Il gran ballo dei pentiti calabresi/2 Oliverio racconta alla Dda di Genova i “corpi riservati” delle mafie

Il collega Marco Preve – attento e rigoroso cronista di giudiziaria genovese – ha avuto il merito di aver portato per primo sulle colonne di Repubblica alcune dichiarazioni dell’ultimo pentito di ‘ndrangheta che si è affacciato al Nord.

In realtà la gestione di questo pentito ricade sotto la Dda di Catanzaro ma di fronte al pm genovese Giovanni Arena, dalle ore 15:10 del 22 luglio 2013 ha cominciato a mettere a disposizione della Dda di Genova (nell’ambito dell’inchiesta La svolta) le sue conoscenze e le sue verità.

Sapete che dei pentiti mi fido pochissimo. Non sono un investigatore né un pm e quindi – come posso liberamente riportare, come ho spesso fatto nel passato e faccio anche oggi, le loro “verità” – posso altrettanto liberamente affermare che se fidarsi è difficilissimo, trovare riscontri (compito gestito dai pm) è molto difficile. Con l’avvertenza che se due pentiti dicono la stessa cosa, beh, allora gatta ci cova. Insomma: non vorrei essere nei panni di un magistrato o di un giudice per discernere e riscontrare.

Ieri su questo blog avrete letto una lunghissima riflessione sulla “tragedia” in corso – a mio modesto avviso – a Reggio Calabria, città nella quale dal 2010 si rincorrono collaboratori di giustizia che accusano tutto e tutti salvo poi ricusare se stessi o chiamare in causa avvocati o pentirsi di essersi pentiti magari in attesa di pentirsi del nuovo pentimento.

In questa canea – con un abile regia alle spalle? – trascinano persone, distruggono vite, permettono la costruzione di carriere grandiose, sfiorano con sospetti, gettano fango.

Io stesso per essermi permesso, circa due anni fa, di provare a chiedere ad un avvocato (peraltro mai visto o sentito perché non mi rispose mai) approfondimenti sulla verità di un pentito che ne sbugiardava un altro che poi, a sua volta, è stato indagato per calunnia, mi sono trovato nel tritacarne di un’informativa di Stato che si chiedeva come mai non credessi al primo pentito e avessi dato spazio – nei miei ragionamenti – al secondo. Alla faccia della libertà di stampa (si veda il mio post in archivio del 27 luglio 2013)! Fu un’onta che niente e nessuno laverà mai.

Un giornalista – secondo la concezione di taluni – è infatti tale se crede alle verità imposte o “velinate”. Se prova a interrogarsi o a cercare l’esistenza di eventuali verità altre o contrapposte, allora è “manovrato”. Per la cronaca il pentito a cui non credevo è Nino Lo Giudice e sebbene lui stesso (!) a giugno abbia smentito se stesso con un lungo memoriale, scrivendo che fino a quel momento aveva mentito (ce ne fu un secondo ad agosto e vedrete che non sarà l’ultimo), anziché gioirne per averci visto lungo alla faccia delle informative, mi sono sentito uno schifo. Solo io ero in grado di capire che a Reggio era in corso una “tragedia” e palate di “carrette”? Nossignori. No.

Come non era – a giudizio mio – credibile prima, non lo è adesso che sputa fango su altri magistrati e investigatori.

Questa premessa è dunque necessaria per inquadrare il contesto al quale mi dedico oggi.

MI CHIAMO OLIVERIO, VENGO DA CROTONE

C’è un pentito che si chiama Francesco Oliverio ed è nato a Belvedere Spinello (Crotone) il 7 giugno 1970. E’ collaboratore di giustizia dal 26 gennaio 2012. Ha deciso di collaborare per «una crisi di coscienza e per il bene dei suoi quattro figli». Non ho motivo di dubitarne, Di se stesso dice che dal 2005 e fino al momento in cui è stato fulminato sulla via della Giustizia, è stato capo della locale di Belvedere Spinello con il grado di trequartino. Il suo locale aveva sei ‘ndrine di cui una – attenzione attenzione – a Rho (Milano), attivata anche grazie al permesso del capo locale di Rho. Droga, movimento terra e rivendite ambulanti di panini era roba loro. Le sue truppe? Più di 50 persone.

Come capo di una locale racconta al pm Arena di essere a conoscenza anche delle vicende della Liguria, dove ci sarebbero 10 o 15 locali, per i quali è in grado di dire anche i nomi dei “colleghi”.

Riconosce foto di affiliati e presunti tali e racconta tante cose al pm: riti di affiliazioni, gerarchie, incontri con i platioti, summit al nord, contatti con i boss di Buccinasco. Racconta poi di quanto sia facile in carcere comunicare e dialogare (e, aggiungo io, anche concordare in un senso o nel senso opposto salvo magari contraddire tutto e tornare daccapo). Descrive traffici di droga, usura, estorsioni, aggiunge come si mantengono i carcerati e tante altre cose ancora.

Cita persino il fatto che la cosca De Stefano avrebbe riciclato soldi in Liguria anche grazie al ricorso a Francesco Belsito (ex tesoriere della Lega Nord) che ovviamente rigetta le accuse. Motivo per il quale – suppongo – sarà presto ascoltato da altre Procure.

Un capo tra i capi. O comunque uno che conta e sa. A suo dire.

IL BREAK

Vero? Falso? Non lo so e non è compito mio appurarlo ma so che a un certo punto – e qui è stato bravo il collega Preve a intercettare questo passo del suo racconto – dice testualmente, alla fine dell’interrogatorio: «Prima di chiudere vorrei precisare che lei dr Arena è a rischio. La ‘ndrangheta quando vi saranno delle sentenze o delle confische di beni gliela farà pagare. Non aspettate che succeda perché poi sarà tardi. Non necessariamente agiscono con criminali ma il più delle volte tramite persone insospettabili che vengono definite “corpo riservato” e di cui parlerò in seguito. Da non sottovalutare poi i collegamenti con servizi segreti e la massoneria. Di tali collegamenti ho avuto notizie da mio cugino …attivo nel locale di Belvedere Spinello con la carica di santa appartenente ad una loggia massonica di Vibo Valenzia».

E su esplicita domanda di Arena, Oliverio risponde così: «Non ho avuto notizie concrete nei suoi confronti . Parlo per esperienza. Ho fatto quel mestiere per 30 anni so come ragionano».

Alle ore 19:30 viene chiuso il verbale e si interrompe la registrazione.

A VOCE ALTA

Ora vorrei riflettere con voi a voce alta. Non so se le verità di questo ennesimo pentito saranno o meno riscontrate dai pm. Non è mio compito dirlo ma so che questa sua dichiarazione – che i verbalizzanti hanno scritto in maiuscolo e in grassetto come a sottolinearne l’importanza e la delicatezza – è importante perché il lessico non è acqua, che può scorrere senza lasciare traccia.

Oliverio parla esplicitamente di «corpi riservati» che taluni altri definiscono invece «colpi riservati». “Corpi” o “colpi” la sostanza resta la stessa: la ‘ndrangheta per distruggere i propri avversari o anche semplicemente per mandare messaggi a chi deve intendere, ricorre a persone insospettabili. Persone che, possiamo così dire, “dormono” per anni e vengono “svegliate” al mome
nto giusto per agire secondo i dettami delle cosche. Attenzione: i “corpi riservati” non necessariamente appartengono alla ‘ndrangheta. Anzi, spesso, come del resto conferma lo stesso Oliverio, ne sono o fuori ai margini estremi e dimenticati della galassia “familiare”.

Persone che o per necessità o perché ricattabili o perché minacciabili (spesso indirettamente) sono costrette a eseguire gli ordini.

Questo quadro – assolutamente devastante – indipendentemente dal resto, mi ha colpito perché è un quadro in generale realistico. E’ vero, assolutamente vero che la ‘ndrangheta (non quella rurale e violenta ma quella fatta di menti raffinatissime) ricorre a questi “corpi” (o “colpi”) per inquadrare un obiettivo e colpire. Spesso portandosi a ruota – nella rovina – anche altre conseguenze.

Nel corso dell’interrogatorio del 14 febbraio 2013 a Reggio Calabria nell’ambito del processo Meta – solo per fare un paragone con le dichiarazioni di Oliverio, tutte da riscontrare il pm Giuseppe Lombardo affrontò con il pentito Antonio Fiume il discorso relativo al “cerchio magico” dei De Stefano. E indovinate dove si fermò Fiume nel suo racconto? Proprio sull’esistenza dei “riservati” e degli “invisibili” (si vedano post in archivio del 9 e 10 luglio 2013).

LE VIE

Vi domanderete: ma come agiscono questi “corpi riservati”?

Semplicissimo.

1) la prima strada è quella di colpire fisicamente l’obiettivo. Intimorirlo o eliminarlo. Scenario verosimile? Auguriamo ovviamente lunga vita al pm Arena, pm preparato e serio (per come me lo ha descritto un comune amico). Non credo che la strada dell’intimidazione e della violenza possa essere intrapresa in Liguria anche se, recentemente, c’è stato addirittura chi ha pianificato attentati contro una stazione dei Carabinieri. No, troppo complessa e rischierebbe di accendere su questo territorio devastato ogni giorno di più dalle cosche, altri riflettori. Come se non bastassero quelli che sono già stati accesi;

2) la strada preferita – ed è questa la vera “morte”, quella che lascia viva la persona colpendola nel vivo dei principi e dei valori per i quali dedica una vita – è quella della delegittimazione. Delegittimare un pm (ma vale per un giudice, un giornalista, un servitore dello Stato, un docente e via di questo passo) è la via maestra. In questo la ‘ndrangheta è Rettrice dell’Università delle Intimidazioni. L’allievo ha superato il maestro (altro, infatti, che corvi di Cosa nostra a Palermo!).

Ecco, non so se Oliverio sia attendibile o meno ma so che l’allarme che ha lanciato è ciò che – quando viene attuato – rende torbido il quadro in maniera irreparabile. E’ questo che uccide.

2 – the end (la precedente puntata è stata pubblicata ieri 4 ottobre)

  • bartolo |

    galullo, mi piace troppo lei. premette che dei pentiti non si fida, conclude lasciando me, suo fido lettore, assalito dal panico della misteriosa ndrangheta che, con i suoi infiniti tentacoli, visibili, invisibili, occulti e misteriosi tutto divora e tutto distrugge.
    diceva falcone che un vero mafioso diventa tale solo quando si pente. che dire?!? questi sciacquatrippa, anche se si pentono e si ripentono centinaia di volte, non lo diventeranno mai.
    si concentrassero, piuttosto, queste speciali e super-speciali procure di far pentire (senza torture, come usa lo stato di diritto) i mafiosi veri.

  Post Precedente
Post Successivo