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E’ il 12 maggio 2010 quando il collaboratore di giustizia Antonio Barracano, che descriverà l’appartenenza di Antonio Aquilone al clan dei casalesi – fazione Zagaria – con compiti direttivi ed operativi, comincia a raccontare ai pm della Dda di Napoli. Da quel giorno e in più occasioni racconterà come si combatte a Caserta e in tutta la Campania la guerra per l’installazione della macchinette per videopoker.
Uno dei maggiori e più floridi business delle mafie, anche grazie alla connivenza dello Stato che, anziché disciplinare in maniera ferrea il settore, consente uno spettro di gioco sempre più ampio e incontrollabile. E dai costi sociali altissimi.
Antonio Aquilone era colui il aveva il compito di parlare con i clienti (potenziali o acquisiti) e il resto della truppa interveniva solo quando bisognava rafforzare le minacce. E ai commercianti che ci riferivano di aver installato macchinette gestite dai casalesi o dai Belforte, loro rispondevano che l’imposizione veniva direttamente da Michele Zagaria e che pertanto dovevano ubbidire.
Certo, a volte non mancavano gli inconvenienti, come quella volta che la squadra si imbattè in un commerciante di nome Franco detto o’ cupellaro, che era incaricato di installare macchinette per conto dei Belforte. Questo commerciante disse che lui non aveva alcun problema ad accettare l’imposizione ma che dovevamo prendere accordi direttamente con i Belforte.
Aquilone in questi giri si premunì inoltre di prendere gli scontrini di ogni esercizio commerciale a mò di minaccia in modo tale da poter rilevare la partita Iva necessaria per l’installazione delle macchinette a prescindere dal consenso o meno del titolare dell’esercizio commerciale.
Poi il collaboratore si giustizia si lancia in un racconto che parte proprio come le favole dei nonni quando raccontano ai nipotini la propria vita: “Mi ricordo che eravamo io, Andrea, Raffaele Nappa e Francesco Di Monaco e naturalmente Antonio Aquilone. Buttone disse che se Zagaria voleva mettere le macchinette nei territori da loro controllati non vi era problema ma che avrebbe dovuto pagare centomila euro a macchinetta, poi lui stesso si rivolse verso di noi dicendoci che chi apparteneva al gruppo Amato doveva riferire a Salvatore che occorreva mettersi d’accordo con Bruno Buttone altrimenti dopo avergli fatto togliere le macchinette dai paesi di Recale, Casapulla e paesi limitrofi, glieli avrebbe fatti levare anche da Santa Maria”.
Di fronte a tanta tracotanza Aquilone disse a Buttone che ne avrebbe parlato direttamente con Michele Zagaria e il collaboratore (all’epoca pedina dei Casalesi) disse che avrebbe fatto lo stesso con Salvatore Amato. Ed infatti quest’ultimo si rivolse direttamente a Buttone tramite la madre.
Per risolvere la questione fu organizzato un incontro direttamente presso l’abitazione di Salvatore Belforte – si badi bene: a quel tempo agli arresti domiciliari – a cui partecipò solo Salvatore Amato. Dopo l’incontro Salvatore Amato spiegò che la questione sarebbe stata risolta direttamente da Michele Zagaria e Salvatore Belforte.
Un “duello” all’ultima macchinetta e, infatti, la squadra di Zagaria interruppe nel frattempo l’imposizione delle macchinette da gioco e successivamente Antonio Aquilone comunicò che sarebbero dovuti andare tutti a Casal di Principe dove si sarebbero dovuti incontrare Michele Zagaria e Bruno Buttone per risolvere la questione.
Ecco come prosegue il racconto del collaboratore di giustizia: “Salvatore Amato, dopo averci spiegato il motivo della riunione, mandò me insieme a tutti quanti gli altri ragazzi, unitamente a Aquilone utilizzando tre/quattro macchine in un bar a Casal di Principe, all’uscita dell’autostrada si girava a sinistra e due/trecento metri sulla destra. Noi rimanemmo nel bar mentre Aquilone si allontanò per prelevare un altro ragazzo che doveva organizzare l’incontro tra Zagaria e Buttone. Dopo alcune ore Aquilone venne al bar e ci disse che l’incontro si era svolto e che l’accordo era quello di mantenere i precedenti equilibri e che quindi il gruppo Amato avrebbe mantenuto la zona di Santa Maria Capua Vetere”.
Cosa aggiungere? Le mafie riescono sempre a trovare (in un modo o nell’altro) l’accordo quando ci sono torte miliardarie da spartire. In questo caso l’accordo è sulla pelle di un’intera generazione che sta buttando la propria vita davanti a una macchinetta sperando di arricchirsi mentre fa ingoiare, una dopo l’altra, migliaia di monetine che entrano in
gran parte nelle casse delle mafie e in parte (minore) nelle casse dello Stato che, a sua volta, deve sostenere un prezzo altissimo per sopportare i costi sociali di questa piaga.
r.galullo@ilsole24ore.com
5- the end (le precedenti puntate sono state pubblicate venerdì 18 novembre, il 1°, il 2 e il 5 dicembre)