La notizia, datata 15 luglio, che arriva da Fano (Pesaro-Urbino) è di quelle da non sottovalutare. Perché? Semplice: mentre la politica continua a razzolare male (promettendo urbi et orbi prevenzione e repressione) la criminalità (organizzata o meno organizzata) predica bene e razzola meglio, allargando la sfera di influenza in aree geografiche un tempo vergini. Tanto tempo fa, potremmo dire con le lancette dell’economia.
Quel giorno il Gruppo di investigazione sulla criminalità organizzata (Gico) del Nucleo di Polizia tributaria di Ancona, agli ordini del colonnello Gianfranco Lucignano, ha eseguito tra Marche e Calabria, su disposizione dell’autorità giudiziaria, 6 perquisizioni domiciliari e un decreto di sequestro preventivo cautelativo (e milionario) di 12 unità immobiliari (6 appartamenti e 6 garage/cantine) e 4 società che rappresentano le “casseforti” di famiglia, dove sono confluiti ulteriori 19 immobili e terreni società (tra le due regioni), nella disponibilità di un noto pluripregiudicato locale di origine calabrese dedito da oltre un decennio, secondo le ricostruzioni di investigatori e inquirenti, alla commissione di svariati delitti. Si tratta di quella che è stata soprannominata operazione Aspromonte, che ha interessato 15 persone coinvolte a vario titolo nell’usura e nel trasferimento fraudolento di beni.
Badate bene che questa operazione si gioca sul filo sottilissimo della presenza nelle Marche di soggetti che secondo la Procura e la Gdf rappresentano i terminali di strutturate organizzazioni criminali e che spesso dimostrano una discrepanza tra i redditi leciti percepiti ed il patrimonio accumulato.
Che il filo sia sottilissimo e in continua tensione lo si capisce allorquando il gip scrive nel decreto di sequestro preventivo, a pagina 42 che, «seppure la ricostruzione come effettuata dal Gico sia basata su alcuni elementi rilevanti, in particolare la crescita esponenziale in pochi anni dell’attività del c.d. “gruppo Joppolo” atteso che il giro di denaro individuato appare oltremodo sospetto, anche alla luce della scarsa redditività delle imprese e della scarsa attività, spesso sostenuta anche da condotte truffaldine ai danni di Istituti di credito, ipotesi che certamente nel prosieguo delle indagini ben potrà essere approfondita, come pure certi in quanto oggettivamente riscontrati sono i rapporti tra gli Joppolo e gli Auddino, tuttavia allo stato non vi sono elementi per ritenere ravvisabile il fumus del reato di riciclaggio di denaro ed invero, a parere dello scrivente, neanche dell’aggravante contestata del contesto mafioso.
Va detto infatti come se i predetti rapporti sono emersi gli stessi, oltre che nell’attività della società Amica, di fatto cessata, sono legati all’esistenza di un debito che lo Joppolo ha nei confronti di Auddino Michele, del quale questi pretendeva la restituzione.
Nè è emerso se effettivamente il denaro ricevuto sia stato realmente impiegato almeno nell’attività usuraria.
Gli elementi certi indicano invece come lo Joppolo, grazie alla collaborazione dei suoi stretti familiari, abbia posto in essere operazioni di fraudolenta intestazione di beni e società stornandoli dalla propria persona per essere intestati agli stessi familiari ed a soggetti palesemente operanti quali prestanome, operazioni cosi reiterate, come quelle sopra descritte, che rendono di per sé evidente come siano il frutto di una precisa volontà di sottrarre i beni stessi da ipotizzabili misure ablative patrimoniali»
In questo contesto, per il quale il Gip ha negato l’ipotesi riciclatoria e l’aggravante mafiosa, a testimonianza dunque della sottigliezza del filo, il Gico della Gdf di Ancona ha individuato un gruppo di soggetti calabresi di stanza nel fanese, tra loro legati da vincoli di parentela e/o di territorio, dedito secondo l’accusa a una serie di azioni dirette a:
- Ø concedere prestiti a tassi usurai ad imprenditori pesaresi (con tassi oscillanti tra il 95% ed il 183%);
- Ø realizzare molteplici compravendite immobiliari infragruppo onde movimentare ingenti somme di denaro per diversi milioni di euro per transazioni rivelatesi fittizie;
- Ø accedere al sistema bancario/finanziario ove far transitare, nell’arco di due anni, oltre 54 milioni di euro di cui 2,5 milioni movimentati esclusivamente per contante, al fine di sottrarre, senza successo, il consistente patrimonio immobiliare a possibili “aggressioni” previste dalla legislazione antimafia.
Per ora mi fermo qui, rimandando a domani per nuovi dettagli dell’Operazione Aspromonte.
1 – to be continued