Appalti pubblici/ Il monitoraggio dei flussi finanziari frenato da Abi e Bankitalia: parola della Dia – Il caso di Napoli

Nell’ambito della relazione che la Commissione parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in Campania, discussa e depositata ieri in Parlamento, ci sono pagine interessantissime che esulano dal discorso prettamente ambientale (ne ho scritto ieri sul sito del Sole e su questo blog, ai quali rimando).

Un esempio è la relazione trasmessa dalla Direzione investigativa antimafia di Napoli alla stessa Commissione il 10 ottobre 2012 nella quale si affronta il delicatissimo tema della tracciabilità dei soldi quando ci si trova davanti ad appalti pubblici.

Per far sì che la prevenzione possa meglio evidenziare qualsiasi tentativo di acquisizione di soldi pubblici da parte delle organizzazioni criminali, sia direttamente che indirettamente, occorre migliorare e potenziare gli strumenti di controllo preventivo sulle ditte aggiudicatarie di appalti pubblici attraverso l'imposizione di protocolli che rendano effettivo il monitoraggio dei flussi economici provenienti dai fondi pubblici e diretti alle stesse ditte aggiudicatarie.

Questo è possibile, si legge nel documento della Dia, solo attraverso la realizzazione dei conti unici dedicati accesi dalle ditte aggiudicatrici e dai relativi sub appaltatori all'interno dei quali, e solo all'interno di questi, vengano riversati i soldi pubblici derivanti dall'appalto e vengano effettuate le spese relative alla gestione dell'appalto stesso.

Il monitoraggio continuo di tali conti da parte dei Gruppi interforze costituiti presso le Prefetture renderebbe difficile, se non impossibile, la distrazione di fondi per il pagamento delle tangenti e l'utilizzo di sub appaltatori non autorizzati o, ancor peggio, l'utilizzo di fornitori o sub appaltatori controindicati ai fini della legislazione antimafia.

Il monitoraggio di tali conti, avvenendo su base pattizia e, quindi con il consenso dell'interessato, supera qualsiasi problema di tutela della riservatezza bancaria. I moderni sistemi di accesso telematico ai conti bancari consentono il monitoraggio da “remoto” agli investigatori dei Gruppi interforze che, ogni volta che se ne presenta la necessità, possono verificare origine e destinazione dei fondi confluiti sul conto dedicato e, ove opportuno, possono richiedere all'interessato le motivazioni di una certa operazione.

Nell’ottobre 2012, presso la Prefettura di Napoli, si è tenuta una riunione tra il funzionario della Prefettura, un rappresentante della Dia ed esponenti dell'Abi (l’Associazione bancaria italiana) e di Banca d'Italia, per verificare la possibilità di creare un interfaccia unico per la visualizzazione di tutti i conti correnti dedicati attraverso un collegamento telematico sicuro con Banca d'Italia o Abi. Si sarebbe risolto il problema della sicurezza della trasmissione dei dati che, altrimenti, dovrebbe viaggiare su linee pubbliche internet non sicure, e della omogeneità della consultazione dei dati con una unica veste grafica, procedura di accesso e di importazione dei dati nonché di confronto tra i dati di più conti correnti dedicati (ad esempio la corrispondenza tra l'uscita dal conto dell'appaltatore e l'ingresso in quello del sub appaltatore).

«In quella sede l'Abi si è dichiarata molto scettica sulla possibilità di realizzare un interfaccia di tal genere – si legge però nel documento – ritenendo, anche a fronte delle spiegazioni della Dia, che i sistemi attuali sono più che sufficienti per le esigenze delle strutture investigative e preventive e rappresentando che solo in caso di intervento normativo avrebbero effettuato altre valutazioni fermo restando l'analisi dei costi e la loro ripartizione. La Banca d'Italia si è riservata di analizzare più nel dettaglio il problema. La risoluzione di tale problematica potrebbe offrire un importante strumento di verifica e di controllo sull'andamento dell'appalto pubblico e sulla effettiva destinazione dei fondi erogati dall'Ente Pubblico appaltante impedendo, o almeno rendendo molto più difficile, la distrazione dei fondi per il pagamento di tangenti, a chiunque dirette, o l'indirizzo di tali fondi verso soggetti controindicati ai fini della normativa antimafia».

Insomma parrebbe di capire che ad opporre resistenza sull’interfaccia comune sono le banche che ritengono necessaria una legge o comunque una disciplina normativa. Viva la sincerità, visto che Bankitalia, se ne è lavata le mani dicendo che approfondirà il problema.

Il problema, però, è sentito, molto sentito e tempo da perdere non ce n’è. Lo dimostra il fatto che, sempre ad ottobre 2012, la Commissione parlamentare in trasferta a Napoli, ha pensato bene di audire Maurizio Vallone, capocentro della Dia di Napoli che sottolineò come, nonostante gli accorgimenti adottati, ci siano grandi difficoltà nell’effettuare il monitoraggio dei conti correnti.:

Ecco testualmente cosa dichiara: «Stiamo incontrando una grossa difficoltà e vorrei sottoporre alla Commissione questo dato. Trattandosi ormai di diverse centinaia di appalti, il monitoraggio di questi conti correnti diventa sempre più difficoltoso in quanto l’unica strada che abbiamo oggi giorno per monitorarli è come fa un normale utente di una banca, coi codici di accesso al conto corrente tramite Internet e collegandoci per verificare l’andamento. Per centinaia di conti correnti accesi presso le più disparate agenzie bancarie, ognuna delle quali con una sua procedura di accesso, un suo modo di mostrare i dati, l’operazione diventa assolutamente complicata e difficile oltre che insicura. Viaggiando in Internet non protetti, ovviamente la sicurezza dei dati non è garantita e potremmo creare anche un danno all’appaltatore per un’eventuale fuga di dati. Abbiamo chiesto ad Abi e Banca d’Italia di fornirci un’interfaccia unica attraverso cui accedere a questi conti viaggiando su linee protette, dedicate, e con un’unica procedura di accesso ai conti in maniera che sia trasparente per noi, che si tratti del Banco di Napoli, della Credito di qualche altra agenzia bancaria (…). Le risposte sono estremamente negative in quanto entrambi gli organismi non si sono dichiarati disponibili alla creazione di un progetto di questo tipo, il quale avrebbe comportato, chiaramente, dei costi per loro e hanno rimandato. (…) Un problema di costi. Abi in maniera assoluta; Bankitalia ci ha risposto in maniera un po’ diplomatica che ci avrebbe pensato, che l’operazione avrebbe dovuto essere estesa a tutt’Italia e che, se ci fosse stato un intervento legislativo in questo senso che lo imponesse, lo avrebbero fatto. Senza un intervento legislativo, ovviamente, non sono tenuti a farlo e ribadivano che, comunque, la misura andrebbe presa su base nazionale».

Bene, ora abbiamo capito qualcosa in più: non è che non si può fare. Ci vogliono i soldi e, per Abi e Bankitalia, sembra proprio che ci voglia una legge.

Continuiamo ad aspettare i soldi (che le banche hanno dimostrato di saper spesso gestire con molta disinvoltura), Ma poi sti soldi chi li dovrebbe mettere? Lo Stato? E quanto sarà mai la spesa per proporre un’interfaccia? Miliardi? No, forse qualche milioncino. Serve una colletta o ci riescono da sole? E la missione “sociale” del credito che fine ha fatto? Buona solo quando serve a foraggiare chi poi ricambierà favori e prebende?

Continuiamo anche ad aspettare una legge. Ammesso che arrivi ci vorranno anni. Intanto l’orolo
gio criminale continua a battere il suo tempo, ridendo a crepapelle delle pastoie burocratiche e delle ipocrisie italiane.

r.galullo@ilsole24ore.com