Oggi – come tutta la politica parolaia si affretterà a ricordare versando lacrime di coccodrillo – ricorre ilo 21esimo anniversario della strage di Capaci.
Mi piace ricordare il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta saltati per aria quel giorno, attraverso il lavoro.
No, non dico il mio, ma quello di un magistrato valente e isolato come Nino Di Matteo, che anche oggi sarà regolarmente nel suo ufficio in Procura a Palermo per lavorare all’udienza preliminare del 27 maggio relativa al processo sulla trattativa Stato-mafia (rimando anche ai miei servizi su questo blog dei giorni 4, 9 e 19 aprile e 9 maggio).
Di Matteo, come tutti i giorni, arriverà anche oggi nel suo ufficio scortato e blindato come poche volte si è visto. La sua vita – vale sempre la pena ricordarlo – è ad altissimo rischio ma questo sembra interessare meno, ma molto meno delle polemiche sui testimoni ammessi o esclusi in quel processo. Questioni di stili, questioni di dignità diverse, questioni di vita o di morte.
In vista del giorno dell’udienza preliminare del 27 maggio dedicherò una serie di articoli su questo blog perché testimoniare solidarietà con le chiacchiere è facilissimo, con i fatti è molto più difficile. L’unico “fatto” che posso offrire io, come giornalista, è la mia penna, anzi la mia tastiera, con la quale battere notizie e riflessioni che spero possano aiutare tutti a essere consapevoli che – ben oltre Cosa nostra e le mafie in generale – c’è un sistema criminale contro il quale pochi pm si battono. Tra questi, a Palermo, Di Matteo, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia, cioè coloro i quali quel 27 sosteranno la pubblica accusa contro i 10 soggetti (mafiosi e uomini dello Stato) chiamati a rispondere di essere stati parte attiva di quella trattativa.
PROVENZANO ENTRA ED ESCE DAL CARCERE
Secondo la pubblica accusa, il principale referente per portare in porto la trattativa era il capo mafia Bernardo Provenzano.
Ora, mentre Di Matteo vive in un regime blindato, paragonabile ad un 41 bis (carcere duro) “sociale”, vista la sua attuale condizione di vita, zu Binnu ‘u tratturi entra ed esce dal carcere di Parma per i suoi problemi di salute sui quali non entro per il rispetto che si deve a tutti anche se – come dimostrerà il video che questa sera sarà mandato in onda da Servizio Pubblico sulla 7 - riceve e parla. Parla e riceve. Sapendo – sia chiaro – di essere perfettamente ripreso dalla telecamere e di essere sempre ascoltato. In quel video che vedrete stasera Provenzano accusa di essere stato picchiato dietro le reni, suppongo nel carcere di Parma. Vero? Falso? Non sta a me deciderlo ma faccio un ragionamento lineare e difficilmente smentibile con argomentazioni uguali e contrarie: lui vive in isolamento (anche se la sua legale ha chiesto la revoca) e dunque compari di cella o di Istituto li escludiamo ma anche ammesso e non concesso che così sia, delle due l’una: o hanno avuto ordine di farlo da chi è in grado di intimorire Provenzano (ma chi?) o lo hanno fatto con istinto suicida prossimo alla realizzazione perché franca non la farebbero.
Stesso identico discorso sarebbe – mutatis mutandis – se a picchiarlo fossero stati agenti di polizia penitenziaria. Sarebbero destinati a emigrare al Polo Nord e forse neppure lì se la caverebbero. Idem con patate per il direttore dell’Istituto e il responsabile della sicurezza. Questo, ripeto, al netto del fatto che le "legnate sui reni", come le ha definite Provenzano parlando con il figlio, non fossero un messaggio chiaro per evitargli una collaborazione con la Giustizia di cui da anni si favoleggia.
Ergo: ho dubbi ma tanti, tanti dubbi che picchiare Provenzano in carcere (o nelle tante trasferte) sia facile ed esente dal rischio mortale di una vendetta dell’ala di riferimento di Cosa nostra, anche se è vero che la sua posizione nella gerarchia non è più paragonabile al passato.
Ma visto che parliamo di trasferte ecco a voi l’elenco delle uscite dal carcere di Parma del capo mafia (tutte per motivi di salute e dunque assolutamente legittime).
Mi limito da ottobre 2012 a oggi: il 17 ottobre Provenzano è stato ricoverato, il 19 è rientrato in cella e così il 26 ottobre e il 9 novembre (ricovero con esami), il 3 e il 17 dicembre. In quest’ultimo giorno fu ricoverato e poi fu rispedito in carcere il 5 marzo di quest’anno. Di nuovo ricoverato il 26 aprile, il giorno dopo è rientrato a Parma. Il 3 maggio è riuscito (sempre per recarsi in strutture ospedaliere) e il 5 è rientrato in Istituto.
LA LISTA NEL "NOME" DI PROVENZANO
Ora mentre tutto questo accade, accade anche che Di Matteo e i suoi colleghi in Procura abbiano depositato una lista di 176 testimoni che dovrebbero aiutare a capire i contorni della trattativa tra Stato e mafia.
Il nome di Provenzano – come scritto – è in cima ai pensieri della Procura, che vogliono vederci chiaro anche sulla sua latitanza. E il ruolo di Provenzano non lo vogliono sapere solo, ad esempio, da Antonino Giuffrè, Massimo Ciancimino, figlio di don Vito, ma anche da personaggi come Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, fino a parola (o prova) contraria, servitori dello Stato.
Giuffrè dai pm è stato chiamato anche per riferire «delle iniziative di Provenzano per la risoluzione dei principali problemi che affliggevano Cosa Nostra nel periodo immediatamente successivo alle stragi del 1992, anche con più specifico riferimento ai rapporti consolidatisi attraverso Marcello Dell’Utri, con Silvio Berlusconi e il neo costituito movimento denominato Forza Italia» ma anche sulle «affermazioni ed ai sospetti da parte di appartenenti all’organizzazione Cosa Nostra circa asseriti rapporti tra il Provenzano ed alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri».
A Stefano Lo verso sarà invece chiesto di riferire «quanto direttamente appreso da Bernardo Provenzano in merito alle protezioni che il predetto vantava di avere ad opera di alti ufficiali dell’Arma dei Carabinieri ed esponenti politici tra i quali l’odierno imputato Marcello Dell’Utri».
A Giuseppe Lipari i pm vorrebbero chiedere delle «notizie acquisite da Bernardo Provenzano, Vito Ciancimino e Antonino Cinà sull’esistenza di documenti scritti indirizzati da Salvatore Riina, tramite Cinà e Vito Ciancimino ad ufficiali del Ros, ancor più in particolare, materialmente esibiti al Capitano De Donno».
SERVITORI DELLO STATO
Ma dovrebbero scendere in campo anche uomini dello S
tato, come il colonnello dei Carabinieri Michele Riccio, che secondo la Procura di Palermo dovrebbe riferire «della genesi ed delle circostanze che lo portarono ad intrattenere rapporti con il confidente Luigi Ilardo, all’epoca esponente di spicco delle famiglie mafiose del nisseno; delle modalità di conduzione del predetto rapporto con l’Ilardo con particolare riferimento alle informazioni acquisite in merito alle strategie generali dell’organizzazione, alle stragi 1992/1993, ai rapporti con esponenti della politica e delle istituzioni e soprattutto con l’allora latitante Bernardo Provenzano; dell’eventuale documentazione del suo rapporto con il confidente; dell’esibizione ed acquisizione di numerose missive attribuite a Provenzano; degli esiti del rapporto confidenziale con l’Ilardo con particolare riferimento al rintraccio e alla cattura di numerosi latitanti; delle informazioni rese ai suoi colleghi (della Dia e successivamente del Ros dei Carabinieri) nonché all’Autorità giudiziaria circa l’evoluzione del suo rapporto con l’Ilardo ed i contenuti delle principali informazioni dallo stesso ricevute; delle specifiche conoscenze dell’incontro tra Ilardo e Bernardo Provenzano in territorio di Mezzoiuso nell’ottobre 1995; delle scelte investigative successive alle acquisizioni del 31 ottobre 1995 con particolare riferimento alla eventuale organizzazione di attività finalizzate alla cattura di Provenzano; delle comunicazioni all’Autorità giudiziaria relative agli accadimenti del 31 ottobre 1995 ed alle ulteriori attività successive a quella data finalizzate al rintraccio del Provenzano; della scelta dell’Ilardo di intraprendere una formale collaborazione con l’Autorità giudiziaria e degli incontri con i magistrati finalizzati a ciò; dei suoi rapporti con gli odierni imputati ed in particolare con il Generale Subranni; di quanto appreso, anche attraverso colloqui con altri ufficiali dei carabinieri in servizio al Ros, sul movente dell’omicidio del maresciallo Guazzelli e sulle ritenute connessioni di tale delitto con la figura dell’allora Ministro Mannino; delle motivazioni che lo hanno indotto nel 2001, indirizzando una missiva alla Procura della Repubblica di Palermo, a chiedere di essere sentito dall’Autorità giudiziaria».
L’Ispettore Francesco Arena, già in servizio presso il Centro operativo Dia di Catania e il suo ex collega in Dia Mario Ravidà, sono stati chiamati a riferire «sui suoi rapporti con il Colonnello Riccio in occasione dello sviluppo delle indagini Grande Oriente e su quanto appreso dallo stesso Riccio con riferimento all’incontro tra Ilardo e Provenzano in territorio di Mezzojuso ed ai motivi del mancato intervento dei Carabinieri in quella occasione».
Il generale dei Carabinieri Nicolò Bozzo è stato chiamato a riferire «sui suoi rapporti con Michele Riccio, sulle pregresse comuni esperienze ed attività professionali; quanto riferitogli dal Colonnello Riccio durante lo svolgimento dell’indagine Grande Oriente con particolare riferimento alle lamentele del Riccio per l’assenza di precise direttive ed adeguata copertura ed assistenza nell’indagine che doveva portare alla cattura del Provenzano».
Il Tenente colonnello Massimo Giraudo è chiamato a dire ciò che sa, tra le altre cose, «sulle doglianze espresse dal capitano De Caprio aventi ad oggetto gli ostacoli frapposti dal colonnello Mori all’efficace svolgimento dell’attività di indagine finalizzata alla cattura di Bernardo Provenzano»
ANCHE I MAGISTRATI
Anche i magistrati sono stati chiamati a raccontare ciò che sanno e che ruota intorno a quel maledetto nome di Binnu ‘u tratturi.
Nicolò Marino, sostituto procuratore presso la Dda di Caltanissetta per riferire «dei i suoi rapporti con il Colonnello Michele Riccio e di quanto dal predetto appreso in ordine ad un incontro in territorio di Mezzojuso tra Ilardo Luigi e Provenzano Bernardo ed ai motivi del mancato intervento dei Carabinieri; dei colloqui intrattenuti con il Colonnello Riccio poche ore prima che lo stesso venisse tratto in arresto e con la moglie dell’Ufficiale nei giorni immediatamente successivi».
Giancarlo Caselli, già procuratore della Repubblica di Palermo, dovrà riferire, tra le altre cose, della «alla gestione dell’indagine scaturente dalle notizie confidenziali rese da Ilardo Luigi al Colonnello Riccio; della designazione dei magistrati titolari del relativo procedimento; delle informazioni avute dalla polizia giudiziaria operante sugli sviluppi delle investigazioni con particolare riferimento a quelli utili per la cattura di Provenzano; dell’incontro di Ilardo Luigi con alcuni magistrati delle Procure di Palermo e Caltanissetta di pochi giorni antecedente l’eliminazione del predetto Ilardo».
Giuseppe Pignatone, già sostituto in servizio presso la Dda di Palermo dovrebbe riferire sulla «conduzione delle indagini scaturenti dal rapporto confidenziale tra Ilardo Luigi e il Colonnello Michele Riccio; sulle informazioni resegli dal predetto Ufficiale in merito alle acquisizioni investigative con particolare riguardo a quelle concernenti la possibile cattura del latitante Bernardo Provenzano; sulla vicenda della riunione di Mezzojuso tra Ilardo e Provenzano e agli eventuali sviluppi investigativi successivi a tale riunione».
Alfonso Sabella, già sostituto procuratore in servizio presso la Dda di Palermo, dovrebbe riferire quanto a sua conoscenza «sulla conduzione, da parte del Ros dei Carabinieri, dell’attività di indagine finalizzata alla cattura di Provenzano e più in generale sulla fazione di cosa nostra più direttamente riconducibile al predetto Provenzano».
Ora mi fermo qui. A breve riprenderò.
1 – to be continued