Pochi giorni fa – da un carcere del Nord Italia – un recluso condannato in primo grado per ‘ndrangheta ad una lunga detenzione, nell’ambito di un processo passato alla storia recente, mi ha scritto una lunga e paradossale lettera.
E’ considerato – da investigatori e inquirenti – un boss.
La missiva – ammesso e non concesso che sia vera visto che non ho mai visto la sua firma né saprei riconoscerla, lui non l’ho mai visto né sentito in vita mia e non conosco il suo modo di esprimersi – se non fosse paradossale apparirebbe (come forse è) una provocazione pilotata (da chi e perchè?).
Costui non è recluso al 41 bis (il carcere duro), non ha censura sulle lettere e la missiva anziché essere vergata a mano (c’è solo la firma a penna) è scritta al computer.
Strano, molto strano. Il detenuto/scrittore denuncia la presenza di docce gelate in carcere e l’assenza di phon ma non si priva di un lusso straordinario che, a quanto mi risulta, in quel carcere è collettivamente negato: l’uso di un pc e di una stampante. E magari persino di Internet visto che legge i miei articoli?
La lettera spara a zero contro la giustizia che non sarebbe garantista, anzi “colpevolista” a priori, parla di sentenze scritte “negli occhi dei giudici” (!), di spazi di difesa negati, di magistrati che perseguono tesi e non fatti, di ‘ndrangheta inventata, ovviamente di innocenza, di spazi da ricercare nella stampa (e li cerca proprio con me? Allora casca bene!) etc etc.
Una lettera che – per i concetti assolutamente non condivisibili che contiene – ovviamente non pubblico e non pubblicherò mai integralmente, così come non cito e non citerò mai il nome di questo condannato e il processo in questione. Gli farei una pubblicità contraria alla mia dignità.
Chissà, magari la speranza era, al contrario, che io non la pubblicassi e nemmeno ne parlassi, ritrovandomela magari magicamente allegata – tra un giorno, 1 mese o 10 anni – in qualche faldone processuale. Cose simili – purtroppo – le ho già viste e sventate.
Voglio essere chiaro: sbaglierò (me lo auguro) ma la lettera di questo detenuto/scrittore suona come una trappola ma se così non fosse mi serve per respingere le incredibili tesi contenute che – voglio essere chiaro per la millionesima volta – non mi appartengono e non mi apparterranno mai.
Delle due l’una: o il detenuto/scrittore non ha compreso quanto io ho scritto in questi anni o qualcuno – esterno alle strutture carcerarie? – gli ha indotto letture distorte (e dunque sbagliate). Anche qui: perché?
Ma anche se così non fosse e stessi “pazziando”, la lettera (vera o fasulla che sia) consente di ricapitolare in termini estremamente sintetici la mia posizione. In modo che chiunque creda follemente di trovare “sponde” sappia, invece, di trovare un “muro” invalicabile.
Vorrei dunque che fosse chiaro che io non do spazio e non aiuto nessuno. Non mi pagano per aiutare (figurarsi i criminali presunti o reali) ma per portare notizie e leggere i fatti con indipendenza di giudizio (cosa rarissima). Senza guardare in faccia a nessuno, chiunque esso sia.
Quindi il detenuto/scrittore a me non deve chiedere assolutamente nulla perchè io niente posso e voglio dargli: figuriamoci la voce!
E’ compito della magistratura – non mio e l’ho scritto un miliardo di volte – giudicare. Io non giudico nessuno. Dunque – per quel che mi riguarda – lei è un condannato in primo grado per 'ndrangheta. Per i prossimi gradi attendo, come lei, gli esiti.
Sinteticamente, dunque, confermo che un conto è la colpa dei singoli (la giudica un Tribunale) un conto è l’analisi di un fenomeno – quale quello mafioso di stampo siciliano, calabrese e campano – che mi vede, da anni, ben prima dell’operazione Crimine/Infinito, su una posizione netta: la cupola ‘ndranghetista (così come la cupola di Cosa nostra) è cosa diversa dalla ‘ndrangheta che traffica in armi e droga.
I “sistemi criminali” dei quali ho lungamente scritto (basti vedere gli articoli pubblicati su questo blog dal 4 marzo in poi) ricomprendono e non escludono (anzi) la ‘ndrangheta alla quale lei (lo dice la sentenza in primo grado) appartiene.
Io sono fiero che la magistratura del nord persegua chi commette crimini (seppur nella consapevolezza che si è innocenti fino all’eventuale terzo grado di giudizio).
Vorrei però – e l’ho scritto miliardi di volte – che la magistratura (tutta) fosse altrettanto celere nel rincorrere e perseguire quel “sistema criminale” splendidamente individuato nel 1998 dal pm siciliano Roberto Scarpinato e su cui sta affilando da solo e isolato, in Calabria, la sua intelligenza il pm reggino Giuseppe Lombardo.
Vorrei che si desse la stessa, spietata caccia, a chi, con Cosa nostra ha dato vita, ad esempio e per rimanere solo a fatti di cronaca ancora attuali, alle stragi mafiose del ‘92/93. O che si desse la stessa, spietata caccia a chi, con la ‘ndrangheta, ha ordito le bombe alla Procura generale di Reggio Calabria nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 o sta attentando alla vita del pm reggino Giuseppe Lombardo. E magari sapere anche perché. Questo ho detto e scritto, mille volte. Questo confermo anche oggi e sempre. Mai sentito parlare di massoneria deviata, servizi segreti marci, uomini dello Stato infedeli? Ebbene: sono le tessere mancanti al “sistema criminale”: è questo che denuncio da sempre.
Sempre coerente con me stesso, confermo che la magistratura del nord e del sud (da Torino a Milano passando per Bologna, Roma e Reggio Calabria) – nei confronti degli imputati di tutti i processi per ‘ndrangheta – svolge il suo lavoro: se innocenti assolti, se colpevoli, condannati. Tutto qui. Bene o male non sta comunque a me dirlo.
Quanto all’omicidio Novella, che il detenuto/scrittore richiama come il cavolo a merenda, il pentito Antonino Belnome inserisce elementi diversi che, per cronaca, ho evidenziato. Sulla sua attendibilità decide la magistratura. Non io.
Il resto delle sue riflessioni – detenuto/scrittore – non solo non mi appartengono ma mi pesa anche – e molto – pubblicarne la sintesi sopra evidenziata. Lo faccio – anche se sono stato giorni a pensarci e non essendone ancora del tutto convinto – per un solo motivo. Perché vorrei che i lettori continuassero a pensare quel che di me pensano da sempre: un giornalista con la schiena dritta, che interloquisce con tutti, che non ha nè vuole avere amici, che non frequenta e non vuole frequentare salotti nei quali si costruiscono le notizie e le analisi, che non censura mai nessuno, che ragiona solo con la propria testa pur ascoltando tutti. E che – soprattutto – dice sempre quel che pensa a tutti: dal boss (vero o presunto) al pm, passando per il politico e l'uomo della strada.
Ah. Lo faccio per un altro motivo: qualora esistesse una regia esterna alla sua lettera, questo è il benservito. Qualora. Ma non esiste.
r.galullo@ilsole24ore.com