La scorsa settimana, presso la sede della Caritas Italiana a Roma, nel corso dell’assemblea annuale delle Fondazioni antiusura associate alla Consulta nazionale, è stata presentata una straordinaria ricerca curata dal sociologo Maurizio Fiasco. Il titolo della ricerca è “Il gioco d’azzardo e le sue conseguenze sulla società italiana. Il peso del gioco illegale nelle province italiane”. Tanto per dare un’idea; nel 2013 il gioco d’azzardo ha movimentato 84 miliardi e 728 milioni.
Ebbene, questa approfondita ricerca (del resto conoscendo Fiasco da 20 anni non avevo dubbi sulla meticolosità della stessa) stila classifiche, si profonde in analisi ma sfata anche qualche involontario luogo comune.
Come ad esempio quello per il quale la provincia di Pavia sarebbe diventata, negli ultimi anni, il regno del gioco d’azzardo. Una sorta di Las Vegas occulta, persa nelle nebbie lomelline dove, evidentemente, alla noia delle giornate uggiose si risponde con frenetici slanci sulle leve delle slot machines.
Il dato della provincia lombarda – 2.954 euro procapite, escluso l’online, versato all’azzardo nell’anno 2012 – è sempre apparso anomalo sin dalla messa a regime del business degli apparecchi automatici. Già nel 2007 era risultato un picco sul complesso delle province, con un valore pavese di 1.417 euro. Negli anni successivi si riconfermava un netto distanziamento sia dalla media nazionale che da altri territori dal profilo simile. In definitiva, a Pavia di spenderebbe, per persona, circa il
doppio di quanto si impiega nella media nazionale.
A far chiarezza giunge la ricerca che, prendendo alcuni parametri di riferimento (indice di presenza mafiosa elaborata dal Viminale, spesa procapite ufficialmente registrata per le “macchinette” e popolazione residente) giunge ad una conclusione: la capitale del “nero” (vale a dire le puntate che sfuggono al controllo, che a livello nazionale la ricerca ha quantificato intorno al 20%, vale a dire una su cinque) nelle slot machine e videolottery è la provincia di Napoli. Subito dopo Reggio Calabria, Vibo Valentia, Palermo e Caltanissetta. Le province virtuose, dove invece le differenze percentuali tra incasso ufficialmente registrato e “nero” sono basse, sono quelle di Pordenone e, a seguire, Oristano, Chieti, Biella e Bolzano.
E Pavia? Già, Pavia…Ebbene, questa provincia lombarda per la quale si sono scomodati orde di giornalisti da tutto il globo terracqueo (uno pensa che il mondo gira in un modo e che magari a Scampia si gioca a manetta e invece scopri che in mezzo alle risaie ci sono gli assatanati del videolottery) si colloca al 37esimo posto, con una percentuale di “nero” (ripetiamo: giocate non registrate, ergo con apparecchiature scollegate o manomesse) del 2,69%.
“Che vor di?” direbbe un romano curioso come me? Vuol dire che l’irregolarità nel gioco è nella media. Anzi: è bassa. Fino a Trieste (che occupa il 53esimo posto nella classifica, quindi siamo alla meta delle province italiane), siamo intorno al 4% massimo (con Trieste, appunto, oltre con il 4,73% di “nero).
Dopo, dalla provincia di Bologna in poi, scatta qualcosa. Quel qualcosa per me è la presenza imperiosa delle mafie che (lo sanno perfino i nostri governanti) ha una mano pesantissima sul gioco d’azzardo (regolare e no).
Prendiamo la provincia di Modena, ad esempio, dove i Casalesi fanno affari da decenni e dove le cosche di ‘ndrangheta sono vieppiù potenti. Ebbene, si trova al 67esimo posto, con un “nero” superiore al 10%. Un caso? Come no…
Concludendo, eccovi le parole di Maurizio Fiasco. «Vi è nella città medievale – si legge nella ricerca – per l’appunto un “tasso di regolarità” che costituisce la vera anomalia. Rovesciando le conclusioni sinora molto strillate, proprio Pavia potrebbe rappresentare la metrica di base per stimare il nero che esiste (indisturbato) altrove».
Capitolo chiuso. Solo che resta il dramma (nazionale): quello del gioco.
r.galullo@ilsole24ore.com