Come avevo detto all’inizio di questa analisi sulla sentenza 32/10 del giudice di Catanzaro Abigail Mellace sul caso Why Not, vorrei fare alcune riflessioni finali.
Affermato in premessa che l’intuizione di Giginiello ‘o scavezzacollo era stata geniale (si è poi perso per strada e lo hanno inoltre sottratto alla sua inchiesta) vorrei lasciarvi con queste semplicissime domande che contengono alcune riflessioni.
ABUSO D’UFFICIO
La sanzione più grave è stata inflitta a seguito del reato di abuso d’ufficio. Non è stata riconosciuta l’associazione a delinquere che pure era stata originariamente contestata in capo d’accusa.
In punto di diritto sarà pure così (anche se la stessa Procura generale, mi pare di capire, nutre fortissimi dubbi e grande imbarazzo, per non parlare del veleno che si stanno reciprocamente schizzando a distanza De Magistris e Mellace di cui non mi interessa assolutamente nulla e che anzi deploro) ma resta lo scoramento, che mi sento di interpretare, del comune cittadino che leggendo questa valanga di carte, le dettagliate ricostruzioni di azioni criminose e la marea di soldi sperperati, si chiede: tutto ‘sto casino alla fine si risolve con un abuso d’ufficio? Oltretutto con la condizionale e dunque il carcere non lo vede nessuno? Ma cosa deve pensare il comune cittadino? Che delinquere conviene perché porta indebiti profitti e, come se non bastasse, consente a molti, che pure si sono comportati da criminali, di svicolare attraverso le maglie della giustizia e farla franca?
L’IMENE POLITICO E’ STATO RICOSTRUITO
Altra riflessione: come è possibile (anche se stiamo analizzando solo una “fetta” della vicenda Why Not e non il tutto, essendoci ancora filoni, anche nuovi, aperti) che in Calabria un’operazione del genere sia stata possibile senza la fattiva collaborazione della politica? E come è dunque possibile che la stessa politica marcia (a parte qualche pescetto in brodo e oltretutto in primo grado) la faccia sempre franca?
Ripeto: non metto assolutamente in dubbio la correttezza e la legittimità della sentenza – parlo in generale – ma mi stupisco del fatto che la disgustosa e trasversale cupola affaristico-massonico-‘ndranghetista che governa da sempre questa regione esca sempre e comunque vergine o riverginizzata da ogni processo. Delle due l’una: o sbagliano tutti coloro che pensano che la stragrande maggioranza della politica calabrese, dalla destra alla sinistra passando per il centro e volando sulle ali estreme, sia marcia oppure i politici calabresi sono davvero il fior fiore dell’intellighenzia nazionale. Se fosse così, perché non affidare loro il governo della Nazione? Chi glielo affiderebbe alzi la mano o, in alternativa, inondi questo blog di messaggi tipo: “Voglio che la classe dirigente italiana sia scelta solo ed esclusivamente tra politici che hanno già amministrato in Calabria, fosse anche solo stata una villetta a schiera”.
Per inciso, come ho scritto nel post di ieri, la stessa Procura generale ha chiesto alla Cassazione di rivedere le posizioni di 4 politici. Non sono il solo ad avere dubbi.
CUCU’ LA ‘NDRANGHETA NON C’E’ PIU’
Non vi puzza strano il fatto che non in una riga delle migliaia di pagine scritte tra De Magistris, dai magistrati che si sono succeduti nelle Procure di Catanzaro, Paola e Salerno, per finire con questa sentenza, non compaia neppure per sbaglio l’ombra della ‘ndrangheta? Che so: anche in controluce? E’stato intercettato mezzo mondo e non c’è una parola una che riconduca anche lontanamente, che so, a una mezza tacca di qualunque sfigatissima cosca?
Anche in questo caso delle due l’una: o siamo tutti dei cazzoni a pensare che l’economia e la società calabrese siano soffocate dalle cosche che controllano anche l’aria, oppure la Calabria in realtà è come il Tukul, che è una capanna dove il negro fa la nanna. Un luogo caldo e accogliente, il paradiso della imprenditoria e del vivere civile e non un luogo tetro dove conviene entrar di dietro. Alzi la mano chi la pensa così, anzi inondi questo blog di messaggi tipo: “Ho deciso di trasferire la mia attività imprenditoriale non più in Romania ma a Crotone. Meglio: a Isola di Capo Rizzuto dove mi hanno detto che una famiglia offre ai nuovi arrivati pasticcini e aperitivo serviti su un simpatico bazooka”. In alternativa potete mandare messaggi tipo: “Potevo trasferirmi a Brescia, New York o Lugano ma essendo l’alternativa in cui far crescere i miei figli Locri, ho deciso per quest’ultima ridente località sul mare, affittando villa mai censita né ultimata con vista proiettili, attentati, racket e omicidi. Questa si che è vita, cazzu cazzu”.
Allora ti viene il sospetto che la ‘ndrangheta abbia non dico “innescato” la miccia (anche se non lo escluderei affatto e del resto i modi e le occasioni non gli fanno certo difetto) ma soffiato sul fuoco e – del tutto indifferente agli esiti processuali di cui si fotte tre quarti – abbia accolto e raccolto con entusiasmo il gran casino che è scaturito da questa inchiesta che ha spazzato via un concorrente organizzato e legale.
Eh sì perché vedete, una cosa sulla quale nessuno dei geni applicati a questa vicenda ha mai riflettuto è che il potere di Antonio Saladino e delle sue creature ha rotto in realtà in Calabria un equilibrio delicatissimo e, al tempo stesso, sacro: l’assegnazione del posto di lavoro che al Sud non è un diritto ma un favore. E i favori vanno ricambiati.
Fino all’ingresso dell’ala imprenditoriale “saladiniana”, il lavoro in Calabria si reggeva su un semplice presupposto: io ti do il lavoro, tu mi voti. E chi organizza(va) per moltissimi politici la raccolta del consenso e quindi del voto in cambio del lavoro? Le cosche che, dal politico eletto, ricevevano (ricevono) in cambio fiumi di denaro pubblici ed europei attraverso i rivoli dell’imprenditoria assistita, delle autorizzazioni a costruire su terreni magicamente cambiati nella destinazione d’uso e, soprattutto, attraverso i fondi per le opere pubbliche. Altro che ricette tremontiane per uscire dalla crisi: basta fare un giro al Sud e copiare il modello!
Il feroce Saladino ha rotto l’equilibrio: io, che sono legale e legalizzato, creo lavoro e occupazione e tratto con la politica. E voi davvero credete che le cosche potessero permettere che il lavoro in Calabria fosse “legalizzato” e che qualcun altro, se non le famiglie che si spartiscono anche l’aria, potesse trattare di assunzioni e affari con la marcia e disgustosa politica calabrese? Ma mi facci il piacere…
GLI INGREDIENTI CHE MANCANO
La verginità della politica e l’assenza della ‘ndrangheta sono in realtà impossibili in Calabria. Pure fantasie. E’ più facile che un proiettile di bazooka entri nella cruna di un ago che un posto di lavoro o un’opera pubblica in Calabria siano fatti senza l’intervento interessato della politica marcia o della cosca. E allora la scomparsa della politica dalle inchieste calabresi (questa, come tutte le altre finora) e l’assenza (in questo caso) anche solo in filigrana della ‘ndrangheta, vogliono dire che si è riproposta ancora una volta quella miscela esplosiva che governa da sempre questa regione e che, del resto, ora comincia ad affiorare anche nelle parole di alcuni magistrati e (pochissimi) politici (come Doris Lo Moro e Angela Napoli). Una miscela esplosiva che chiama in causa due ingredienti fondamentali: servizi segreti deviati e massoneria. Vi siete chiesti perché i servizi segreti affiorano nell’inchiesta originaria di Giginiello ‘o tirabuscio e poi, magicamente, scompaiono. Vi siete mai chiesti (io, ahimè, queste cose le sto scrive
ndo dall’inizio e basta consultare l’archivio per averne contezza) perché i guai di De Magistris iniziano quando mette il naso nelle logge e comincia a unire i puntini dei nomi che possono essere collegati alle logge, spesso segrete, ai loro traffici e ai loro affari? Tra l’altro sia ben chiara una cosa: quei nomi e quei puntini che lui stava unendo erano solo l’inizio. Molti di quei nomi – anche se lo negherebbero anche di fronte alla loro mamma – in Calabria lo sanno anche i bambini, che sono massoni! No, vedete, i nomi e i puntini che De Magistris avrebbe cercato e collegato erano ben altri, quelli “invisibili” che da sempre dominano la scena attraverso le logge coperte. E che nelle logge coperte ridono e bevono, tra un grembiulino spiegazzato e un cappuccio alle spalle, con i pezzi deviati dello Stato, la peggiore politica del Paese e le famiglie di ‘ndrangheta che parlano inglese e studiano alla Bocconi, accanto a quelle (sempre meno rappresentate) che calzano la coppola.
Insomma, De Magistris ha fatto la fine del povero Agostino Cordova, ex capo della Procura di Palmi e Napoli, che per aver osato sollevare un po’ di polvere da cappucci e grembiuli, è stato messo lui nella polvere!
Bene, per ora mi fermo qui con Why Not ma continuate a seguirmi perché a giorni scriverò ancora di De Magistris (per i cultori della materia sarà imperdibile!).
6– the end (le precedenti puntate sono state pubblicate il 2,3,4,5 e 6 novembre)
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*LE SANZIONI DEL GIUDICE
Per quanto note dal 2 marzo 2010 tanto le condanne quanto le assoluzioni, ritengo doveroso, da giornalista trasparente, serio e professionale quale sono, proprio nel momento in cui con questa serie di servizi sono tornato dopo molto a occuparmi della vicenda Why Not, ricapitolare (in sintesi e senza riferimento alle varie vicende richiamate in 944 pagine anche perché per alcune hanno fatto seguito assoluzioni e per altre condanne magari nei confronti dello stesso imputato come avrete modo di leggere nell’elenco sottostante) le sanzioni stabilite dal giudice di Catanzaro Abigail Mellace nell’ambito della sentenza 32/10. Per quanto non tenuto, con piacere aggiornerò, nel corso di questi giorni, anche i precedenti articoli pubblicati negli scorsi anni su questo blog, in cui i protagonisti principali di questa sentenza sono richiamati. Più che una questione di deontologia professionale, per me sempre presente, è una questione di stile di vita.
CONDANNE
Saladino Antonio (art.323, comma 2 c.p) è stato condannato a due anni di reclusione.
Lillo Giuseppe Antonio Maria 1 anno e 10 mesi
La Chimia Antonio Alessandro 1 anno e 10 mesi
Pietro Macrì 9 mesi e 900 euro di multa
Gianluca Morabito 6 mesi e 600 euro di multa
Saladino Francesco 4 mesi e 300 euro di multa
Simonetti Francesco 1 anno
Rinaldo Scopelliti 1 anno
Tutti sono stati condannati in solido al pagamento delle spese processuali e per tutti c’è stato il beneficio della sospensione condizionale della pena
Macrì, Morabito, La Chimia e Francesco Saladino, inoltre, non potranno contrattare con la pubblica amministrazione per una durata pari a quella della pena.
ASSOLUZIONI (perché il fatto non costituisce reato)
Saladino Antonio, Lillo Giuseppe Antonio Maria, La Chimia Antonio Alessandro, Macrì Pietro, Saladino Francesco, Scopelliti Rinaldo, Aloisio Carmine, Saladino Saverino, Abramo Sergio, Fagà Maria Teresa, Franco Antonio Michele, Muraca Luigi, Bevilacqua Gianpaolo, Pegorari Aldo, Lucifero Francesco, Garagozzo Nicola, Postorino Filippo, Alvaro Mario e Biamonte Peppino, Andricciola Pietro, Scardamaglia Mario, Savaglio Sabatino, Cumino Franco Nicola, De Grano Mariangela, Sibiano Lucia, Fragomeni Giuseppe, Incarnato Luigi, Tripodi Pasquale Maria, Turatto Renzo, Anastasi Pasquale, Bloise Raffaele, Bruno Bossio Vincenza, Chiaravalloti Giuseppe, Conforti Eugenio Luigi, De Grano Francesco, Durante Nicola, Loiero Tommaso, Lacaria Giovanni, Loiero Agazio, Luzzo Gianfranco.