Il gran ballo di pentiti e avvocati “calabresi”/1 Lo Giudice, Marino, Di Dieco, Napoletano & C. – E altri stanno parlando

Tutti i pentiti – a maggior ragione quelli calabresi che fanno spesso della “tragedia” una missione di vita o quelli che con la mafia calabrese hanno a che fare – sono da prendere con le molle. Io li prenderei – fossi pm in Calabria – con quelle. Non sono pm e posso dunque raccontarne fatti e misfatti tentando persino letture (privilegio pazzesco eh!).

Raccontano (spesso) mezze verità che, volendola vedere dall’altra parte, possono anche essere lette come mezze bugie.

Resto convinto che un magistrato degno di questo nome sia in grado di riconoscere dopo poche battute un pentito sul quale “lavorare” da uno “spacciatore” di propalazioni più o meno rabberciate. Magari mi sbaglierò ma la penso così. L’intuitus personae (che vale per tutti i mestieri intellettuali) e l’esperienza dovrebbero portare a diffidare subito di quelli che palesemente millantano, mischiano, tragediano, incasinano, tramano fin dalle prime battute.

INTUITUS PERSONAE

Ergo: la ricerca della fondatezza e della verità (o i suoi contrari) a mio modestissimo avviso andrebbero concentrati su quanti non arrivano fulminati sulla via di Reggio al pentitismo “la qualunque” e sospetto (lo posso dire visto che non sono un magistrato e dunque lavoro su un piano diverso? Allora lo dico: “pregiudizialmente sospetto”) ma su quanti – Buscetta e, credo, Spatuzza docet – arrivano a collaborare fulminati sulla via di un rispetto umano e di una franchezza che poggia su basi certe, figlie di una conoscenza profonda dei fatti e dei contesti e di una fiducia reciproca tra pentito e pm, che si costruisce e non si inventa in poche battute.

Per i pentiti calabresi finora è andata così, solo per rimanere ai recenti accadimenti? Sfido chiunque ad affermarlo. Nino Lo Giudice – le cui scorribande sono state, per un occhio giornalistico e non giudiziario, pazzesche – si è pentito e poi si è pentito di essersi pentito. Domani si pentirà di essersi pentito di essersi pentito e sposterà il tiro delle sue verità su altri obiettivi ma lo scopo, non suo ma di altri – lo sostengo da sempre e vedo che ora, dopo Salvatore Di Landro, lo sostiene anche un altro magistrato come Enzo Macrì – lo ha raggiunto: tragedia totale!

Mi sono sempre dunque domandato: ma come si poteva dar credito a questo personaggio? Ripeto: la mia ottica non è quella inquirente o investigativa ma credo che l’intuitus personae e l’esperienza valgano per tutti ma evidentemente possiamo legittimamente fallire tutti. Intanto, però, i danni sono irreparabili per la Giustizia oltre che per i singoli. E ripeto che quando scrivo della sua credibilità mi riferisco alle vicende legate alle bombe reggine. Per il resto, la valenza della sua collaborazione non rientra nel perimetro del mio interesse giornalistico.

Nino Lo Giudice – che dopo aver attaccato a destra, vale a dire Cisterna e compagnia cantando, ora attacca a sinistra, vale a dire Pignatone e compagnia cantando e dunque, come ho scritto più volte, in barba a chi cercava (come sempre) di tirarmi la giacchetta (non avendo capito, dopo anni, che nessuno può tirarmi da alcuna parte) – come non era credibile per un giornalista prima, a maggior ragione non è credibile adesso che è al secondo memoriale. Poi sarà al terzo, magari infangherà altre persone e via dicendo. Su Lo Giudice vorrei sottolineare una cosa.

Nel secondo memoriale del “nano” c’è un messaggio particolarissimo.

Ricorderete che l’ho analizzato (per impeto, proprio alla luce della tragedia che stanno impiantando anche queste dichiarazioni che non saranno, vedrete, le ultime) a partire dal 26 agosto per 5 giorni (si veda archivio sul blog).

IL MEMORIALE

Tra il rusco e il brusco, nel secondo capoverso del suo memoriale, Lo Giudice tira fuori, scrivendola in grassetto e dunque volendo volontariamente dargli una evidenzia superiore alle altre, la seguente frase stranamente preceduta da una parentesi tonda: «(Uno dei magistrati onesti che ho conosciuto è il dr. Giuseppe Lombardo, è un uomo in ogni senso, ha bisogno di essere sostenuto da parte di tutti i suoi colleghi. Non bisogna lasciarlo solo, sostenetelo!!!!!!Perchè è importante per tutti. Non è un corrotto, o tragediatore, né un vigliacco…..Ma un vero uomo prezioso. Un brillante puro)». Anche la sottolineatura dell’ultimo periodo è originale nella lettera fatta pervenire all’avvocato Giuseppe Nardo.

Ho cercato di capire (rimando al post) quel che voleva dire con quel messaggio Lo Giudice sottolineando che qualsiasi interpretazione (per lui come per tutti i pentiti, veri o presunti tali) sarebbe stata arbitraria proprio perché i linguaggi degli uomini di cosca (vera o presunta) non nascono a caso ma hanno una raffinata filigrana che – a mio modesto avviso – inquirenti e investigatori scoprono sempre a lunghissima distanza. Quando ormai è troppo tardi. Figuriamoci i giornalisti che lavorano sul tempo che corre (e non che scorre, come per la Giustizia) e che dopo 24 secondo oggi fa già diventare obsoleta una notizia.

In quel secondo memoriale Lo Giudice fa capire di fidarsi di sole due persone all’interno della Procura di Reggio: il primo è appunto Lombardo. Il secondo – ma non lo conosce più di tanto e dunque lo sfiora con i suoi apprezzamenti – è il capo della Procura Federico Cafiero De Raho.

Ergo: «Se dovessi decidere di collaborare nuovamente – azzardo un ragionamento sostituendomi senza alcuna volontà reale a chi è lontano anni luce dalla mia vita specchiata e dunque azzardo il messaggio ulteriore sotteso a quelle frasi di cui sopra – lo farei solo con una persona: Lombardo sapendo che ha le spalle coperte da Cafiero De Raho, di cui ho sentito parlar bene». Ma tutto questo, se mai avvenisse, basterebbe per ridare credibilità a Lo Giudice?

Non credo perché a me appare chiaro (e l’ho scritto anche recentemente) che dal 2010 (anzi dal 2008 e presto vi spiegherò perché) ad oggi tutto quello che sta accadendo è frutto di una strategia studiata dalla trimurti reggina che mira solo ed esclusivamente a rendere sempre viva la fiamma che brucia la Giustizia reggina, a vantaggio della cupola mafiosa che può continuare a governare indisturbata Reggio Calabria e i suoi traffici. Tra le fiamme dovevano ardere prima Cisterna, Macrì, Pennisi, Mollace e poi Pignatone, Prestipino Giarritta, Ronchi e via di questo passo in modo da fare un falò unico in cui – ancora una volta – la delegittimazione a destra e a manca sarebbe stata…imparziale. Tutti uguali nel fuoco della trimurti, siore e siori!

BUONI E CATTIVI (O VICEVERSA)

Ma come si fa a capire dove sono i buoni e dove sono (se esistono) i cattivi? Ah, bella domanda che è diventata, ancora una volta, una patata bollente per la Procura di Reggio.

Terra bruciata sulla quale Cafiero De Raho è chiama
to a costruire ma- soprattutto – a portare i reggini a credere nella Giustizia uguale per tutti, come disse al suo esordio. Ci riuscirà? Ho sempre scritto che se non ce la fa lui non ce la farà nessuno ma ho anche sempre scritto che ne dubito (e spero ovviamente di sbagliarmi e di essere sconfessato). Reggio non è Casal di Principe: qui la cupola ha “studiato” e non è rimasta “gnurante” come a Napoli o Caserta. A Reggio la destra eversiva ha camminato a braccetto con le cosche e su e giù per il lungomare e lo struscio impunito, ha costruito carriere nazionali in ogni campo, cementando il tutto all’ombra delle logge coperte. Altro che quattro compari campani!

Anche ammesso e non concesso dunque  che il “nano” abbia voglia di consegnarsi (ed è l’unica cosa che può fare per salvarsi la vita) con le stimmate sanguinolente a Cafiero De Raho, dubito che il ventilatore della cupola permetta di fargli spendere verità senza coprirle di continuo fango, tanto da renderle impossibili da verificare e provare.

Del resto basta vedere all’interno della famiglia Lo Giudice fratelli e cugini che se la sono data dialetticamente di santa ragione fino a ricorrere anche a facebook pur di smentire un familiare. Ma mi domando – visto il recente provvedimento di carcere duro per un altro fratello del “nano”, alla luce della possibilità che la messa in scena del pentimento, dei memoriali e di chissà cos altro potrebbe essere stata fatta secondo la Procura anche allo scopo di rinsaldare la vena imprenditoriale della cosca – ma faceva anche questo parte, fin dall’inizio, di un’abile sceneggiata familiare nella più ampia tragedia della cupola?

Ormai il clima è inquinato e – lo dico sperando di commettere il più grande errore della mia vita professionale in questa valutazione – penso che sia (ancora una volta visto che le tragedie e le “carrette” in Calabria sono una regola aurea) definitivamente compromesso.

Del resto basta anche vedere in questi mesi il susseguirsi di pentiti calabresi che si sono buttati a fionda sull’affaire Lo Giudice e/o Lo Giudice/Cisterna (consapevolmente? Inconsapevolmente? Diretti? E se sì da chi?) e che hanno recentemente parlato e forse sparlato (su tutto e di più): Consolato Villani, Marco Marino, Luigi Bonaventura, Antonio Di Dieco, Massimo Napoletano, e chiedo venia se ne dimentico altri (sicuramente ne dimentico altri ma è impossibile ricordarseli tutti).

DI DIECO

Chi – come Di Dieco – si è (si sarebbe) prima messo nelle mani della Dna e poi di Lombardo (questo pentito, pochi mesi fa, ha incontrato Lombardo e a distanza di poco gli ha recapitato, annunciandoglielo in precedenza, un nuovo memoriale di circa 40 pagine, che ho cercato invano di ottenere) si troverebbe ora al centro di intrighi perversi e diabolici elaborati con e/o contro Lo Giudice e non so chi altro e/o a favore di non so chi, proprio insieme al suo avvocato. Vero? Falso? E chi lo sa?

Il 29 novembre 2011, appresa la notizia che Di Dieco era indagato per calunnia, scrissi testualmente che: «La tragicommedia che da mesi e mesi sta inquinando Reggio Calabria e Roma si arricchisce di una nuova puntata: l’ex collaboratore di giustizia Antonio Di Dieco è (sarebbe) un calunniatore. Ha (avrebbe) calunniato il pentito più veloce della Calabria, Nino Lo Giudice. L’uso del condizionale nelle parentesi è d’obbligo perché ormai in questa tragica commedia di certo non c’è più nulla».

A complicare il quadro già folle, il fatto che anche Pasquale Condello ha querelato per calunnia Di Dieco, visto che lo tirava in ballo «per questo, questo e quest’altro motivo» (cito anche il feticcio “Quelo” di Corrado Guzzanti, visto che con molti pentiti calabresi siamo ben oltre l’avanspettacolo). Certo che a mettersi contro Condello ci vogliono due zebedei così! Ma a ‘sto punto gli attacchi di Di Dieco al “supremo” (e viceversa) erano finzione o realtà? La domanda è legittima. O no?

Fa bene dunque Lombardo a battere ancora la pista “Di Dieco” già condannato per calunnia da uno che aveva accusato, vale a dire proprio Lo Giudice? E chi lo sa? Lombardo ha tutto per capire e agire anche perché  – questo è bene sottolinearlo – Lombardo lo ha ascoltato su vicende che nulla hanno a che fare con Lo Giudice. Lo sottolineo perché – mi sbaglierò – ma nelle ultime settimane a Reggio ho cominciato a sentire puzza di “delegittimazione” che non è ancora deflagrata ma è l’ennesimo messaggio che gli arriva. Altri ne arriveranno e questo lo scrissi in tempi non sospetti. I corvi continuano a saggiarne la resistenza e – vedrete – la tensione sarà destinata a salire.

MARINO

Chi, come Marco Marino, si è affacciato, sembra di fatto lo abbia fatto a cavolo di cane per non so quali interessi a scapito anche lui di Lo Giudice. Interessi che – se provati – farebbero parte dell’abile tragedia che coinvolge le raffinatissime menti reggine che godono a soffiare sul fuoco per bruciare la Giustizia. Interessi nei quali, anche qui, sarebbe stato tirato, avrebbe partecipato, avrebbe saputo o chissà cos altro, un avvocato.

Sugli avvocati a Reggio ci sarebbe da scrivere una biblioteca. Sono rimasto semplicemente senza parole nel leggere la cronaca della collega del Corriere della Calabria, Alessia Candito, dell’udienza che il 24 settembre ha rivisto partire il processo Do ut des.

Incalzato dal capo della Procura di Reggio, Federico Cafiero De Raho, l’avvocato Giovanni Pellicanò parla – ancora una volta – dei rapporti di Luciano Lo Giudice con l’ex pm Alberto Cisterna. «So che Luciano aveva tentato, tramite la famiglia, di entrare in contatto con il dottore Cisterna, sia per lettera, sia tramite un approccio diretto, ma da quello che ho saputo, per come Luciano stesso mi ha riferito, non c’era alcuna possibilità di intervento», dirà Pellicanò. Nulla di nuovo.

Poi parla di Francesco Mollace. Poche ore prima di questa udienza, erano stati pubblicati su alcuni media locali alcuni stralci di intercettazioni in carcere tra il legale (Pellicanò) e il suo assistito (Lo Giudice) nei quali si tiravano in ballo le presunte e , chissà, millantate amicizie “risolutorie” con il giudice Mollace.

Ebbene, cosa accade in udienza? L’avvocato si rimangia tutto. Leggete qui: «Io non ho mai incontrato il dottore Mollace – chiarisce più e più volte Pellicanòdire a Lo Giudice “non si può fare niente” era l’unico modo per arginare le continue richieste». Mah!

AVVOCATI

Una bugia – scrive Alessia Candito – che diventa complicata da gestire e fa preoccupare non poco il legale quando la notizia del presunto – ma stando a quanto ribadisce più volte Pellicanò – mai avvenuto colloquio si diffonde. «La mia preoccupazione era che si montasse un film su una cosa che non c’era. Non pensavo che Luciano sarebbe andato a riferire quello che gli avevo detto a sua moglie e a suo fratello. Io mi ero confidato solo con il codifensore Gatto. Alla fine – dice Pellicanò, rispondendo alle domande del procuratore Cafiero De Raho che gli contesta alcuni passaggi di un suo colloquio in carcere – stava passando come realmente accaduta una cosa che non era. Per questo ero preoccupato».

Ragassi, tutto ciò è o non è fantastico! Ma dove le trovate sceneggiature come queste? Manco a Hollywood! Fossi in Cafiero De Raho la testa mi girerebbe come un palloncino. Ma come lo trovi il bandolo della matassa dopo tutto quello che è accaduto dal 3 gennaio 2010 (anzi, ripeto, mi sto convincendo, dal 2008)? Ma andiamo avanti.

C’è chi, come Bonaventura, ha cominciato a parlare di scenari apocalittici che si intersecano con alcune finestre aperte da altri. In tutto questo interagiscono altri pentiti – pugliesi, siciliani, lucani e chissà di dove cazzo ancora – che camminano negli stessi passeggi carcerari di alcuni di quei pentiti e accavallano altre storie, talaltre smentiscono, talatre condiscono, alcune rimpinguano, altre dissacrano. Mah!

Insomma un casino totale. Una tragedia calabra nella quale i pentiti sono maestri anche perché mai come in questa terra le connivenze e gli incroci tra malavita ufficiale (le cosche) e malavita coperta (pezzi marci dello Stato e dei servizi deviati) sono al culmine.

VILLANI E NAPOLETANO

Chi come Consolato Villani attraversa per via parentale la famiglia Lo Giudice è stato investito da un fuoco di fila di insulti fin da un’udienza dell’8 gennaio 2013 nell’ambito del processo Agathos (stessa sorte per il pentito Giacomo Toscano) e suppongo che i due ricambino affettuosamente i giudizi su di loro espressi, ribaltandoli sul mittente.

E vogliamo parlare del pentito pugliese (se non ricordo male) Massimo Napoletano che interrogato il 2 dicembre 2011 in carcere a Rebibbia alla presenza di Pignatone Giuseppe, all’epoca capo della Procura di Reggio Calabria, Vincenzo Lombardo, Procuratore della Repubblica a Catanzaro, Salvatore Curcio, sostituto procuratore distrettuale antimafia a Catanzaro e Ronchi Beatrice, all’epoca sostituto procuratore distrettuale della Repubblica a Reggio Calabria, vomita la sua verità sull’affaire Cisterna contro Lo Giudice (si vadano a vedere i miei articoli in archivio)? Dell’interrogatorio si saprà un anno dopo così come si saprà che anche Napoletano è stato denunciato e processato per aver calunniato Lo Giudice e da fine luglio 2013 (periodo in cui la stampa locale calabrese ne dà conto) si sa che a maggio Napoletano sarebbe (ormai il condizionale è d’obbligo) stato aggredito in carcere in presenza di un altro collaboratore, mentre gli dicevano (chi?) che Lo Giudice avrebbe ritrattato tutto. I picchiatori lo avrebbero invitato a ritrattare tutto e accusare alcuni pm.

FIUME

Una domanda alla quale credo che dal 3 luglio la Procura di Reggio stia cercando una risposta: ma come facevano a sapere i presunti picchiatori già a fine maggio che Lo Giudice avrebbe ritrattato visto che il primo memoriale, che coincide con la scomparsa, è di giugno? Se lo chiede lo stesso Napoletano nella lettera sulla presunta (o vera) aggressione, spedita appunto il 3 luglio alla Procura di Reggio…

Ragassi: voi ci capite qualcosa? Una complessiva tragedia come questa io non l’avevo mai vista! Complimenti al regista: un genio che se mettesse la sua genialità al servizio del bene anziché della cupola mafiosa reggina, avremmo risolto metà dei problemi del nostro Paese!

E vogliamo parlare degli incroci di smentite e contro smentite tra pentiti (o ex? Boh!) come quello andato in onda ieri sulle pagine dell’Ora della Calabria che ha ricevuto una lettera di Giuseppe Calabrò (asetticamente analizzata da Consolato Minniti che, nonostante le intimidazioni, continua a fare il mestiere con la schiena dritta) che ha raccontato una storia che se fosse vera meriterebbe l’oscar per la migliore sceneggiatura del globo terracqueo? No, ragassi, meglio non parlarne, bisognerebbe scrivere un libro a parte…

E vogliamo allora parlare di chi come Nino Fiume, culo e camicia con il gotha De Stefano ha incrociato la sua vita con quella di tutti gli altri e che nell’ambito del processo Meta – guarda caso è in quell’ambito, con il pm Lombardo che sostiene la pubblica accusa, che arriva il primo memoriale del “nano” – dice molto e molto tiene in serbo? Un fatto è certo: per De Stefano, Lo Giudice è un «piccolo venditore di meloni marci»?

Ma a ‘sto punto mi chiedo: ma quello di Lo Giudice non sarà proprio il profilo giusto per inscenare “carrette” e tragedie?

ALTRI PENTITI IN ARRIVO

Questo lungo e parziale articolo – chiedo venia per tutte le tappe che ho saltato nello sputtanamento a vicenda tra pentiti e di questi ultimi nei confronti del pm Tizio o Caio e dell’investigatore Sempronio e con l’aiuto vero o presunto dell’avvocato Z ma seguirli ormai è impossibile – si è reso necessario per altri due motivi:

1) altri pentiti, recentissimamente, hanno raccontato la propria verità ai pm (non dico quali e dove) anche sull’affaire “Cisterna-Lo Giudice” & C. e dunque lo spettacolo è destinato ad arricchirsi di nuove puntate e nuove verità tutte da verificare, così come le altre. Lo sapevate? No? Bene, ve lo dico io. Il quadro pare dunque destinato a essere ancora più incasinato e c’è da giurare che ci sarà chi accuserà il pentito X di aver concordato con il pentito Y la versione sul caso Z e poi arriverà il pentito P che dirà che X si è messo d’accordo con V per far credere che W d’accordo con l’avvocato R…eccetera eccetera eccetera. E nelle nuove collaborazioni con la giustizia quale sarà, se ci sarà, il ruolo degli avvocati? In tutto questo spettacolo osceno – ripeto – c’è un solo vincitore: la trimurti che governa Reggio con la cupola mafiosa (servizi deviati, Stato marcio, professionisti collusi, politica allevata).

2) a Genova si affaccia un nuovo pentito che racconta la sua verità sulle vicende che incrociano Reggio e Catanzaro, anche perché da Catanzaro viene gestito. Brava la stampa ligure a darne conto. Ne scriverò domani anche se, credetemi, non ne posso
più!

Besitos

r.galullo@ilsole24ore.com

1 – to be continued