Giuseppe Lombardo (Dda Reggio Calabria): «La storia mafiosa sta per essere riscritta» – Salvo Boemi (ex pm): «Marrapodi non si suicidò»

Il pm antimafia Giuseppe Lombardo alle 17.45 di oggi, sabato 4 luglio, comincia come sempre a parlare con calma e precisione nel corso del convegno “Ndrangheta e poteri criminali – Le ramificazioni della mafia calabrese a livello globale”. Un convegno organizzato dall’Associazione culturale Falcone e Borsellino, patrocinato dal Comune e dalla provincia di Reggio Calabria. La moderazione è del collega del Fatto Quotidiano Lucio Musolino.

Il suo esordio è soft: «Di fronte alla mia stanza ho un piccolo archivio, quasi tutto occupato dai faldoni delle indagini di Salvo Boemi, che non è la preistoria. Anzi».

In quella frase, soft e reverente nei confronti dell’interlocutore seduto due sedie più in là e per 10 anni coordinatore della Dda di Reggio Calabria, c’è tutto: il futuro delle indagini sulle mafie evolute cammina grazie al passato e, presto, si capirà come e con quali (imprevisti ma prevedibili) protagonisti. Con due certezze: che a baciare le pantofole delle cosche Piromalli e De Stefano sono stati tanti e che sulla forza intatta (ripeto: intatta) di queste due cosche, una genia di imprenditori, professionisti e politici non solo di Reggio e della Calabria è cresciuta nella speranza di restare per sempre impunita.

E che in quella frase c’è tutto lo si capisce quando Lombardo cita un altro episodio. «Nel monitor del pc che ho a Reggio Calabria – dice di fronte ad una sala non piena ma piena di servitori dello Stato – scorre una frase di Franz Kafka : “Da un certo punto in avanti non c’è più modo di tornare indietro. E’ quello il punto al quale si deve arrivare”».

E queste due frasi – una che rende onore ad un grande magistrato ed una che si ispira ad un grande scrittore austro-ungarico che trasmette la certezza che indietro lui non torna e con lui non tornano indietro Ros, Dia e Gdf non solo di Reggio – sono il prodromo di una rivelazione: «Le risposte arriveranno e non ci sarà più spazio per nessuno. La mia stanza è sempre aperta ma non ha mai bussato nessuno».

Un monito che fa capire chiaramente che le indagini farina del sacco dei soli pm (e non certo di spontanee collaborazioni) – che stanno correndo sull’asse Roma-Reggio Calabria-Palermo – riveleranno scenari imprevisti e incredibili, di una vera e propria mafia mondiale, costruiti tassello dopo tassello, guardando molto ma molto al di là degli scenari reggini.

Per sapere cosa è stata la ‘ndrangheta per diventare qual che è oggi, Lombardo infatti si è rivolto in Sicilia e fuori dalla provincia reggina, incrociando le dichiarazioni di decine e decine di collaboratori di giustizia e di mafiosi e trovando riscontri che, con l’operazione Breakfast, hanno visto solo un timido esordio.

«Invece di continuare a sentire i pentiti calabresi che raccontavano la ‘ndrangheta come un figlio racconta il padre – dirà Lombardoho e abbiamo affrontato l’evoluzione della ‘ndrangheta ponendo domande a chi ha rapporti a distanza: siciliani, pugliesi, campani ma anche catanzaresi e cosentini che non davano niente per scontato. Quello che abbiamo acquisito è straordinario perché siamo riusciti a comprendere che le mafie sono parti di un sistema molto più alto, integrato e circolare. E’ un sistema mafioso mondiale al quale possono appartenere ulteriori entità ma che non si ferma alle mafie convenzionali».

Il concetto («Non si può raccontare il presente senza conoscere il passato») Lombardo lo renderà molto più chiaro con un esempio che si riferisce ai vecchi capi mandamento calabresi Tripodo, Macrì, Piromalli dei quali uno, Mico Tripodo, nel suo periodo di latitanza, era compare di anello di Totò Riina da Corleone. «Non sarebbe stato questo un elemento sufficiente per cominciare a capire?» – si è domandato retoricamente Lombardo.

E giù, ancora con un racconto esplicativo più di mille chiacchiere: «Il collaboratore Fulvio Cannella, uomo di fiducia di Riina e Bagarella, a proposito dell’idea di secessione cavalcata negli anni Novanta, afferma candidamente di averne parlato con Vito Ciancimino il quale risponde che per seguire questa strada bisognava prima rivolgersi ai calabresi, al vero potere massonico calabrese».

In altre parole, la storia della criminalità e dello Stato tradito sta per essere riscritta e con lei le stagioni che dal ’70 ad oggi si sono succedute, ammesso (e non concesso) che le cosche lascino in vita chi – come Lombardo a Reggio e il pool del processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo – sta ormai stringendo il cerchio intorno alla nuova holding economico-mafiosa. E bene ha fatto Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, a dire: «C’è il pericolo concreto di attentati e di stragi, contro i veri rappresentanti dello Stato.Dal 2001 capimmo che la ‘ndrangheta era qualcosa di spaventosamente grande e pericoloso. All’epoca feci un titolo su antimafiaduemila: “Salviamoli”, successivo alla notizia di un’ipotesi di attentato contro Salvo Boemi addirittura con un bazooka. I contatti tra Cosa nostra e ‘ndrangheta ci sono, vale allora che ci sia un rapporto stretto tra le Procure di Palermo e Reggio Calabria».

PAROLA A BOEMI

Prima di Lombardo aveva parlato proprio Salvo Boemi, ex coordinatore della Dda di Reggio Calabria, che lasciato la magistratura non per limiti d’età ma perché lì non poteva più rimanerci, come lui stesso ha ammesso.

Il suo splendido intervento è stato armonico con quello di Lombardo, a testimonianza dello splendido lavoro fatto nel passato che ora, dopo decenni nei quali il contro-Stato nello stesso corpo dello Stato ha fatto di tutto per sommergere, depistare e deviare, può finalmente portare, con il nuovo lavoro svolto, a nuove e straordinarie risultanze.

Un armonia che si riscontra proprio partendo dalla massomafia, che altro non è se non quell’anti sistema criminale sempre più evoluto. «Non ci sono stati mai grandi collaboratori di giustizia ma c’era un grande personaggio qui a Reggio Calabria – esordirà Boemi – che parlò e che era il notaio più importante della città, Pietro Marrapodi. Non era stata la mafia a collaborare con noi ma atti di indagini nostre e contrariamente alle previsioni, Marrapodi parlò. Non avesse mai parlato: sarebbe ancora vivo e avrebbe fatto solo qualche anno di carcere. Invece mise nei verbali la massomafia. Lui dichiarò, provò addirittura che mafiosi di questa città facevano parte delle logge massoniche cittadine e ci diede documentazione pericolosissima. Ricordo che 2 o 3 volte lo portammo davanti a Bruno Siclari, il primo procuratore nazionale antimafia, e lui svelò il connubio che per anni è pesato su questa città in modo agghiacciante, facendone qualcosa di molto più forte che a Palermo. Per tre volte Marrapodi fece mettere a verbale che se gli fosse accaduto qualcosa non si doveva pensare che si sarebbe suicidato (secondo la versione ufficiale, Marrapodi si suicidò, impiccandosi, il 28 maggio 1996, nda). Alla terza volta Siclari gli rispose: “Abbiamo capito!”. Non abbiamo saputo salvarlo, perché non si suicida una persona che esce la mattina con la moglie, compra del prosciutto e dell’emmenthal, va a prendere della carte che aveva dimenticato al piani di sotto e muore. Questo è uno dei segreti di questa città. Voleva consegnarci altri documenti e non solo quelli della città di Reggio».

Per ora mi fermo qui ma a breve torno con altri approfondimenti su questa importante giornata seminariale di Reggio.

r.galullo@ilsole24ore.com

P.S.

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