La condanna di Totò Cuffaro, ex Governatore della Regione Sicilia – accompagnata dalla ola di migliaia di siciliani che in questi anni si sono dannati per buttarlo giù dalla torre – può riaccendere gli animi di quanti nella stessa Sicilia e al Sud danno comprensibili segni di stanchezza e confusione.
Questa condanna (non semplice, non facile, da registrare con cristiana pietà) è il segno che gli intoccabili non sono sempre (o più) tali, come dimostrano anche le peripezie giudiziarie dell’attuale Governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e di diversi uomini al lui vicini.
Proprio la Sicilia, patria di associazioni come Addio Pizzo e della rivolta di Confindustria Sicilia, oggi dà segni contraddittori. Da una parte infatti c’è il silenzio e l’omertà. Dall’altra i focolai della rivolta e della dignità continuano.
In settimana da questa terra meravigliosa sono giunte due notizie agli antipodi.
LA STORIA DI BALESTRATE
A Balestrate, in provincia di Palermo, la ditta che aveva vinto l’appalto per demolire un bene confiscato alla mafia si è improvvisamente ritirata. Il sindaco l’ha messa in mora ma intanto l’abbattimento è slittato .
A renderlo noto sono stati i giovani del Fronte Antimafia: «radere al suolo quella struttura è anche un gesto fortemente simbolico. Probabilmente c'è chi ritiene che sia altrettanto simbolico lasciarla eretta. Siamo pronti a impugnare martelli e arnesi e radere al suolo noi quella struttura».
Intanto il Comune scorre la graduatoria per assegnare l’appalto alla ditta che si è classificata seconda nella gara. Accetterà?
La storia dell’immobile confiscato da demolire fu commentata e seguita dai siti www.paesenotizie.it e www.balestratesi.it assieme a Telejato, che da quel momento condusse una battaglia, non ancora vinta, per il suo abbattimento. A luglio 2010 l’ufficio tecnico effettuò una perizia evidenziando lo stato di pericolo. A settembre arrivò il via libera dell’Agenzia dei beni confiscati a fu bandita la gara per la demolizione e assegnata a una ditta per circa 2.500 euro.
Una storia non nuova quella dell’abbattimento degli immobili di mafia. A Lamezia Terme, in provincia di Catanzaro, lo scorso anno il capo della Procura Salvatore Vitello dovette fare ricorso al Genio Militare proprio di Palermo per buttare giù alcune case che fino a quel momento non erano state neppure sfiorate. Figuarsi trovare imprese che si peritassero nell’impossibile esercizio.
LA STORIA DI CASTELVETRANO
Una storia diversa – di stanchezza, rabbia e delusione – arriva da Castelvetrano, in provincia di Trapani, il regno di Messina Denaro. Lì il 19 gennaio avrebbe potuto essere ricordato Paolo Borsellino che avrebbe dovuto compiere 71 anni se Cosa Nostra non lo avesse ucciso con gli uomini di scorta. L’associazione antiracket di Castelvetrano avrebbe voluto ricordarlo con un incontro rivolto alle scuole ma il dirigente scolastico Francesco Fiordaliso, saputo che all’incontro avrebbe partecipato anche il pentito Vincenzo Caldara, ha fatto dietrofront ritirando i suoi studenti. Le motivazioni? «Calcara è un criminale e quindi lui non ci può dare lezioni di legalità, i ragazzi non hanno niente da imparare da un dottore in criminologia e malaffare» ha detto Fiordaliso.
Vincenzo Calcara è l’uomo al quale Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo, aveva chiesto di uccidere Paolo Borsellino. Caldara non lo fece e decise di collaborare con la giustizia dopo l’arresto del novembre 1991. Rivolgendosi proprio a Borsellino disse: «Dottore io sono un uomo d’onore e sono quella persona che avrei dovuto ucciderla…c’erano pronti due piani…uno prevedeva che le sparassi con un fucile di precisione…l’altro con un attentato, avrebbe dovuto avvenire con un’autobomba»
Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, che avrebbe dovuto partecipare all’incontro, ha abbandonato l’aula dichiarando: «I presidi hanno ritenuto di non mandare gli studenti all’incontro e credo che sia una decisione incredibile. Ritengo grave e molto significativo che in un’occasione del genere, in ricordo del giudice Paolo Borsellino, nella città di Matteo Messina Denaro si avverta di più la presenza dello stesso latitante che di Paolo Borsellino. Tutto questo è assurdo”. Il sindaco Gianni Pompeo, presente all’incontro, ha chiesto al pm di ritornare per parlare di mafia e mafiosi. Accetterà?
LA STORIA DI PAGANI
Ma il Sud, piegato dalla criminalità organizzata, di certo è confuso come testimonia la storia che arriva da Pagani, in provincia di Salerno. Il Comune ha revocato l’intitolazione della piazza a Marcello Torre, l’avvocato penalista ex sindaco della città, ucciso dalla camorra l’11 dicembre 1980.
E dire che il 12 dicembre 2010, alla presenza del presidente della giunta regionale della Campania, Stefano Caldoro, e del presidente nazionale di Libera don Luigi Ciotti, c’era stata la cerimonia inaugurale.
La giunta comunale di Pagani, guidata dal sindaco facente funzioni Salvatore Bottone, dopo essersi espressa favorevolmente con voto unanime, ha ritenuto un errore aver intitolato la piazza Corpo di Cristo a Torre. “Piazza Corpo di Cristo – ha spiegato – è un luogo storico della nostra comunità e non doveva essere intitolata al compianto sindaco di Pagani ucciso dalla camorra. La decisione adottata dalla giunta mesi or sono, alla cui riunione io non partecipai ha sollevato in questi mesi un polverone di polemiche. La piazza del Corpo di Cristo è un luogo storico per tutti i paganesi che in questi mesi hanno espresso tutto il loro disappunto per il cambio di denominazione. Marcello Torre, deve essere ricordato dalla città di Pagani ma non con l’intitolazione di quella piazza”.
Indignata la reazione della vedova, Lucia de Palma, e della figlia Annamaria: “Non possiamo negare un qualche sconcerto – si legge nella nota diffusa – perché la diatriba scatenatasi all’interno dell’amministrazione comunale ci ha addolorato in quanto in nessun momento abbiamo preteso che fosse intestata al nostro caro marito e padre quella o altre piazze. Diffidiamo l’amministrazione comunale dal compiere qualsiasi ulteriore passo e non procedere ad alcuna intitolazione di strade, stradine, piazze o luoghi pubblici di Pagani. Siamo stanche delle polemiche che hanno
ridotto la memoria di un marito, di un padre, di un avvocato, di un sindaco, di un martire della Repubblica in una ignobile farsa”.
Che bel modo di ricordare Marcello Torre, ucciso mentre usciva di casa, colpito a morte da una raffica di colpi esplosi da due killer! A ordinare il suo assassinio, secondo la sentenza della corte d’Assisi di Salerno del 2001, il boss Raffaele Cutolo, ‘o Professore.
La condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra di “vasa-vasa”, che oggi, 22 gennaio, si è costituito nel carcere romano di Rebibbia, va considerata con cristiana pietà ma anche come segnale di riscossa per quanti credono alla giustizia. La società civile, innanzitutto del Sud, da Palermo a Trapani, da Reggio Calabria a Crotone, da Salerno a Caserta, da Foggia a Matera può tratte nuova linfa per continuare a resistere nel segno della giustizia e della dignità.
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica alle 0.15 circa. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.
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