Esclusivo – I verbali del pentito Belnome/1: “Ma veramente pensate che Riina e Oppedisano siano capimafia?”

E’ il 3 dicembre 2010 e sono le 14.40 quando il collaboratore di giustizia Antonino Belnome si presenta davanti ai pm di Milano Dolci e Ilda Boccassini.

Carriera rapida: da modesto calciatore a padrino e capo del locale di Giussano (Monza e Brianza), dove è nato nel 1972 da una famiglia calabrese. Questo, almeno, è quanto ritengono gli inquirenti.

Il 13 luglio 2010 nella fantasmagorica operazione Il Crimine/Infinito viene arrestato. Tre mesi dopo questo affiliato alla cosca Gallace di Guardavalle (sul versante ionico delle serre catanzaresi), decide di pentirsi, ammettendo la sua appartenenza alla 'ndrangheta e confessando diversi omicidi, tra i quali quello del “secessionista” calabro/lombardo Carmelo Novella, freddato in un bar di San Vittore Olona (Varese) il 14 luglio 2008. Parla e riempie migliaia di pagine di verbale, un vero e proprio memoriale. Da ricordare che Antonino Belnome, ritenuto uno degli esecutori materiali dell'omicidio del presunto boss di 'ndrangheta Novella, è stato condannato con il rito abbreviato a undici anni e mezzo di carcere dal gup di Milano Claudio Castelli.

Costui è credibile? Non è credibile? Non sta a me giudicare. A me sta riportare i fatti.

Tra quelli che – da oggi – comincerò a raccontarvi e che mi sono tenuto finora nel cassetto, c’è un primo sorprendente interrogatorio sulla struttura ‘ndranghetista.

Sorprendente non tanto per le cariche e le affiliazioni, quanto perché ad un certo punto il discorso scivola su Don Mico Oppedisano. Ma si l’allegro vecchietto venditore di meloni nella Piana di Gioia Tauro che le veline volevano spacciare per il “capo dei capi”, salvo poi, soltanto pochi mesi fa, leggere attraverso le parole scritte (verba volant…) di Carlo Caponcello, procuratore aggiunto della Procura nazionale antimafia, che forse….si erano sbagliati (si veda in archivio il mio post dell’8 febbraio 2012). Se non ci fosse da piangere ci sarebbe da ridere.

Questo falso “capo dei capi” l’8 marzo 2012, in primo grado, nel corso del processo a Reggio Calabria si è preso 10 anni di carcere «Lui – affermò il pm Nicola Gratteri durante la requisitoria – è il custode delle 12 tavole, è il custode delle regole, apre e chiude i locali, osserva e fa osservare le regole, anche i locali al nord ed all’estero fanno riferimento al crimine. La nomina di Oppedisano è il frutto di un compromesso, dopo la morte di ’Ntoni Pelle Gambazza; compromesso tra le forze della ndrangheta jonica e le forze della ndrangheta della Piana, e come in tutti i compromessi non si sceglie mai il migliore. Ma Oppedisano non è anche il povero vecchio, morto di fame che si vuol fare apparire. Ha una storia antichissima di ndrangheta. Ed era di casa a Polsi». Nicola Gratteri – che l’ha sempre pensata così – si è potuto liberare nel suo giudizio quando la cappa che asfissiava il lavoro di alcuni pm calabresi ha cominciato a dissolversi!

In tempi non sospetti – pressoché unico in Italia tra i giornalisti e per questo deriso dai pennivendoli e dalle penne orientate – ho scritto fiumi di inchiostro per diffidare dalle amenità di Don Mico capo della ‘ndrangheta (rimando dunque ai tantissimi post in archivio): la ‘ndrangheta – quella vera – è altrove e il “capo” non può certo sedere in un agrumeto di Rosarno. Ma farlo credere al’opinione pubblica non ha prezzo.

Ecco a voi come il discorso di Belnome scivola verso il cocomeraro.

L’INTERROGATORIO

Boccassini: Ritornando al discorso legato all'organizzazione 'ndranghetista?

Belnome: Be' diciamo che a livello strutturale è come vi ho spiegato, poi si va più che altro per questioni …regole, ma a livello di struttura è quella lì la struttura. La struttura del locale con le doti interne nel locale e le doti fuori locale, però… cioè a livello di regole è uguale dappertutto, non c'è una diversità fra nord e sud.

Boccassini: Chi detiene oggi le cariche, lei lo sa?

Belnome: In che senso?

Boccassini: Nel senso i rappresentanti della Piana, della Ionica e la zona di Reggio.

Belnome: I rappresentanti sono come vi ho citato io, nel senso a livello … nel padrino ci sono questi qua che tengono questa carica qua, nella santa ci sono … cioè ogni copiata, la copiata c'è uno che primeggia in quella dote, cioè quindi detiene quella carica. Per esempio parliamo della mia, del padrino chi la detiene è Nicola Alvaro, poi c'è Carmelo Iamonti per quanto riguarda poi della Ionica la detiene Pietro Comso. Queste sono le cose dove uno primeggia, non c'è un capo come vorrebbe intendere lei.

Boccassini: No, io non intendo …

Belnome: No, nel senso magari pensava che c'era il capo della 'ndrangheta, non esiste.

Boccassini: Non esiste …

Belnome: Non è che… voi avete arrestato per dire Oppedisano, ma Oppedisano non è il capo della 'ndrangheta. Riina non era il capo della mafia, lo è diventato appropriandosene, se no c'era una commissione dove si sedevano quelli con le doti

maggiori, quello che succede in Calabria, dove si prendevano decisioni e dove si prendono determinate …Per esempio in Calabria si riuniscono ma non per dire "Cosa facciamo", cioè oppure "Facciamo arrivare quel carico dalla Colombia". Si riuniscono esclusivamente per scegliere le cariche e le copiate, non per

stabilire "Cosa dobbiamo fare? A chi dobbiamo ammazzare?" oppure … Quelle sono cose, sono decisioni prese dei paesi, dei locali, poi che uno sia favorevole o no … Cioè, per esempio, chi gli diceva "Tu non puoi ammazzare Novella?", cioè non c'è un discorso del genere quando si riuniscono per decidere queste cose qua: le cariche.

E a questo punto del discorso – se avrete la bontà di seguirmi a partire da domani – scoprirete cosa c’è oltre il cocomeraro con l’Ape scassata che la pubblicistica pecorona e pecoreccia voleva (vuole) far passare per il capo della ‘ndrangheta (nel senso che ripeto da sempre, vale a dire di capo dei capi assoluto di quel "sistema criminale" riconducibile, ad esempio, alla lucida analisi di Roberto Scarpinato).

1 – to be continued

r.galullo@ilsole24ore.com

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