Questa mattina di buon ora ho scritto un articolo sul portale del Sole-24 Ore sul nuovo filone dell’indagine Breakfast della Procura di Reggio Calabria, che poche ore fa ha portato a decine di perquisizioni e relativo sequestro di ogni elemento ritenuto utile da Reggio a Milano passando per Genova.
Rimando sul portale del Sole-24 Ore alla lettura del pezzo e mi concentro qui sulla parte più interessante (per un vecchio cultore della materia come chi umilmente vi scrive) ma soprattutto nuova per i profani, del decreto che ipotizza l’associazione a delinquere per otto indagati.
All’interno della presunta associazione – ed è la parte appunto di enorme interesse – secondo il pm Giuseppe Lombardo e l’applicato della Dna Francesco Curcio, opera una componente di natura segreta. E le parole del Capo della Procura Federico Cafiero De Raho avallano l’ipotesi. Eccola lì dunque, la presunta (questo bisogna sempre ricordarlo) violazione della legge Anselmi, nata appunto a seguito dello scandalo P2 che vide in azione la superloggia guidata da Licio Gelli.
Questa presunta violazione della legge estrinseca con tutta la sua forza nel passaggio del decreto in cui si legge che «le risultanze dell’attività di indagine preliminare finora svolta dimostrano l’esistenza di una struttura criminale (connotata da segretezza) a carattere permanente nella quale – fra gli altri – operano con ruoli organizzativi Bruno Mafrici, Pasquale Guaglianone, Giorgio Laurendi”, tutti professionisti di origine calabrese che a Milano vivono e prosperano, inseriti in “multiformi contesti politici”. Non solo loro fanno parte di questa associazione. Ci rientrano anche gli imprenditori Michelangelo Tibaldi e Giuseppe Sergi». Paradossalmente – rispetto al can can mediatico indotto dalle prime attività investigative e di indagine – persone come Romolo Girardelli, detto l’ammiraglio, per la Procura di Reggio Calabria e la Dna svolgono suolo un ruolo di ausilio informativo e di supporto.
Ovvio che questa presunta associazione – al cui interno c’è appunto secondo gli inquirenti questa cellula segreta – opera per arricchirsi e fin qui nulla di male ma si arricchisce anche con operazioni di riciclaggio o reimpiego di ingenti capitali di provenienza delittuosa. E soprattutto opera con una ragnatela di rapporti in campo finanziario, politico ed imprenditoriale, di cui finora è emersa la sola punta di un iceberg.
L’associazione segreta ritorna impetuosamente nelle ipotesi della Procura di Reggio Calabria, laddove si legge che «la gestione delle operazioni politiche ed economiche ha consentito alle persone sottoposte ad indagini di divenire il terminale di un complesso sistema criminale, in parte di natura occulta, destinato inoltre ad acquisire e gestire informazioni riservate, che venivano fornite da numerosi soggetti in corso di individuazione, collegati anche ad apparati istituzionali e canalizzate a favore degli altri componenti della ramificata organizzazione; a consentire il proficuo utilizzo delle notizie riservate al fine di dare concreta attuazione al già esposto ed articolato programma criminoso della associazione per delinquere oggetto di contestazione, i cui componenti risultano portatori di interessi specifici tra loro concatenati; gestire una struttura imprenditoriale, prevalentemente impegnata in operazioni ad alta redditività nel campo immobiliare e finanziario, destinata al riciclaggio e reimpiego di risorse economiche di provenienza delittuosa riconducibili ad ambienti criminali legati alla cosca De Stefano».
Per chi – come l’umile scriba che verga sul pc queste umilissime e umide note – da anni scrive che l’evoluzione delle mafie è un mix cancerogeno di personaggi visibili e personaggi invisibili, queste ipotesi messe nero su bianco dalla Procura di Reggio Calabria e avallate dal delegato della Dna, non sorprendono per nulla. Casomai sorprenderanno alcuni magistrati che – soprattutto nel nord Italia – parlano di “fascinazioni” e "suggestioni". Bene: le suggestioni e le fascinazioni ora colpiscono anche alcuni magistrati di Reggio e Roma, oltre la Dia di mezza Italia!
Per chi – come la Procura di Reggio con Giuseppe Lombardo e la Dna con Francesco Curcio – queste ipotesi ha vergato su un decreto di perquisizione locale, personale ed informatica, è un atto di estrema forza e coraggio al tempo stesso, che dovrà reggere a correnti visibili e invisibili e che è comunque stata resa possibile grazie da un lavoro di squadra che ha visto un timoniere (il capo della Procura) Federico Cafiero De Raho pronto a garantire il lavoro dei suoi uomini. Ma ha visto anche un “plotone” di uomini della Dia, capitanato dal colonnello Gianfranco Ardizzone, che ha creduto in quel lavoro e per esso si è speso.
r.galullo@ilsole24ore.com