge da pagina 52 del provvedimento – fare un percorso del tutto analogo a quello fatto nell’analisi dei rapporti tra corruzione e concussione: il termine corruzione rimanda all’immagine di un corruttore proveniente dal corpo sociale che intacca un innocente pubblico funzionario: da qui probabilmente l’ormai superato criterio dell’iniziativa per distinguere tra corruzione e concussione (se il pubblico agente prende l’ iniziativa, non è certo “puro” e pertanto commette concussione); oggi si continua ovviamente a parlare di corruzione, ma ci si è liberati (in quanto non più corrispondente alla realtà) dell’anacronistica immagine del pubblico funzionario illibato che deve resistere al privato corruttore.
Allo stesso modo sarebbe necessario abbandonare il termine infiltrazione per evitare di consolidare una sorta di presunzione dello status di vittima dell’ imprenditore che entra in rapporti con la ‘ndrangheta.
Nelle vicende indagate dalla Dda di Milano certamente emerge lo squilibrio di forze in campo tra ‘ndrangheta e imprenditoria, ma ciò avviene quando l’imprenditore non soddisfa i “desiderata” dei mafiosi e questi svelano il loro vero volto».
LE SINGOLE FIGURE
L’indagine Insubria presenta figure di imprenditori che entrano in rapporti con la ‘ndrangheta. Vediamole.
• Un imprenditore incarica un presunto boss del “locale” di Fino Mornasco, con la dote di “tre quartino”, di riscuotere un preteso credito nei confronti di un avvocato e di un commercialista svizzero. Il presunto boss, avvalendosi di altre persone, non esita a progettare e compiere numerosi atti di intimidazione.
• un imprenditore nel ramo dei carburanti affida l’incarico di riscuotere un credito di 300mila euro allo stesso presunto boss di Fino Mornasco Michelangelo e altri soggetti, vantato nei confronti di una società che opera nel campo dell’impiantistica elettrica e dichiarata fallita dal Tribunale di Como. Il rapporto tra l’imprenditore e i presunti appartenenti alla ‘ndrangheta è stato mediato da un terzo soggetto.
• L’ad di una srl incarica alcuni soggetti presunti appartenenti alla ‘ndrangheta di riscuotere un credito di un milione vantato nei confronti di alcuni clienti.
• un altro soggetto, che apparentemente nulla dovrebbe avere a che fare con la ‘ndrangheta, incarica il presunto boss di Fino Mornasco di effettuare un’estorsione nei confronti del titolare di numerose attività commerciali.
• Il socio e amministratore di una società unipersonale di idraulica incarica
un altro presunto affiliato di effettuare il recupero di un credito vantato nei confronti di un terzo. Ovviamente il credito verrà riscosso con modalità mafiose.
• Il gestore di un bar/tabacchi chiede protezione in quanto a suo dire sarebbe minacciato da persone di origine extracomunitaria che si sono presentate presso il suo esercizio
• C’è infine chi, protagonista di un dissidio con un proprio vicino di casa, chiede aiuto ad un presunto ‘ndranghetista.
Insomma, la ‘ndrangheta come vera e propria agenzia di servizi.
IL CAPITALE SOCIALE
Ovviamente non è solo l’imprenditoria “furba” ed autolesionista ad entrare nel cosiddetto “capitale sociale” delle cosche di ‘ndrangheta. Come ben hanno dimostrato le indagini da decenni, ne fanno sempre più parte il mondo politico ed esponenti della pubblica amministrazione, specifica il Gip, oltre che, aggiungerei, altri mondi, come quello massonico deviato, dei servitori infedeli dello Stato, dei professionisti al soldo e della stampa omertosa o al soldo.
Del resto, ciò che distingue la criminalità comune dalla criminalità mafiosa è la capacità di quest’ultima di fare sistema, «di creare un medesimo locco sociale con esponenti della classe dirigente locale – si legge da pagina 64 dell’ordinanza – di creare rapporti tra le classi sociali, di costruire rapporti di reciproca convenienza. Si tratta di legame strumentali, poco stabili, privi di contenuto affettivo (a differenza dei legami che si instaurano tra gli appartenenti all’associazione), ma che creano obbligazioni reciproche estremamente vincolanti».
Insomma, non è amore, sono affari.
Tali rapporti si possono ricondurre, continua ancora il Gip, alla nozione di “amicizia strumentale” caratterizzata da scambio
di risorse tra “gli amici”, continuità nello scambio e dalla natura aperta di tale amicizia, nel senso che ciascuno degli amici agisce come “ponte” per altri “amici”.
Del resto i mafiosi hanno interesse a instaurare questi rapporti in quanto questo consente loro
• di aumentare il proprio capitale sociale (e di conseguenza anche quello dell’ associazione);
• di entrare a far parte della rete di rapporti del soggetto, con ulteriore incremento della rete di rapporti;
• di porsi come punto di raccordo tra le reti di rapporti facenti capo ai vari individui con cui entrano in contatto, esercitando una sorta di mediazione tra ambienti sociali.
Bene ora mi fermo qui ma domani torno con un nuovo approfondimento.
r.galullo@ilsole24ore.com
1 – to be continued