Le dimissioni dei sindaci reggini di Benestare e Monasterace allo specchio: lo Stato non è “altro da sé”

Non conosco l’ex sindaco di Benestare, Rosario Rocca.

A lui – ex primo cittadino di una comunità di appena 2.521 abitanti nella provincia di Reggio Calabria – va la mia solidarietà (per quel che conta) alla luce delle sue dimissioni indotte – per quanto è dato capire dalla sua lettera spedita 48 ore fa innanzitutto al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano – dallo «stato di isolamento del nostro territorio da parte di uno Stato sordo e assenteista…Lo stato di abbandono, di isolamento e abbandono in cui versa il nostro territorio, dimenticato volutamente e tragicamente da uno Stato sordo e assenteista, non mi consente più di rappresentare dignitosamente la mia gente. Né ritengo di averne più la forza dopo anni di resistenza isolata (e inascoltata) al malaffare, alla criminalità e alla burocrazia autoreferenziale».

Una ragione vera, profonda, che peraltro non è la prima volta che compare in Calabria sulle bocche dei sindaci. Di recente ancor più clamore fece la sortita del sindaco (ex) di Monasterace, Maria Carmela Lanzetta che si dimise per ben due volte per ragioni analoghe.

Certo che suona beffardo, quel nome – Benestare – che con molta probabilità deriva dalla sua posizione panoramica a pochi chilometri dalle rive dello Jonio. A ben guardare, tanto bene non si deve stare…

Non conosco Rocca. Non conosco Lanzetta. Non so se siano stati mediocri, buoni o cattivi sindaci. Non so neppure se esistano affinità tra i due ex primi cittadini. Non parlo di quelle politiche (non mi interessano visto che la legalità non ha colore) e neppure della comunanza nell’aver subito entrambi minacce e intimidazioni.  Intendo affinità superiori, nei valori e nei principi che debbono reggere le condotte dei singoli e di una comunità amministrata. A quanto pare si.

Eppure – lo dico sottolineando che mai e poi mai farei il sindaco in Calabria, terra devastata e irrecuperabile come ho scritto centinaia di volte – tra le due dimissioni sembra eserci una differenza profonda.

Alla base della scelta assunta da Lanzetta l’8 luglio sembra ci fosse la riluttanza di alcune delle persone a lei più vicine in Giunta a costituire il Comune (ora commissariato) parte civile in un processo che mette sotto accusa anche la gestione di un funzionario dell'ente pubblico. Il 1° luglio 2012, invece, le dimissioni fuorno presentate per la continua pressione intimidatoria alla quale era sottoposta. Tirando le somme, dunque, nel 2012 motivi personali (poi superati anche grazie all’assegnazione di una scorta) e pochi mesi fa ragioni dettate dalla consapevolezza che, beh, forse non tutti in giunta remavano nella stessa direzione.

Se si legge la lettera disperata (e disperante) di Rocca, invece, la colpa viene innanzitutto riversata sullo Stato che in Italia viene sempre vissuto come “altro da sé”.

Ora, che lo Stato in Calabria sia latitante e in ampie zone inesistente è lapalissiano. Solo chi non vuole non se ne accorge e non vorrei essere nei panni di questo ex sindaco che – ne sono certo – si sarà dovuto perfino umiliare tra prefetture, questure e luoghi istituzionali, pur di provare (solo provare) ad avere udienza.

Ciò che non condivido – lo dico con la franchezza che mi contraddistingue – è il fatto che Rocca abbia usato la parola «criminalità» anziché la parola ‘ndrangheta. Vede, Rocca, lei sa molto meglio di me che in Calabria le parole sono più pesanti dei macigni e il vostro territorio (non metto in dubbio che esista criminalità comune e magari, a scuola, anche il bullismo), mi permetta, accerchiato com è da San Luca, Platì, Careri, Ardore, Bovalino, Bianco, è semplicemente piegato dalla ‘ndrangheta e non dalla «criminalità».

La usi, Rocca, quella parola perché non è più ancorabile alla concezione rurale e ignorante di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, ma è legata a doppio filo a quella «burocrazia autoreferenziale» che lei pure denuncia. Essere benestaresi non vuol dire assolutamente essere criminali ma vuol dire, ahimè, essere molte volte costretti a piegare la testa (o a girarla dall’altra parte) di fronte alla forza intimidatrice della ‘ndrangheta fatta, innanzitutto, di pezzi marci dello Stato e delle Istituzioni. Del resto, lei stesso, dice di  aver vissuto «anni di resistenza isolata (e inascoltata)».

Se tutto questo è vero – e non ho motivi per dubitarne, anzi – credo che lo Stato non possa essere vissuto in Calabria come “altro da sé”, come qualcosa di lontano e distaccato.

Nossignore. Lo Stato è fatto anche (e nel suo territorio solo) di cittadini di Benestare che forse – in questi lunghi anni di battaglie – hanno preferito girarsi dall’altra contando che sarebbe arrivata la cavalleria (lo Stato? Quale Stato?) a salvarli e a salvarvi.

Ecco – rinnovando la mia solidarietà pur non conoscendola – la invito anche a pensare che, di «sordo e assenteista» in Calabria, non c’è solo lo Stato – entità lontana, indefinibile e astratta in una denuncia – ma anche, forse, il suo ex compagno di banco, il suo vicino di numero civico, la sua vicina in Chiesa la domenica, il suo collega d’ufficio, il commilotone del suo paese, il cliente con il carrello davanti al suo nel mini-market del paese o il correntista che la precede in fila alla Posta.

Insomma: il suo Stato nello Stato.

r.galullo@ilsole24ore.com

  • guido |

    mi devo complimentare con Lei perché i suoi articoli di denuncia del malaffare calabrese dove n’drangheta e blocchi politici si interfacciano da sempre , risultano completi e veritieri nella lettura della quotidianità . Inoltre pochissimi giornali nazionali dedicano un esame quasi da microscopio a questo cancro che ha sconvolto questa regione e che è attivo da sempre. Cosa faccia lo Stato nazionale per aiutare i cittadini a non
    abbassare la testa non è ancora chiaro : pochi magistrati oberati da inchieste, intelligence non sufficiente o in alcuni casi complice,spesa nel settore dell’istruzione ridicola a fronte di una organizzazione che ha decine di miliardi di euro da spendere in questa guerra continua che impedisce alla regione un adeguato sviluppo economico

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