Cari amici, continuo a “spigolare” tra alcune angolature straordinariamente interessanti dell’operazione Esperanza con la quale la scorsa settimana la Squadra mobile di Milano ha smantellato una presunta organizzazione mafiosa (otto gli arrestati) attiva in Lombardia e ritenuta emanazione diretta di Cosa nostra siciliana. Al centro delle indagini della Polizia di Stato, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano (il pm titolare è Marcello Tatangelo), una rete di società cooperative attive nella logistica e nei servizi, che, mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera, hanno (avrebbero) realizzato profitti in nero almeno dal 2007.
Parte di questi profitti è stata poi utilizzata – secondo inquirenti e investigatori – per sostenere, dal punto di vista logistico ed economico, importanti esponenti di Cosa nostra, detenuti o latitanti. Altro denaro è stato invece investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente l’economia lombarda.
Tra i capi dell’organizzazione una figlia e un genero di Vittorio Mangano, morto nel 2000 e ritenuto al vertice del mandamento mafioso di Porta Nuova. Le accuse, a vario titolo, sono di associazione mafiosa, estorsione, false fatturazioni, favoreggiamento e impiego di manodopera clandestina.
La scorsa settimana abbiamo visto il matrimonio di interessi tra Cosa nostra e ‘ndrangheta nel nome degli affari (rimando al post in archivio).
Poi mi sono concentrato sulla reale forza di intimidazione sul territorio milanese nei confronti degli imprenditori costretti – secondo la ricostruzione della Procura – a cedere attività alle presunta associazione mafiosa.
Infine ho scritto della storia sulla contesa di un panificio a Milano.
Oggi mi concentro su quello che da pagina 499 dell’ordinanza viene definito “il capitale sociale dell’associazione mafiosa”.
PROFESSIONISTI
L’associazione che secono i pm fa capo a Pino Porto e compagnia cantando, secondo la stessa Procura e gli investigatori può senza dubbio contare su una struttura organizzata, adeguata, avendo disponibilità di uomini e mezzi e del tutto congrua alla realizzazione del programma criminoso.
Disponeva di luoghi sicuri da utilizzare come vere e proprie basi operative.
Trattandosi però di una (presunta) associazione mafiosa, si può leggere a pagina 503 dell’ordinanza, non devono essere presi in considerazione solo i beni materiali e/o la disponibilità di luoghi ma anche e soprattutto quel bagaglio di relazioni esterne che il mafioso (presunto) intrattiene con il mondo imprenditoriale, delle libere professioni, con il sistema bancario, con il mondo politico e che può ben essere definito il “capitale” sociale della (presunta) organizzazione mafiosa, che è a sua volta strumentale alla realizzazione degli scopi criminali.
Già in un articolo della scorsa settimana (al quale rimando) abbiamo visto che Cosa nostra e ‘ndrangheta avevano fatto ricorso allo stesso commercialista. La Procura rincara la dose quando scrive che la massiccia attività di false fatturazioni è stata resa possibile anche grazie ai rapporti intessuti con una pluralità di funzionari compiacenti di svariati istituti di credito, nonché con commercialisti assai disponibili.
In conseguenza del sistematico ricorso a operazioni di falsa fatturazione e di sfruttamento della manodopera clandestina, le cooperative del gruppo Porto & C producevano guadagni ingenti, spesso in nero. Una parte di questi proventi erano destinati al sostegno economico e logistico dei detenuti di Cosa nostra e ai loro familiari.
PICCOLI IMPRENDITORI E BANCHE
Un’altra parte, però, secondo la Procura che ha sottoposto due vertici del (presunto) gruppo criminale a intercettazioni, sono stati investiti in diverse attività economiche. E questo è potuto accadere attraverso quelle relazioni esterne coltivate dal sodalizio e in particolare in forza dei rapporti intercorsi con diversi imprenditori (in particolar modo un commerciante gestore di diversi locali pubblici a Milano). Attraverso prestanome era possibile assumere la gestione di diversi locali, nei quali si intrecciano persino cointeressenze affaristiche tra diversi gruppi riferibili a Cosa nostra. Non manca il ricorso anche a piccoli imprenditori edili, di origine palermitana, per continuare il “traffico” di false fatturazioni e lavoro nero e reimpiego in nuove attività, ancora grazie alla complicità di funzionari di banca.
Fantastico un dialogo che si può leggere a pagina 533 dell’ordinanza, del 15 gennaio 2009, allorché si presentano alcuni ispettori in una filiale di un piccolo paese. L’imprenditore edile dice: «Dottore noi ne abbiamo fatte tante cose fuorilegge» e il funzionario di banca risponde: «Solo che prima non erano mai state scoperte». Fantastico! Davvero fantastico! Andateci voi a chiedere qualcosa a qualunque banca e vedrete la risposta! Ma se avete le amicizie “giuste”…
Beh ora mi fermo qui. Continuo domani ancora sul capitale sociale.
4- to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 25, 26 e 27 settembre)