Devo essere sincero: quando leggo un decreto di sequestro e confisca, come quello che ora sto per descrivervi, a colpirmi non è l’entità del patrimonio (forse) sottratto – parliamo in questo caso di 43 proprietà immobiliari tra Loano e Boissano oltre alle quote di 13 società distribuite tra Italia e Spagna per un valore di circa 10 milioni – quanto il profilo della persona colpita dallo Stato.
Vi ricordo che non compete ad un giornalista decidere e giudicare ma compete ad un giornalista descrivere e analizzare il corso della Giustizia e della cosiddetta società civile. In questo caso, dunque, di fronte alla proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale di sequestro e successiva confisca avanzato dalla Procura di Savona e dalla Dia e avallata il 9 maggio 2013 dal Tribunale (presidente e relatore Giovanni Zerilli, giudici Marco Rossi e Laura De Dominicis) nei confronti di Antonio Fameli, si resta, ancora una volta senza parole.
La domanda che chiunque si deve porre – di fronte a quanto disposto da un consiglio giudicante di un Tribunale nei confronti di Antonio Fameli, nato a San Ferdinando di Rosarno (Reggio Calabria) il 23 ottobre 1938 e re del mattone, soprattutto compravendite immobiliari, nel Savonese – è infatti la seguente: ma se davvero il profilo è quello che di quest’uomo emerge, come è possibile che in 30 anni, tempestati da vicende giudiziarie, abbia potuto continuare ad agire direttamente o indirettamente nella sua carriera imprenditoriale?
In un qualsiasi Paese civile, infatti, un persona con il profilo disegnato dalla Giustizia come quello che ora vi descriverò, sarebbe espulso dal circuito socioeconomico. Invece, in questo caso, come tanti altri, a leggere le carte giudiziarie sembra essere accaduto esattamente il contrario: anche a fronte di condanne passate in giudicato, secondo l’accusa quest’uomo e i suoi prestanome hanno continuato ad agire sul territorio.
Si dirà: pagato il debito con la Giustizia chi e in nome di cosa potrebbe mai impedire a qualunque cittadino di rifarsi una vita? Se il fine della pena è la rieducazione del condannato perché mai chi ha saldato il conto con la Giustizia dovrebbe restare ai margini della vita socioeconomica di un territorio? Il mercato non è libero?
Riflessioni condivisibili, garantiste e/o ipergarantiste, costituzionalmente ineccepibili e dunque legittime ma qui quel che colpisce è la asserita continuità della condotta e la permeabilità della società nei confronti della stessa, che sarebbe impossibile se non in base ad un principio: oramai anche il Nord è “calabresizzato” nell’accezione negativa del termine (e con buona pace della parte della Calabria sana, onesta e lavoratrice). Vale a dire che anche il nord è ormai una spugna di quei disvalori e di quelle matrici criminali che giustificano, nel nome degli affari di molti e della convenienza di troppi singoli, ogni comportamento. A ribellarsi – a Savona come a Reggio, a Imperia come a Crotone – sono infatti in pochi. Sempre di meno.
IL PROFILO
Non sta al giornalista giudicare e allora leggete cosa scrivono i giudici a pagina 15 del decreto a fronte delle difese presentate dai legali di Fameli l’11 e il 18 ottobre 2012, con le quali sostanzialmente si opponevano al sequestro e successiva confisca dei beni, puntando sul fatto che quelle proprietà erano il frutto del lavoro e non di azioni delittuose del loro assistito. «…Fameli, nel corso degli ultimi 20 anni, è stato attinto da diverse sentenze penali di condanna e attualmente è indagato o imputato in diversi procedimenti penali di rilevante gravità – si legge nelle valutazioni del collegio che fa strame delle tesi difensive – circostanza che conferma che la sua propensione nell’essere dedito a traffici delittuosi e a vivere col provento di delitti non si è mai esaurita. Possono quindi condividersi in toto le conclusioni formulate nella richiesta del pm in ordine alla ravvisata pericolosità sociale del Fameli, essendo ampia e corposa la serie di illeciti allo stesso ascritti e che sarebbero stati commessi a partire dal 1983 (epoca del suo primo arresto a seguito di ordine di cattura emesso dalla Procura di Palmi per associazione per delinquere di stampo mafioso) sia direttamente sia mediante lo schermo di una serie di società allo stesso riconducibili».
E poco dopo, a pagina 16, si legge: «…dall’esame degli atti prodotti a corredo della proposta avanzata dai pm emergono elementi concreti per ritenere che il Fameli si sia dedicato a remunerative attività illecite per un lunghissimo periodo di tempo, traendo da tali attività i mezzi per il proprio sostentamento e per accumulare un patrimonio mobiliare e immobiliare di ingente valore…». E il Gip del Tribunale di Savona, visto che il nostro nel frattempo è indagato in un’indagine detta Carioca, scrive che: «…attesa la sua costante frenetica attività illecita mai cessata negli anni e tuttora in corso – vedi i tentativi del Fameli di nuove cessioni per evitare che sia colpito il suo patrimonio, come emerge dalle ultime annotazioni di P.G., anche successive alla richiesta di misura…».
IL CURRCULUM
Ecco dunque, che quello che colpisce il consiglio giudicante è un curriculum di «…un’attività criminale ripetuta e risalente nel tempo» sul quale si «fonda un giudizio di ragionevole probabilità circa la pericolosità sociale delle stesso Fameli…quale persona che appare dedita abitualmente (e non solo occasionalmente) alla commissione di determinati reati e che vive abitualmente con i proventi di tali attività delittuose e ciò non solo con riferimento al patrimonio trasferito all’estero e riconducibile alle pregresse vicende giudiziarie (bancarotta per distrazione e procedimenti per truffe) ma anche con riguardo alle più recenti condotte finalizzate all’evasione di imposta».
La richiesta del pm è stata accolta dal Tribunale di Savona ma resterà da vedere ora che cosa accadrà visto che gli stessi beni sono contemporaneamente sotto sequestro preventivo in seguito all’operazione Carioca del 7 marzo 2012 la cui udienza preliminare dovrebbe svolgersi il 25 giugno e dunque in questo dedalo di richieste parallele mi domando se ci sarà interferenza e se dunque il sequestro e la successiva confisca sono definitive o se c’è invece la possibilità di ulteriori ricorsi essendoci un giudizio penale ancora pendente. Del resto nella difesa presentata al Tribunale di Savona i legali di Fameli – che dopo essere stato arrestato a marzo 2012 dal 15 aprile 2013 è sottoposto a sorveglianza speciale in quel di Loano, nel Ponente ligure – hanno sostenuto che in realtà il patrimonio di Fameli è in parte lo stesso di quello del 1977, che venne sequestrato nell’87 in seguito a una analoga richiesta di misura di prevenzione e quindi restituito allo stesso Fameli nel 1991.
IL CASELLARIO GIUDIZIARIO
Alla richiesta, la Procura di Savona ha allegato un casellario giudiziario che è più ricco del palmares di Pelè.
Fameli viene dichiarato fall
ito dal Tribunale di Milano il 9 maggio 1995 e da quel momento è uno stillicidio di decine di sentenze (alcune definitive, alcune con sospensione della pena o pena estinta per prescrizione, altre condonate, altre con sospensione condizionale, altre con affidamento in prova, altre di assoluzione, altre con incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualunque impresa, altre con inabilitazione dell’esercizio di impresa).
Insomma, niente e nessuno è stato capace di fermare un uomo che correva al ritmo di un procedimento all’anno che con una sentenza della Corte di appello di Messina del 21 ottobre 1997 diventata irrevocabile il 23 marzo 1999, è stato definitivamente condannato per associazione a delinquere.
La lettura di questa ultima sentenza, scrivono i giudici di Savona a pagina 5, è particolarmente importante perché fornisce «un chiaro quadro dello spessore criminale di Fameli». Afferma infatti la Corte di Cassazione che «la sentenza del 21 ottobre 1997 ha ritenuto provato innanzitutto l’esistenza del sodalizio criminoso in base alle dichiarazioni di molte persone; quindi l’inserimento del Fameli persona molto apprezzata da don Peppino Piromalli nella delinquenza organizzata (cosche Raso-Gullace-Albanese). A conforto delle dichiarazioni dello Scriva ha valorizzato una lunga e complessa serie di circostanze ed elementi, già apprezzati in primo grado, di cui la prima sentenza di appello e, di conseguenza, quella di annullamento, non avevano tenuto conto; ha rimarcato la improvvisa carriera imprenditoriale – spiegabile solo con la disponibilità di un ingente patrimonio di cui il prevenuto non ha saputo fornire alcuna giustificazione – i sicuri rapporti con soggetti malavitosi anche autorevoli, la progettazione di un complesso imprenditoriale in San Ferdinando; le sicure manovre con la richiesta di intervento della ‘ndrangheta, al di là di quanto deciso in relazione all’omicidio (di La Malfa Sabatino di cui Fameli era stato assolto dopo la condanna in primo grado), per rimuovere l’ostacolo delle esose pretese del La Malfa Sabatino, capo mafia della zona».
Al netto – come ripetuto più volte, del corso della Giustizia che non ha ancora completato il suo corso di misure di prevenzione e disposizioni patrimoniali e di giudizi in sede penale – la domanda è: secondo voi è normale che in un Paese civile dopo 30 anni ci si stia ancora domandando a colpi di accuse e difese (basta, appunto, leggere il decreto) chi sia davvero Fameli nel contesto socioeconomico della provincia di Savona?
Una domanda alla quale – in questo, così come nel caso di tutti i “fameli d’Italia” – non deve rispondere il giornalista ma, molto tempo fa e molto tempo prima, gli anticorpi della società civile ancor prima che la Giustizia.
r.galullo@ilsole24ore.com