Mafia Capitale/1 L’evoluzione in sistema criminale della Banda della Magliana anche senza l’attesa di un “messia” di destra

Ha ragione Giuseppe Pignatone, capo della Procura di Roma, che quella portata alla luce non è “la” mafia ma “una” mafia.

I romani lo sanno bene e lo sanno dai tempi della Banda della Magliana. Già allora Cosa nostra (la ‘ndrangheta non era ancora quella di oggi) bussava a casa loro per fare affari e, sia ben chiaro, chiedeva permesso. Sapeva, come sapevano i romani, che quelli della Banda della Magliana avevano nel loro codice genetico i cromosomi che avrebbero caratterizzato sempre più la stessa Cosa nostra e la ‘ndrangheta. Cromosomi che si chiamavano (e si chiamano) politica, servizi deviati, eversione di destra, massoneria deviata (strano che in “Mondo di mezzo” non appaia ma forse solo per il momento) e professionisti al soldo. In nuce e poi nell’evidenza esplosiva, quindi, la Banda della Magliana aveva già raggiunto quell’evoluzione in sistema criminale che oggi la Procura di Roma ri-riconosce, seppur con un naturale e ovvio tasso di novità e originalità, nell’organizzazione sbancata con l’indagine dei Ros dei Carabinieri, coordinata da Luca Tescaroli, Paolo Ielo e Giuseppe Cascini sotto la supervisione dello stesso Pignatone e dell’aggiunto Michele Prestipino Giarritta.

Questa mafia, battezzata “Capitale”, da sempre a Roma è quella più subdola e pericolosa e a poco importa ai romani e agli italiani tutti che i protagonisti non siano stati (finora) ri-riportati alla sbarra: sapevano e sanno che, pur in assenza di un processo per 416-bis che ne riconosca fino a eventuale terzo grado di giudizio le stimmati di mafia, a Roma agiva e agisce una batteria mafiosa che ha tentacoli ovunque a partire dalla politica. Ovviamente non solo quella locale.

Per questa “Mafia Capitale” di matrice a destra (all’epoca, con la Banda della Magliana, eversiva), è stato facile, facilissimo incunearsi ufficialmente e, al tempo stesso, silenziosamente, nei gangli vitali dell’amministrazione capitolina. Per un gioco del destino, infatti, molti protagonisti di quegli ambienti intranei o contigui alla Banda, si sono ritrovati con un regalo improvviso: un sindaco e una Giunta che da destra veniva e che a destra ha guardato per piazzare le pedine fondamentali in posti chiave. Tra queste pedine, secondo la ricostruzione della Procura, molti protagonisti di una stagione sporca che a Roma, sia chiaro a tutti, non si è mai conclusa e fa strano pensare che, fino a pochi mesi fa, magistrati, investigatori e analisti che seguirono passo dopo passo la Banda della Magliana fino a perseguirla e colpirla, scrivevano e raccontavano con insistenza che quella stagione era morta e irripetibile. Solo chi non conosce Roma poteva dire una cosa del genere: la Capitale corrotta e corruttrice non poteva e non può fare a meno di quella stagione perché tonifica e gonfia gli affari sporchi attraverso l’unica chiave di volta: la politica che a Roma è vita e morte.

Che Gianni Alemanno fosse pedina di questo meccanismo sta alla pubblica accusa sostenerlo e ai giudici decidere ma certo fa specie pensare che il primo cittadino della Capitale abbia aperto i varchi e poi abbia perso totalmente il controllo, perché la politica romana divora e corrompe tutto.

Sarebbe sbagliato, però, pensare che quell’evoluzione carsica e strisciante della Banda della Magliana, dei suoi reduci e dei nuovi adepti, fosse rimasta a guardare e sperare l’arrivo di un messia di destra. Nossignori. Hanno sempre governato ogni tipo di traffico sporco, ogni lavanderia di riciclaggio, hanno sempre dato del tu ai capi delle altre mafie che hanno sempre chiesto il permesso per continuare a spartirsi la torta ricca della città, hanno sempre manovrato come pupari politici e professionisti e sono sempre entrati, senza chiedere il permesso, nei servizi deviati e nelle logge deviate.

La “Mafia Capitale”, dunque, è finalmente l’evidenza di quel che i romani provavano sulla pelle anche dopo la presunta scomparsa della Banda della Magliana: un prurito mortale. La “Mafia Capitale” è quel sistema criminale che anche a Palermo come a Reggio Calabria manovra per divorare l’Italia.

Ora vi lascio con la trascrizione della parte essenziale del paragrafo “I caratteri di Mafia Capitale” descritti dalla Procura e sottoscritti il 28 novembre dal giudice Flavia Costantini.

r.galullo@ilsole24ore.com

4- I caratteri di Mafia Capitale

Le indagini svolte hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all’esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici.

Mafia Capitale, volendo dare una denominazione all’organizzazione, presenta caratteristiche proprie, solo in parte assimilabili a quelle delle mafie tradizionali e agli altri modelli di organizzazione di stampo mafioso fin qui richiamati, ma, come si cercherà di dimostrare nella esposizione che segue, essa è da ricondursi al paradigma criminale dell’art. 416bis del codice penale, in quanto si avvale del metodo mafioso, ovverosia della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza, per il conseguimento dei propri scopi.

Essa presenta, in misura più o meno marcata, taluni indici di mafiosità, ma non sono essi ad esprimere il proprium dell’organizzazione criminale, poiché la forza d’intimidazione del vincolo associativo, autonoma ed esteriorizzata, e le conseguenti condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, sono generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali che delineano un profilo affatto originale e originario.

Originale perché l’organizzazione criminale presenta caratteri suoi propri, in nulla assimilabili a quelli di altre consorterie note, originario perché la sua genesi è propriamente romana, nelle sue specificità criminali e istituzionali.

Sarebbe un errore di prospettiva annoverare tout court Mafia Capitale nel catalogo delle nuove mafie.

Se è indiscutibile che la sua diagnosi sia frutto dell’utilizzazione – scevra da pregiudizi nel senso più anodino del termine–  di quello che in dottrina è stato definito un modello di tipizzazione contenuto nell’ultimo comma dell’art. 416bis c.p., deve escludersi che la sua genesi sia recente e reputarsi che essa sia radicata da tempo, mentre deve ritenersi che essa sia stata  investigativamente colta nella fase evolutiva propria delle  organizzazioni criminali mature, che fruiscono, ai fini dell’utilizzazione del metodo mafioso, di una accumulazione originaria criminale già avvenuta.

Muovendo da quanto condivisibilmente è stato ritenuto in dottrina, secondo cui «ogni associazione di tipo mafioso ha alle spalle un precedente (e concettualmente distinto) sodalizio-matrice, con originario programma di delinquenza in parte finalizzato proprio alla produzione della «carica intimidatoria autonoma»; finalità apprezzabile e riconoscibile, peraltro, solo a posteriori cioè a metamorfosi avvenuta e dopo la consunzione del sodalizio-matrice nella nuova entità di tipo mafioso», nel caso di specie può ritenersi che la trasformazione sia compiutamente avvenuta.

A usar metafore, il fotogramma di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione sincronica, rivela un gruppo illecito evoluto, che si avvale della forza d’intimidazione derivante –anche– dal passato criminale di alcuni dei suoi più significativi esponenti; la pellicola di Mafia Capitale, ossia la sua considerazione diacronica, evidenzia un gruppo criminale che costituisce il punto d’arrivo di organizzazioni che hanno preso le mosse dall’eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, che si sono evolute, in alcune loro componenti, nel fenomeno criminale della Banda della Magliana, definitivamente trasformate in Mafia Capitale.

Un’organizzazione criminale tanto pericolosa quanto poliedrica che, per dirla con le parole di uno dei suoi più autorevoli e pericolosi esponenti, Massimo Carminati ( il Pirata o il Cecato), opera, soprattutto, in un  mondo di mezzo,  un luogo dove, per effetto della potenza e dell’autorevolezza di Mafia Capitale, si realizzano sinergie criminali e si compongono equilibri illeciti tra il mondo di sopra, fatto di colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il mondo di sotto, fatto di batterie di rapinatori, trafficanti di droga, gruppi che operano illecitamente con l’uso delle armi.

Sul piano strutturale, le mafie tradizionali presentano modelli organizzativi pesanti, rigidamente gerarchici, nei quali i vincoli di appartenenza sono indissolubili e inderogabili. Un tale modello organizzativo è, però, storicamente e sociologicamente, incompatibile con la realtà criminale romana, che è invece stata sempre caratterizzata da un’elevata fluidità nelle relazioni criminali, dall’assenza di strutture organizzative rigide, compensata però dalla presenza di figure carismatiche di grande caratura criminale, quali Ernesto DiotalleviMichele Senese (zi MicheleMassimo Carminati (il Pirata, il Cecato) e da rapporti molto stretti con le organizzazioni mafiose tradizionali operanti sul territorio romano e da una connaturata capacità di ricercare e realizzare continue mediazioni, che si risolvono in un equilibrio idoneo a generare il senso della loro capacità criminale.

Mafia Capitale, in questo differenziandosi e in parte affrancandosi dalle precedenti espressioni organizzate capitoline come la Banda della Magliana, ha avuto la capacità di adattarsi alla particolarità delle condizioni storiche, politiche e istituzionali della città di Roma, creando una struttura organizzativa di tipo  reticolare o  a raggiera, che però mantiene inalterata la capacità di intimidazione derivante dal vincolo associativo nei confronti di tutti coloro che vengano a contatto con l’associazione.

In essa, alcuni dei suoi componenti godono di ampi margini di libertà, sì che essi, oltre a essere impiegati attivamente nella mission dell’associazione, svolgono autonomamente e personalmente attività illecite.

Sul piano del core business, l’attività di Mafia Capitale è orientata al perseguimento di tutte le finalità illecite considerate nell’art. 416bis c.p.

Tra esse, le più frequenti finalità perseguite, e non di rado realizzate, sono tuttora la commissione di gravi delitti di criminalità comune, prevalentemente a base violenta, ma soprattutto l’infiltrazione del tessuto economico, politico ed istituzionale, l’ottenimento illecito dell’assegnazione di lavori pubblici.

Un’organizzazione criminale che siede a pieno titolo al tavolo di altre e più note consorterie criminali, condizionandone l’attività sul territorio romano, che ha piena consapevolezza di sé e del suo ruolo nella gestione degli affari illeciti della capitale.

Eloquente, in proposito, appare essere un’intercettazione ambientale, avente come protagonista Carminati, capo indiscusso di Mafia Capitale,  a seguito della pubblicazione di un articolo sul settimanale “L’Espresso”, dal titolo “I quattro Re di Roma”, nel quale si faceva riferimento ad una divisione della capitale in zone d’influenza ad opera di distinti gruppi criminali con a capo rispettivamente  Carminati Massimo, Senese Michele, Fasciani Giuseppe e Casamonica Giuseppe.

  • giovanni enea |

    ma dite voi che questi erano cosi specilisticamente bravi che dai tempi della banda della magliana ad oggi nessuno dico nessuno avvertito questo malessere sociale ed economico ai danni di onesti cittadini parola sempre ricorente in questi casi di male affare dunque voglio esprimere il mio giudizio SIMO DE PEZZI DI STRONZI per aver permesso tanto e tanto ancora permetteremo .
    forse ancora qualcuno con le palle ci sara per dare a tutti una lezione di vita come toto e peppino

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