Molotov alla Procura generale di Reggio Calabria: lavori in corso sul prototipo da utilizzare per altri obiettivi

Vi domanderete (forse) perché scrivo soltanto ora della bomba molotov lasciata davanti alla Procura generale di Reggio Calabria nella notte del 28 ottobre.

In realtà non è proprio vero che ne scrivo solo ora. L’ho già fatto, raccogliendo per primo le dichiarazioni del pg Salvatore Di Landro sul portale del Sole 24 Ore, poche ore dopo che la notizia si era sparsa (il pezzo è nell’archivio online e ad esso rimando).

In realtà ne scrivo ora (sul blog) perché – e la mia barba bianca serve per questo – continuo a maturare e a coltivare giorno dopo giorno l’idea che la ‘ndrangheta 2.0 è anni luce davanti alla capacità dello Stato (figuriamoci dei giornalisti!) di analizzarne fenomeni ed evoluzione.

Ecco, dunque, che ne scrivo ora (su questo umile e umido blog) perché ho voluto attendere che le riflessioni che andavo maturando si sposassero con la (eventuale) reazione della pubblica opinione e con gli accadimenti in corso.

Scrivo “in corso” perché Reggio è città in cui tutto si tiene e che offre continui, perenni e incessanti motivi di interesse sociale, sociologico, criminale e criminologico. E da questo punto di vista non vi sembri secondaria l’operazione Araba Fenice della quale comincerò a scrivere nelle prossime ore.

La riflessione che vi sottopongo oggi come tale deve essere presa. Un contributo personale di pensiero per un episodio che definire frutto del caso è a mio modesto avviso azzardatissimo.

Ebbene partiamo proprio dalla reazione dell’opinione pubblica a quell’attentato che ha sorpreso (al momento del deposito della molotov) e successivamente travolto (al momento della lavata di capo da parte dei vertici) i giovani militari di stanza alla Procura generale di Reggio Calabria, come adolescenti di fronte ai primi turbamenti provocati da un corpo femmineo o mascolino.

REGGINI ADDORMENTATI

La reazione? Ma di che reazione stiamo parlando? Ai reggini – di questo ennesimo tentativo di forzare e violentare la democrazia cittadina – è fottuto meno di niente, alle prese come sono con una città commissariata, una politica nauseabonda, l’economia moribonda, le reti sociali devastate e il lavoro che muore. Manco la Reggina dà più soddisfazioni…Qualche presenza associazionistica capace di trascinare nella solidarietà alla Giustizia un numero di cittadini pari a quelli di un medio condominio di Voghera e per il resto tonnellate di cloroformio da parte dei media, salvo rarissime eccezioni.

Un’alchimia perfetta per la cupola mafiosa 2.0: da una parte i reggini hanno assistito indifferenti, dall’altra i media hanno fatto di tutto per far passare nella capa della ggente l’idea opposta a quella espressa a caldo da Di Landro al vostro umile e umido scrivano. «Roberto – mi disse al telefono il pg – devi capire che a Reggio le cose sembrano fatte a casaccio ma, ricordati, non avvengono mai per caso…». Procuratore, gli risposi, guardi che io non sono nato “imparato” ma questo, le assicuro, l’ho capito da tempo. Io l’ho capito ma – vi garantisco, amati lettori del blog – dal momento dopo l’arresto del ragazzo che ha lasciato la molotov, è stata una gara a far credere che il povero Cristo in questione fosse un disadattato, uno squilibrato, un cavallo pazzo, un lupo solitario, un folle esibizionista, un isolato.

 

CITOFONARE DE STEFANO

Tutto bene madama la Marchesa ma…Non ho nessun motivo per dire quello o il contrario ma, di grazia, come è possibile che un soggetto di questo tipo abbia violato la più elementare legge non scritta a Reggio, vale a dire che abbia impunemente violato il controllo del territorio? Da parte dello Stato? Come no…Chiedetelo all’Esercito di stanza lì davanti…Nossignori, il controllo del territorio da parte delle cosche!

Beh, inutile girarci intorno: l’attentato è avvenuto nel cuore del feudo destefaniano. A chi di voi – reggini o meno, sani di mente – verrebbe in mente di piazzare un ordigno a casa di altri? A “casa” De Stefano poi? E già perché per le cosche – De Stefano in testa – ogni via, ogni numero civico, ogni immobile, ogni palazzo, ogni vicolo, ogni viuzza, ogni buco o pertugio, è cosa loro: non c’è foglia che non si muova che loro non vogliano. Non c’è bisogno di metterci un’etichetta. E’ così. Punto. Dunque – ripeto la domanda – a quale reggino o islandese, sano di mente, verrebbe l’idea di depositare una bomba alla Procura generale ma indirettamente a “casa De Stefano” e che i-ne-vi-ta-bil-men-te porta con sé un carico di maggiore attenzione da parte dello Stato, seguita dai bla-bla della politica su quanti sforzi verranno fatti per rendere Reggio più sicura?

Rispondete da soli ma non rispondete che ai sani di mente non verrebbe in testa, mentre a un povero Cristo, disadattato, cavallo pazzo etc etc, sì. Balle. A nessuno – sano di mente o meno – viene in mente di piazzare una bomba davanti alla Procura generale ma, al tempo stesso, nel regno dei De Stefano. E perché non davanti al Duomo o al Municipio, in Prefettura o sul Lungomare Falcomatà?

 

PROPRIO LI’

Nossignori. Quella bomba doveva essere messa lì ed era proprio quella la tipologia di persona alla quale ricorrere. Lì perché lì fu messa la prima bomba (il 2 gennaio 2010). Li perché lì lavora il procuratore generale Di Landro che, nell’agosto 2010, subì un attentato sotto casa. Lì perché è proprio Di Landro che continua incessantemente a subire le attenzioni di galantuomini, mariuoli e torvi personaggi che utilizzano ogni mezzo per lanciargli messaggi. Non ultimo, ricorderete, la doppia missiva doppia del pentito pentitosi di essersi pentito in attesa di ripentirsi, Nino Lo Giudice. Perché tante attenzioni? Io non lo so. Di Landro lo sa ma non lo dice. Lo Giudice lo scrive in modo che lo possano capire solo le menti raffinatissime che co-governano Reggio.

Insomma ragassi, quel gesto – secondo me –  è stato ben studiato e quella bomba (inoffensiva) lì doveva essere messa e da un soggetto (non necessariamente quello che poi ha compiuto il gesto) di quel tipo.

 

PROPRIO UN TIPO COSI’

E perché un soggetto di quel tipo? Oh, eccoci. Io sono convinto che questo ragazzo (del cui nome e del cui cognome non me ne frega assolutamente nulla perché ho ormai deciso di soffermarmi sempre di più sulla fenomenologia e non sui “fenomeni”) con le cosche non abbia nulla, ma proprio nulla a che fare. Neppure la più sciroccata delle cosche affilierebbe un personaggio come lui. No, no… E’ un povero diavolo sconosciuto alle Forze dell’ordine e che – a quanto raccontano le cronache locali – non avrebbe neppure fornito un racconto convincente sul perché e per come si trovasse lì. Pare, sembra, si dice, che addirittura una chiamata telefonica abbia avvertito le Forze dell’Ordine (non si è capito se ad opera sua o di altri) del misfatto ormai compiuto. Insomma: non solo doveva esser
e lì, non solo doveva essere inquadrato dalle telecamere (questo è la subordinata, perché la principale prevedeva che lo bloccassero con le mani nella marmellata, anzi nel liquido infiammabile) ma doveva proprio essere beccato. Cotto e mangiato.

Il punto è che sono altresì convinto che il motivo del gesto (a parte le congetture o quello che lui stesso dichiarerà) al momento (e forse a lungo) nessuno lo sa e non lo saprà mai. Per carità spero che i fatti mi smentiscano oggi stesso e che venga celermente appurato in maniera incontrovertibile e a prova di Tribunale di Berlino che costui era animato da animus pugnandi avverso Tizio, Caio o Sempronio (li abbiamo già sentiti questi racconti) o contro quella o quell’altra ingiustizia ricevuta da lui stesso, dal padre o dal vicino di ombrellone. Fatto sta che per me chi lo ha indotto a quel gesto (come credo) non aveva e non doveva spiegare nulla né a lui né a quelli a lui vicini, a partire dai familiari e dai vicini di ombrellone. Era il soggetto (tipologicamente parlando) perfetto a cui ricorrere. Un solo grido, un solo allarme: Procura in fiamme, Procura (generale) in fiamme. Vai, alzati e colpisci. Questa è la bottiglia. Cammina, non voltarti e non chiedere perchè. Mai.

Allora chi l’ha armato, senza che lui stesso ne sapesse il motivo?

 

AL LAVORO SUI PROTOTIPI

Qui viene il bello. E qui viene il motivo per il quale la barba bianca soccorre. Non perché sia sintomo di saggezza ma perché è orpello di chi, in questi anni, con dedizione e sacrifici personali, studia l’evoluzione della ‘ndrangheta 2.0, che è da anni molto ma molto oltre riti e santini. Per carità di Dio, non ho alcuna pretesa di aver ragione ma – se sbaglio – sbaglio sempre con la mia capa.

Ritengo, infatti, che il gesto sia stato – come dire – una prova tecnica di trasmissione che – sia ben chiaro – anche in questa fase embrionale ha fatto giungere forti e chiari i suoi messaggi innanzitutto alla Procura generale e al suo capo.

Avete presenti i prototipi? Se funzionano il genio civile o industriale continua ad applicarsi. Se non funzionano, si cambia ingegnere e si prova un altro modello.

Bene: il prototipo del ragazzotto di campagna che invece di depositare sul banco le uova, deposita le molotov, sembra aver funzionato. L’opinione pubblica se ne è fottuta tre quarti di quel gesto così uguale ad altri in città (ogni giorno o quasi salta un esercizio commerciale o si trova una tanica di benzina come avvertimento), i media (salvo rarissime eccezioni) si sono buttate a capofitto per spargere cloroformio sulla notizia come si fa con il sale sulla strada quando ghiaccia, Di Landro che ha capito che è ancora nei pensieri torvi di qualcheduno si è incazzato come un facocero maculato per la sottovalutazione del gesto e chi ha armato la mano del povero Cristo sa che l’esperimento ha funzionato e si può andare avanti con le ulteriori prove.

I prossimi obiettivi – se ce ne saranno e, purtroppo, credo di sì, anche se ci fosse da aspettare molto tempo – saranno più alti e raffinati, come le tecniche di esecuzione. Tanto mica sarà stata la ‘ndrangheta ma solo poveri diavoli in cerca d’autore. Un alibi – è il caso di dire – paradossalmente vero e a prova di bomba. Inesplosa. La ‘ndrangheta 2.0 difficilmente lascia tracce e quando lo si capirà sarà sempre troppo tardi. Ma per questo ci vorrebbe un’…intelligence.

Certe cose, a Reggio vengono fatte a casaccio ma non capitano mai per caso…

r.galullo@ilsole24ore.com