Se non fosse vera sarebbe uscita dalla fantasia degli sceneggiatori americani.
Anzi: suggerisco alla Guardia di finanza di Locri, Reggio Calabria e Palermo e ai pm Sara Ombra e Nicola Gratteri di unirsi nel copyright dell’operazione Artù con la quale il 2 agosto hanno sventato un tentativo di riciclaggio colossale attraverso l’incasso di un certificato di deposito in oro del valore nominale di 870 milioni di dollari emesso il 14 agosto 1961 dall’allora Credito Svizzero a nome del dittatore indonesiano Soekarno. Con gli interessi maturati il valore arrivava a 39 miliardi di dollari.
Ricordo anche che il figlio dell’ex presidente indonesiano è salito alla ribalta delle cronache negli anni ’90, quando come finanziere d’assalto si impegnò in grosse operazioni, come l’acquisto della casa automobilistica inglese Lotus e il tentativo di acquisire l’italiana Bugatti.
IL SEQUESTRO DEL 2009
La storia merita di essere raccontata dal 29 settembre del 2009 quando a Rosarno fu sequestrato il certificato di deposito a due soggetti di Taurianova vicini alla cosca Fazzalari–Viola–Avignone (ne scrissi il giorno dopo sul Sole-24 Ore e infatti, in alcune intercettazioni, alcuni allegri compari proprio di questo articolo parlano).
Da quel momento la certosina pazienza della Guardia di finanza ha permesso di ricostruire una storia che ha dell’incredibile, nella quale uomini legati alla ‘ndrangheta (cosca Longo-Versace di Polistena, Facchineri di Cittanova, Filippone-Bianchino-Petullà di Cinquefrondi, Aquino di Marina di Gioiosa Jonica) e a Cosa Nostra (famiglia Miceli di Salemi legata a Matteo Messina Denaro) faranno di tutto per negoziare il titolo incuranti delle indagini in corso.
La supposta organizzazione a delinquere ha cercato di monetizzare il titolo di credito rivolgendosi a insospettabili professionisti e cercando di coinvolgere contemporaneamente istituti di credito nazionali ed esteri (Mps, Banco di Sicilia, Unicredit, Ing Direct e Ior).
LO ZIO MONSIGNORE
Per giustificare la legittima origine del certificato di deposito l’indagato Nicola Galati si era rifugiato in un atto di liberalità mortis causa di un vescovo, monsignor Domenico Ferrazzo, a lui legato da rapporti di parentela (sarebbe stato assistito nelle sue fasi finali di vita dalla madre di Galati). L’alto prelato lo avrebbe, a sua volta, ricevuto dall’ex dittatore Sukarno durante una missione ecclesiastica in Indonesia, in ringraziamento di un intervento dello stesso prelato nel corso di un moto rivoluzionario che gli aveva consentito di sfuggire alla morte.
Tutte balle. Tranne il fatto che lo zio era davvero Monsignore ma era morto in una casa di cura il 9 giugno 2003 e non tra le accoglienti braccia dei parenti.
Da quel momento Nicola Galati rilascia una serie di procure speciali per la negoziazione del titolo presso gli istituti di credito. I procuratori si rivolgevano contemporaneamente a più istituti bancari italiani ed esteri cercando la migliore negoziazione possibile e creando una rete di contatti per informarsi reciprocamente sullo stato delle trattative (gli Istituti di credito sono estranei alla vicenda).
Il tentativo era quello di monetizzare direttamente il certificato di deposito oppure di scambiarlo con altri strumenti finanziari monetizzabili successivamente. I soggetti si erano anche informati del costo tecnico-bancario e professionale per l’attività di consulenza, che si aggirava intorno al 10% del valore nominale.
DI TUTTO DI PIU’
La supposta organizzazione a delinquere*, che proprio non ce la faceva ad arrendersi all’idea di perdere tanti soldi – e che a suo dire aveva perfino rifiutato l’incasso del 45% del valore del titolo nominale proposto da un’avvocatessa romana – aveva anche creato un falso certificato di deposito che riproduceva la carta di pubblico credito sequestrata.
I compari avevano inoltre contraffatto un provvedimento di dissequestro del certificato di deposito, con l’intestazione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palmi e il timbro e perfino la firma del sostituto procuratore Eliana Franco.
VERO O FALSO? VERO…
Il punto, però, è che se la storia del monsignore era falsa, che il titolo di credito fosse fasullo è tutto da dimostrare. Credit Suisse, dopo iniziale silenzio e rogatoria internazionale, comunicò ufficialmente che il titolo era falso.
I dubbi, però, sono tanti, milioni di milioni. Non solo perché l’ordinanza firmata il 18 luglio dal pm Silvana Grasso certifica che questo titolo era conosciuto in ambito internazionale e che, gira che ti rigira, sarebbe uscito fuori, ma anche e soprattutto perché sono la stessa Procura di Reggio e la Guardia di Finanza a dubitarne. Il Gip Grasso scrive infatti: “benché il Credit Suisse abbia comunicato la falsità del titolo, tale risposta non può considerarsi genuina perché l’Istituto di Credito ha tutto l’interesse a non consentire la negoziabilità del titolo stesso. Le evidenze investigative, al contrario, portano a ritenere che il titolo sia vero atteso che nessuno dei soggetti intercettati fa mai cenno a tale falsità nemmeno parlandone fra di loro e che gli istituti di credito interessati hanno dimostrato un interesse concreto soprattutto dopo aver svolto gli accertamenti preliminari su canali paralleli attivati per verificare la veridicità del titolo”.
Tra i soggetti che erano stati interessati alla vicenda – si legge a pagina 40 dell’ordinanza – c’era anche l’allora amministratore delegato del gruppo Unicredit, Alessandro Profumo, “il quale aveva pure manifestato interesse per il titolo proposto, il che fa ritenere che avesse effettuato accertamenti sulla sua veridicità e lo avesse ritenuto attendibile”.
Per continuare nella trattativa, visto che il titolo era stato sequestrato nel 2009, i 20 indagati, a un certo punto, come ho detto, presentano ai potenziali acquirenti un falso decreto di dissequestro sul quale era stata apposta la firma apocrifa di una pm di Palmi, premurandosi di mettere in circolazione una copia del titolo a colori della quale erano in possesso poiché realizzata per cercare di limitare, nei vari incontri tenuti in distinti luoghi del territorio nazionale presso gli istituti di credito coinvolti, la circolazione dell’originale.
Dalle investigazioni è emerso che l’associazione, nel tempo, si è preparata gestendo, in modo professionale, altri affari dello stesso tipo che, seppur di importi decisamente inferiori, sarebbero andati a buon fine. Ciò
conferma come l’organizzazione, con la compiacenza delle famiglie di ‘ndrangheta fosse stabilmente attiva sul territorio della piana di Reggio Calabria e specializzata in attività di riciclaggio finanziario.
EFFETTI COLLATERALI
La Procura di Reggio Calabria ha sottolineato che il certificato era considerato “obbligazionario collaterale”, vale a dire rappresentativo di debito pubblico e che ha sostituito l’oro come deposito di garanzia, evidenziandone l’utilizzo comune per aumenti di capitale nelle società o per coprire in bilancio grosse perdite conferendoli in conto capitale in modo da consentire alle stesse società di moltiplicare il capitale sociale senza aver effettuato un reale versamento, indicando il nuovo capitale in sede di approvazione di bilancio.
Ma la cosa interessante è che molti “datatissimi” certificati “obbligazionari collaterali” ancora girano per il mondo, aumentando il rischio di truffe. Ma per saperne di più leggetemi domani.
1 – to be continued
* p.s. Leggo oggi, mercoledì 14 settembre, nello scorrerere la mazzetta dei giornali che mi arrivando in redazione la Gazzetta del Su del 9 settembre a pagina 34: Tornano tutti in libertà, seppur con l'obbligo di residenza, i 20 indagati. E' stato il giudice per le indagini preliminari di Bologna, Marinella De Simone, a decidere im tal senso dopo le richieste avanzate dalle parti in udienza< preliminare-
Leggo anche, sull stesso giornale, che ad agosto il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, accogliendo il ricorso presentato da alcuni collegi difensivi, aveva stabilito l'incompetenza territoriale del Tribunbale reggino, stabilendo la competenza territoriale di Bologna.
p.p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 00.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.