Pane al pane e vino al vino. Nicola Gratteri, procuratore aggiunto della Repubblica di Reggio Calabria, è fatto così. Prendere o lasciare.
C’è chi lo ama (la gente comune) e chi, non potendolo comunque non amare o rispettare, lo ignora (buona parte della magistratura che snobba quella sua ruspantezza che poco si addice ai piani alti delle presunte ed eccelse classi dirigenti italiane).
Tutti (impossibile non farlo), ne apprezzano le qualità professionali e umane che, talvolta, vengono tirate per la giacchetta dalla politica. Calabrese (ammesso che esista) ed italiana (ammesso che esista).
In questo momento, ad esempio, in Calabria, destra, centro e sinistra (ammesso che esista una differenza reale in quella regione) si sparerebbero in una gamba pur di candidarlo alla tolda di comando della Regione, visto che il Governatore Giuseppe Scopelliti è uscente. Lui li lascia fare e spero non ceda mai alla tentazione di avere a che fare con la politica calabrese (di ogni colore). Verrebbe sbranato.
Una prova della sua schiettezza, Gratteri l’ha data (dico io fortunatamente) ancora una volta il 14 aprile in sede di audizione in Commissione parlamentare antimafia (di questo mi occuperò in questo umile e umido blog nei prossimi giorni).
Il discorso, ad un certo punto, è scivolato proprio sulla politica. Ecco cosa ha detto Gratteri. «Mi rendo conto della difficoltà della politica calabrese. È una politica debole. I parlamentari calabresi sono molto deboli. Sono pochi e, inoltre, c’è il dilemma se nelle ultime quarantott'ore si debba cedere al voto di scambio o meno. Sul palco tutti diciamo che non vogliamo i voti della mafia. Bisogna vedere l'ultima o la penultima notte che succede».
E tenete conto che di fronte aveva anche i parlamentari calabresi, come quella Dorina Bianchi (Ncd e scopellitiana di ferro) che pochi minuti prima aveva detto: «Le dico un'altra cosa, però: noi, come classe politica calabrese, abbiamo una difficoltà reale nel momento in cui andiamo a gestire le comunità locali, in primo luogo se non se ne fa parte e non le si conosce. Pur avendo io vissuto tutta la mia vita a Crotone, le devo dire che in una circostanza, peraltro di una manifestazione anti-’ndrangheta, mi sono trovata vicino a uno dei figli degli Arena, il quale si è presentato a me e mi ha chiesto se fossi una giornalista. Io non l'ho riconosciuto. Le faccio questo esempio per dirle che non sempre è semplice da parte dei calabresi conoscere realmente il fenomeno».
Un azzardo rifugiarsi dietro il “ma come faccio a sapere”, visto che poco prima Gratteri, non in risposta a Bianchi ma nella sua introduzione, aveva detto che: «Oggi, invece, sono i politici che vanno a casa dei capimafia, a chiedere pacchetti di voti in cambio di appalti. Mediamente in Calabria i paesi hanno 5.000 abitanti. Tutti ci conosciamo e nessuno può dire di non sapere chi è il mafioso. È impossibile, perché siamo nati nello stesso paese di 5.000 o 15.000 abitanti. Non puoi dire che non sai chi è il mafioso, chi è il faccendiere, chi è il politico, chi è la persona onesta. Lo sappiamo tutti. Eppure anche la Chiesa, anche i preti, anche i vescovi hanno detto che non possono chiedere il certificato penale. Se sei vescovo da dieci anni in quel paese, non mi puoi dire questo. Questa risposta non mi appaga. È una foglia di fico. Oggi se è il politico che va a casa del capomafia a chiedere i voti, vuol dire che nel comune pensare e sentire si ritiene che il modello vincente è il capomafia. Perché il capomafia interviene anche sulla ristrutturazione di un marciapiede da 20.000 euro? Con tutti quei soldi si interessa pure di un marciapiede? Sì, perché lui farà lavorare per venti giorni cinque padri di famiglia per quel lavoro, e quando sarà ora di votare quei cinque padri di famiglia si ricorderanno di votare per il candidato prescelto dal capomafia».
Per il momento mi fermo qui ma domani torno con un altro approfondimento dell’audizione di Gratteri, perché ha avuto il coraggio di mettere soprattutto la politica calabrese nuda davanti alla sua pochezza. Senza guardare in faccia a nessun colore politico.
1- to be continued
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