Per anni, a ragione del mio lavoro, mi sono trovato alle prese con persone che – per comune sentire e/o per tradizione orale, scritta o mediatica – erano (e spesso ancora sono) catalogate come anti mafiose.
No, nulla a che vedere con l’antimafia giudiziaria, associativa, imprenditoriale, ecclesiastica o giornalistica che oggi è percorsa da fremiti, scosse e indagini. No, nulla di tutto questo. Semmai, in taluni casi, alcuni personaggi coincidono ma il ragionamento che vi propongo è molto molto più ampio.
Mi riferisco – principalmente – a personaggi e figure che restano anche fuori dai riflettori o dalle ribalte mediatiche. Vuoi in campo investigativo, vuoi in campo della magistratura o più semplicemente della politica o della società. Tutte persone che vantavano e vantano – a parole e/o con i fatti – percorsi di reale impegno contro le mafie. Eppure…
Eppure – e questo può insegnartelo solo l’esperienza e il lungo corso – con il trascorrere degli anni ti accorgi che, sì, apparentemente la fedina morale è pulita, l’impegno c’è ma non riesci a capacitarti di alcuni comportamenti, atti, fatti, pensieri, opere, missioni e omissioni che cozzano – cazzo se cozzano – con una filosofia di vita apparentemente pura, integerrima, tutta votata a valori e principi.
Insomma, si duri e puri (per quanto purezza e durezza siano entità astratte perché c’è sempre qualcuno più duro e puro di te) ma forse anche flosci e impuri.
Avete presente un investigatore che appone la sua firma ad un’indagine per mafia ma – contemporaneamente – la vita poi lo fa collocare in un luogo fisico popolato da quell’area che combatte?
Avete presente un magistrato o un giudice che in gioventù (professionale) è stato indagato, uscito miracolosamente illeso da gravissime accuse ma sul quale restano tante ombre e dubbi e che nel frattempo è diventato un oracolo dal quale pendono le labbra dei ciechi e degli allineati al potere? Di questi, poi, di esempi potrei farvene a pacchi.
O avete presente un politico che martella di interrogazioni parlamentari un ministro sui fatti di mafia che avvelenano il suo collegio e poi è pronto ad appoggiare il collega di un altro collegio che invece, nel migliore dei casi, se ne fotte allegramente della lotta alla mafia?
O avete presente il professorone-espertone-tuttologone che scrive e discetta di lotta alla mafia con libri, convegni, comparsate, interviste e cotillon e poi, tomo tomo cacchio cacchio, si rivolge ad ambienti oscuri, torbidi e melensi per avere in un cda un familiare?
O avete ancora presente – oh ragassi, la lista è lunga e dunque mi fermo a quest’ultimo esempio – il giornalista che scrive contro ogni sistema criminale ma è pronto a non approfondire i fatti che riguardano fonti diventate nel frattempo amiche (i Giornalisti non devono avere mai amici tra le fonti per continuare a non guardare in faccia a nessuno, ma tant è)?.
Bene, questa è la tipologia – che con pena e sofferenza ho imparato a conoscere nel tempo e ad allontanare di conseguenza dalla mia vi(s)ta appena ne ho sentore – alla quale mi riferisco.
In altre parole parlo e scrivo del “metamafioso”, un essere in trasformazione e metamorfosi perenne, che in se assomma parti nobili di antimafia spinta e residui tossici di cultura mafiosa. Un essere ibrido, invisibile e, dunque, ancor più pericoloso. Un nuovo mostro.
E sì, perché combatterlo diventa difficile.
Come fai a dargli del mafioso se la sua firma compare su un atto che porta mafiosi in carcere, su una sentenza che li condanna, su un libro che li ridicolizza, su un articolo che li deplora, su un’attività legislativa che espone pezzi di mafia al pubblico ludibrio?
Già, come si fa? Semplice: non si fa.
Questa genia – sulla quale pochissimo si è indagato e dalla quale tutti stanno per paura alla larga – inquina la società tanto quanto i mafiosi acclarati perché serve una parte di quel sistema che – con altri atti e fatti – combatte. Insomma, una metamorfosi perfetta e un’integrazione tossica sulla quale intervenire è praticamente impossibile fino a che, qualcuno di loro, non viene palesemente beccato con le mani nella marmellata ma riflettiamo sul fatto che, comunque, di costui resteranno negli annali fatti, opere e parole che testimonieranno una “parte” di vita spesa contro una “parte” di sistema criminale. Una consapevolezza, una scientificità nell’agire, una chirurgia millimetrica per colpire a destra per salvare a manca. Devastante, anche perché dietro c’è (quando non una deficienza cerebrale di base che li rende utili idioti) una pianificazione proprio da parte di quei sistemi criminali che adottano tecniche sopraffine che sfuggono ai radar di chi dovrebbe combatterle ma, ancor prima, prevenirle, studiarle e capirle.
In altre parole, avrete capito che le nostre Istituzioni e la nostra classe dirigente (sic!) è stata ingolfata negli anni di questi “servi di parte” che, tra di loro, arrivano anche allo scontro pur di preservare lo spicchio oscuro del quale vivono di luce (pardon, di ombra) riflessa.
Questa genia – che negli anni sì è andata affinando – è infiltrata ovunque ed è quota parte di quel mondo oscuro e riservato del quale, a partire dalle prossime ore, tornerò a scrivere ancora su questo umile e umido blog.