Cari amici di blog oggi vorrei introdurre, visto che siamo in pieno fine settimana, temi più leggeri che, chiedetevi un po’ come mai, sono gli unici o quasi che hanno catturato l’interesse della maggior parte dei giornalisti che si sono buttati nella sentenza Why Not in rito abbreviato 32/10. A proposito: il 2 novembre la Procura generale di Catanzaro si è appellata contro sei proscioglimenti e ha chiesto alla Cassazione di riesaminare la posizione di sei persone: i politici Nicola Adamo, Ennio Morrone, Franco Morelli, Dionisio Gallo, il dirigente regionale Aldo Curto e Giancarlo Franzè.
In questa pur appassionante sentenza non mancano stranezze che, in vero, a mio avviso testimoniano come e con quanta facilità si possano perdere, nelle vicende giudiziarie, le tracce di tasselli importanti.
Da pagina 146, a esempio, il giudice Abigail Mellace comincia a ricostruire la vicenda forse più intricata, intricante e complessa dell’inchiesta Why Not, vale a dire quella relativa al cosiddetto “Bando Fragomeni”.
Ebbene il giudice ricostruisce che, seguendo l’ordine cronologico degli avvenimenti, il 16 marzo 2007, il sostituto procuratore disponeva la citazione, in qualità di persona informata sui fatti, di Caterina Merante, la superteste, che si sarebbe dovuta presentare l’indomani, 17 marzo, alle 9.30.
“Tale audizione – annota Mellace – non risulta mai espletata o, meglio, dello stessa non vi è alcuna traccia documentale nel fascicolo”. Scusi, non ho capito, può ripetere? O meglio, riscrivere? Sparito? Ma che vor dì sparito? Come fa a sparire un fascicolo e come può non esserci traccia documentale? Ma dove li tenete in Calabria i documenti e i file importanti? Tra i rotoloni Regina?
Mellace si spiega immediatamente dopo. “Come vedremo, infatti il primo verbale acquisito agli atti – scrive il giudice – in cui sono riportate le prime dichiarazioni di Merante Caterina, reca la data del 26 marzo 2007 e risultato già redatto, per ragioni di sicurezza, in località segreta, innanzi al Pm e al maresciallo di Pg Giuseppe Chiaravalloti”.
Ricapitolando: l’audizione (o il di lei verbale) son spariti nella famosa nebbia reggina mentre la prima traccia di vita di Merante è del 26 marzo. Uno potrebbe dire: beh, almeno un punto fermo ce l’abbiamo. Poveri illusi. Continuate a leggere e vi renderete conto che ciò che nel mondo civilizzato è impossibile, in Calabria diventa realtà.
Scopriamo infatti a pagina 192 che “…il verbale del 26 marzo riportato nel corpo dell’atto del 21 novembre 2007 non è, come si legge, quello originario, ma è stato artatamente modificato in senso accusatorio al fine di far risultare che la Merante, sin dalla prima verbalizzazione, era a conoscenza di decisivi, nella ricostruzione accusatoria, fatti e accadimenti, che, invece la stessa nel primo verbale non riferiva, o omettendo del tutto quei particolari o rendendo sul punto dichiarazioni imprecise e confuse, prive, con evidenza, di valenza probatoria”.
Ma non finisce qui. A pagina 245 Mellace chiarisce che il verbale del 26 marzo 2007 non è stato riportato nel corpo del successivo verbale nel suo contenuto originario, così come doveva essere fatto, ma è stato modificato in modo sostanziale. “Il contenuto di tale atto dunque – che per la cronaca verteva su varie cose ma la più pubblicizzata dai media è stata quella della cosiddetta Loggia di San Marino – con evidenza non è né genuino né affidabile e in concreto non utilizzabile come fonte di prova dei fatti affermati e lo stesso dunque non sarà mai oggetto di alcuna valutazione in relazione alle imputazioni che qui occupano”.
E poco dopo Mellace si avventura in quello che a mio avviso è un rovo spinosissimo, ma non per quello che i “giornalai” e i “politicanti”hanno sottinteso ma per la valenza istituzionale che ricopre. Il giudice scrive infatti che “il fatto evidenziato in ogni caso è di estrema gravità, soprattutto se valutato anche alla luce di quanto sopra rappresentato circa i rapporti che sussistevano tra la dichiarante Merante Caterina e l’investigatore maresciallo Chiaravalloti all’epoca in cui veniva svolto l’interrogatorio in esame”.
IL RUOLO DEL MARESCIALLO
Ordunque la “stampa giornalaia” e i pettegolezzi di molti salotti calabresi e romani si sono sbizzarriti nell’interpretare i rapporti tra i due. Debbo dire che dei pettegolezzi me ne fotto tre quarti e che l’unico salotto che frequento è quello di casa mia dove prima di fare entrare una persona (intollerante come sono) ci penso un miliardo di volte.
E allora ne scriverò usando solo ed esclusivamente i concetti (che del resto si ripetono quasi con monotonia nelle motivazioni della sentenza) riportate dal giudice Mellace, partendo da quello che ha fatto scalpore e che è stato, a mio modesto avviso, parzialmente (e volontariamente?) traviato.
A pagina 190, infatti, il giudice scrive: “Dalle dichiarazioni sotto riportate si ricava senza sforzo come la Merante era il vero dominus delle investigazioni eseguite dal maresciallo Chiaravalloti, il quale, letteralmente in balia della dichiarante, operava attendendosi in primo luogo agli ordini della testimone e cercando, a tutti i costi, di trovare elementi di conferma alla credibilità del suo narrato”.
IL DOMINUS
Vorrei soffermarmi un attimo su questo ultimo capoverso. Molti osservatori superficiali e alcuni “giornalai” lo hanno (in malafede?) interpretato come se il giudice Mellace affermasse che Caterina Merante fosse il dominus dell’intera inchiesta di Giginiello ‘o sciupafemmine. Attenzione: un conto è dire che Merante, per il giudice Mellace, era il dominus dell’inchiesta (cosa che, qui, non dice), altro conto è dire che fosse il dominus delle investigazioni del maresciallo Chiaravalloti che esplicava una parte delle attività delegate da De Magistris (seppur importante ma al pari di altre). Vorrei aggiungere inoltre che, se non ricordo male, il rapporto fra lo stesso Giginiello e il maresciallo Chiaravalloti era tutt’altro che idilliaco. Anzi, credo che il primo vedesse il secondo come il fumo negli occhi.
Ciò detto, altra cosa è andare a vedere cosa Mellace scrive e riporta a proposito di Caterina Merante, indubbiamente fascinosa superteste dell’inchiesta originaria.
Si può, credo senza sorta di smentita, affermare che da pagina 889 a pagina 892 il giudice, ricostruendo il suo profilo, smonta senza pietà alcuna l’attendibilità e la credibilità di Merante. Scrive a esempio, che quando Merante “instaurava il rapporto di collaborazione con l’Autorità giudiziaria, non era sorretta dalla prioritaria determinazione di fare conoscere la verità sui fatti raccontati, ma al contrario perseguiva lo scopo di allontanare dalla sua persona lo spettro dell’incriminazione penale e di preservare da ogni pericolo la società Why Not, con la quale fino a quel momento aveva incamerato ingenti risorse pubbliche”.
Nella pagina seguente, proseguendo il ragionamento, Mellace scriverà che Merante “non è una fonte credibile né da un punto di vista soggettivo né da un punto di vista oggettivo e non è inoltre superfluo considerare che tutto il racconto della Merante è fondato su una gravi
ssima contraddizione logica” che, spiegherà dopo Mellace, consisteva nel fatto che, secondo Merante, Saladino fin dall’inizio della sua attività imprenditoriale (1999) operava in maniera illecita e cedeva alle raccomandazioni dei politici. Non si spiega allora perché, sostiene Mellace, Merante abbia condiviso per in lungo periodo di tempo l’operato dello stesso Saladino.
A pagina 891 Mellace scriverà che “in particolare non hanno trovato alcuno sbocco processuale le accuse afferenti l’esistenza di associazioni segrete e logge deviate, formulate anche nei confronti di alcuni degli odierni imputati; non ha trovato alcuna conferma la riferita partecipazione del Saladino alla massoneria, non si sono tramutate in alcuna contestazione i riferiti contatti illeciti tra il Saladino e uomini dei servizi segreti, non sono stati convalidati gli addebiti mossi a quest’ultimo in ordine alle pratiche di plagio poste in essere nei confronti dei suoi collaboratori, anche attraverso la somministrazione di psicofarmaci”.
Più avanti Mellace ricostruirà la correttezza non solo dell’operato dell’allora Governatore Loiero Agazio, ma, in particolare del dirigente Francesco De Grano (“mai portavoce nell’interesse di nessuno di sconvenienti proposte di assunzione”), dell’allora assessore Pirillo Mario (già uscito dall’inchiesta in precedenza) e via di questo passo, per varie vicende e progetti per i quali erano stati chiamati improvvidamente in causa a vario titolo (a partire dal Progetto Tristeza e via dicendo). Così come completamente scagionati, in questo rito abbreviato, saranno molte altre persone chiamate in causa in questa indagine (la lista la pubblicherò domani, domenica 7 novembre, a fondo pagina e la evidenzierò con un *).
L’AFFONDO FINALE
La stoccata finale nei confronti di Merante è davvero sanguinosa. La si trova a pagina 895 in cui Mellace scrive che “di fatto, l’intero castello accusatorio della Merante è in toto crollato e che l’oggetto del presente procedimento non è fondato sulle sue rivelazioni ma su diversi elementi di prova, dichiarativi e documentali, acquisiti nel corso delle indagini e che hanno permesso di ricostruire oggettivamente i molteplici fatti illeciti oggetto del presente procedimento. In relazione a tali fatti gli apporti conoscitivi della Merante si sono rivelati o superflui, in quanto meramente ripetitivi di ciò che “aliunde” emergeva, o addirittura anche fuorvianti, non avendo ad esempio la medesima riferito particolari e circostanze che invece erano utili per chiarire le reali modalità di verificazione delle stesse vicende. Ed invero non risulta che la Merante abbia mai denunciato gli esorbitanti utili conseguiti per effetto del primo contratto di appalto n.255/2003, grazie anche alla sovrastima dei costi contenuta nel bando, non emerge dagli atti che ella abbia mai riferito di aver assunto la figlia del dirigente Simonetti o di aver commissionato ad Osso Gaetano la redazione del Progetto Red, o di avere ricevuto liste di lavoratori per i progetti Infor e Bifor, o di aver intrattenuto un evidente rapporto con la Marasco Rosalia, grazie al quale redigeva il bando della gara poi annullato da Fragomeni etc”.
Etc: chiude proprio così Mellace il 2° capoverso di pagina 896 e si capisce che ne ha abbastanza.
IL DUO MERANTE-SALADINO
Quel che qui interessa ai fini del rapporto Saladino-Merante, seguendo il filo logico che abbiamo finora tracciato, è che – come spiega il giudice Mellace a pagina 341 e seguenti – “le risultanze procedimentali complessivamente valutate, sconfessano completamente l’assunto accusatorio secondo il quale il Brutium e la Why Not erano società solo riconducibili al Saladino o nel cui ambito lo stesso esercitava un ruolo egemone, che non lasciava alcuno spazio ai poteri decisionali degli amministratori delle due società (e alla Merante in particolare).
Al contrario tutte le prove assunte nel presente giudizio conducono a un risultato probatorio diametralmente opposto, dimostrando che dal 2002 e almeno fino alla fine del 2005-inizio 2006 il Saladino ha operato avvalendosi, in primo luogo, della fattiva completa collaborazione della Merante, suo braccio destro a tutti gli effetti, preposta non (o non soltanto) a compiti operativi ed esecutivi ma investita di funzioni amministrative e decisionali, svolte dalla medesima in prima persona, con assoluta e chiara consapevolezza di tutti i progetti e i programmi messi a punto dall’imprenditore, alla cui attenzione ha sempre fornito un contributo determinante”.
Fermiamoci qui. Domani l’ultimo post che non esaurirà certo l’argomento ma tanto, statene certi, quello di Mellace non sarà l’ultimo atto della vicenda. Non a caso, a esempio, proprio per Caterina Merante, Giancarlo Franzè e Antonio Alessandro La Chimia, Mellace ha disposto il nuovo invio degli atti alla Procura della Repubblica affinchè indaghi sui reati richiamati per una sfilza di vicende.
Domani (ebbene sì, mi dovrete sorbire anche di domenica, come le prediche dei preti) nell’ultimo post tirerò alcune riflessioni conclusive.
5– to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 2,3,4 e 5 novembre)
p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia nuova trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 21.00. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie