Lotta a Cosa nostra/ Il pool antimafia nel 1985 lavorò in media 20 ore al giorno per 11 mesi!

Amati lettori di questo umile e umido blog, sto analizzando con voi l’audizione di Paolo Borsellino il 31 luglio 1988 davanti alla prima commissione referente-Comitato antimafia del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Borsellino era chiamato a spiegare il senso di un’intervista rilasciata 11 giorni prima a Repubblica e Unità sul rischio di smantellamento del pool antimafia di Palermo.
Mercoledì e ieri abbiamo visto il senso dello Stato del giudice nella lotta a Cosa nostra e la necessità, ineludibile, di portare l’opinione pubblica a conoscenza no solo dei passi avanti nella lotta alla mafia ma anche dei rischi di stop ai processi preventivi e repressivi nei confronti dei sistemi criminali.
Oggi provo a guastarvi il fine settimana o la partenza per le meritate ferie con un pezzo che la dice lunga sul senso dello Stato di giudici come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e altri loro colleghi. Vi parlerò, infatti, del loro attaccamento al lavoro che non guardava né l’orologio, né il correre dei giorni né, purtroppo, gli affetti.
Ad un certo il rappresentante del Csm Vito D’Ambrosio chiede a Borsellino quale fosse il ritmo di lavoro del pool antimafia di Palermo.
Leggete attentamente la risposta: «Dal gennaio al novembre del 1985, tanto per fare un esempio, non credo di essere uscito se non per 4-5 ore al giorno, e per giorno intendo le 24 ore, dalla mia stanza senza finestre nel bunker. O meglio ne uscii, perché dopo l’omicidio del commissario Cassarà fummo chiamati, io e Falcone, dal questore di Palermo dell’epoca il quale ci disse che lo stesso giorno dovevamo essere segregati in un’isola deserta assieme alle nostre famiglie per finire di fare l’ordinanza, perché se questa ordinanza non la facevamo noi, se ci avessero ammazzati, non la faceva nessuno perché nessuno era in grado di metterci mano. Siccome io protestai, dicendo che questa decisione non doveva essere attuata immediatamente, perché Falcone è senza figli, ma io avevo famiglia e dovevo regolarmi le mie faccende, mi fu risposto in malo modo che i miei doveri erano verso lo Stato e non verso la mia famiglia. Sta di fatto che riuscii ad ottenere 24 ore di proroga, ma dopo 24 ore scaricarono me, Falcone e rispettive famiglie in quest’isola. Siamo stati buttati all’Asinara a lavorare per un mese e alla fine ci hanno presentato il conto, ho ancora la ricevuta».
D’Ambrosio domanda: «Questo ritmo di lavoro veniva portato avanti insieme da voi giudici del pool, stavate quindi un numero indeterminato ma notevole di ore al giorno insieme a lavorare? ».
Risposta laconica di Borsellino: «Giorno e notte».
Non credo che ci sia bisogno di aggiungere altro.
r.galullo@ilsole24ore.com

3 – to be continued (per le precedenti puntate si leggano
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/07/19/strage-di-via-dameliopaolo-borsellino-senza-pool-antimafia-danni-irreversibili-per-la-societa-parole-profetiche/)
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2017/07/20/il-senso-di-paolo-borsellino-per-lo-stato-lopinione-pubblica-deve-essere-informata-non-e-una-guerra-tra-poliziotti-e-mafiosi/)

  • Bartolo |

    Vede Galullo
    Il guaio è sempre il lavoro (per mia fortuna, solo nello scorso mese, sono stato licenziato due volte).
    Poi ci sono gli eredi di Falcone e Borsellino che si sono convinti di essere tali, ma piuttosto che 20 ore al giorno di impegno lavorativo, come profuso con meticolatezza dai due servitori dello stato trucidati, si limitano a prendere per oro colato le dichiarazioni di balordi con la patente di pentiti e ai copia incolla di altrettanto lavoro sommario di altri colleghi che, piuttosto che il pericolo di toccare i fili dell’alta tensione mafiosa, amano soltanto la gloria di deportare e torturare pochi paralitici- disadattati- cialtroni e un esercito di cittadini dei bassi fondi delle periferie dell’impero, incapaci persino di difendersi.
    Saluti.

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