«Anni di massacrante lavoro sono appena sufficienti a percepire i complessi meccanismi della criminalità mafiosa e le corrispondenti complesse esigenze delle indagini su di essa. I miei interventi per “canali non istituzionali” (dei quali, se considerati scorretti, sono pronto a subire tutte le conseguenze) hanno avuto soltanto la finalità di contribuire affinché venga percepita la inderogabile esigenza, in materia di indagini sulla criminalità mafiosa, di avvalersi appieno della preziosissima esperienza di chi, pur tra enormi difficoltà ed indubbi errori, ha sperimentato metodi di lavoro ed acquisito conoscenze, non alterabili o disperdibili senza irreparabili danni per la società».
Questa frase, cari lettori di questo umile e umido blog, è stata pronunciata dal giudice Paolo Borsellino – di cui oggi ricorre il 25ennale della morte in una strage che vide perire anche 5 persone di scorta – il 31 luglio 1988 davanti alla prima commissione referente-Comitato antimafia del Consiglio superiore della magistratura (Csm).
Borsellino era chiamato a spiegare il senso di un’intervista rilasciata 11 giorni prima a Repubblica e Unità sul rischio di smantellamento del pool antimafia di Palermo.
Il Csm ha deciso – con lodevole decisione – di mettere in linea l’audizione del luglio 1988 ma dubito che la stragrande maggioranza degli italiani sgomitino per leggerla (la memoria storica da noi ha gambe cortissime) e dubito, altresì, che la gran parte dei miei colleghi si affannino nel cliccarla. Troppa fatica. Anche se magari scrivono di mafia.
Per dare un seguito a quanto ho scritto e scrivo in questi giorni sul Sole-24 Ore cartaceo e online in merito alla strage del 19 luglio 1992, ho deciso da oggi e per i prossimi giorni di leggere e condividere con voi quell’audizione, traendone alcuni spunti di profonda riflessione.
Il primo è proprio quello che trovate sintetizzato in quella frase che in poche righe racconta un mondo.
Per prima cosa quella frase dice che servono anni e anni piegati su carte e investigazioni per capire quell’animale scivoloso e infido che è un’organizzazione mafiosa. Una lezione – anche postuma – per chi crede, in ogni settore della classe dirigente italiana, ivi inclusa quella giudiziaria e del mondo dell’informazione, di capire tutto in poco tempo e, magari, spiattellare ricette miracolose per battere la piovra mafiosa.
E – questo lo aggiungo io – quando credi di aver raggiunto un ragguardevole grado di conoscenza, devi essere pronto a ripartire da zero perché la capacità evolutiva dei sistemi criminali è nettamente superiore alla capacità complessiva delle Istituzioni di rispondere e prevenire.
La seconda, straordinaria lezione sulla quale tornerò appositamente domani, è quella per la quale la diffusione e la conseguente conoscenza all’esterno dei granelli piccoli o grandi che inceppano la lotta alla mafia, sono vitali per fare in modo che la società progredisca. Di conseguenza Borsellino parlava di «danni irreparabili per la società» nel caso in cui i sistemi e il metodo di lavoro del pool antimafia palermitano fossero stati cancellati. Di questo la pubblica opinione non poteva non essere informata.
Ancor prima che con quell’intervista, ricordiamolo, Borsellino esternò il suo pensiero in un convegno pubblico svolto ad Agrigento il 16 luglio 1988, nel corso di una tavola rotonda alla quale parteciparono, tra gli altri, anche Luciano Violante, Alfredo Galasso e Leoluca Orlando.
Questo era il senso dello Stato di Paolo Borsellino nella lotta alla mafia. Ricordarlo nelle ore in cui, ancora una volta, milioni di lacrime di coccodrillo vengono versate in memoria di questo Servitore dello Stato è importante. Almeno per me.
A domani.
r.galullo@ilsole24ore.com
1 – to be continued