La profezia di Condello («ora sono…vostri») si avvera: a Reggio Calabria corvi e rischio mattanza – Appello a Cafiero de Raho: o voi o loro

Quando venne arrestato il 18 febbraio 2008 a casa sua (e dove sennò!), dopo anni di allegra e indisturbata latitanza, con un blitz nel quale intervennero circa 100 Carabinieri del Ros e dei cacciatori del Gruppo operativo Calabria, Pasquale Condello avrebbe detto con un ghigno beffardo a chi lo prendeva in custodia: «Ora sono cazzi vostri».

Quella esternazione – secca, meditata, premonitrice e per questo voluta e sboccatamente calibrata, che mi è stata riferita da una fonte che ovviamente non cito e non rivelerò – strideva con quanto l’ex pm della Procura di Reggio Calabria, Salvo Boemi, più o meno negli stessi attimi diceva al cellulare mentre si recava ad “accoglierlo” a Pellaro «Vado a incontrare un amico. Lo stavamo cercando da oltre venti anni. Si chiude un’epoca: l’uomo che ha comandato a Reggio, il protagonista delle due guerre di ‘ndrangheta che hanno insanguinato Reggio e la sua Provincia, è nelle mani della giustizia!»

Con tutto il rispetto e l’ammirazione che ho per Boemi (e lui lo sa), credo che quell’epoca non si sia chiusa. Semmai intelligentemente socchiusa. E credo che i “cazzi” – per dirla con la presunta nobiltà dialettica e di pensiero di Condello – siano davvero sbocciati quel giorno.

Il motivo è di una semplicità disarmante che solo i protagonisti di un’altra epoca – quella che si è chiusa con l’arresto di colui che tremare il mondo fa, don Mico Oppedisano, professione venditore di agrumi, hobby: distributore di santini a Polsi – potevano non vedere.

Condello infatti – chiamato, non a caso, dai suoi sodali criminali, con referenza e ossequio, il “supremo” e questo chi si è beato dell’attribuzione della carica di capocrimine a don Mico Oppedisano non dovrebbe mai, mai e poi mai dimenticarlo – non è solo un uomo di ‘ndrangheta. Nossignori: è una tessera di quel sistema criminale marcio e schifoso che domina Reggio, la Calabria tutta e sempre più su per li rami da Roma a Milano, da Firenze a Torino, da Bologna a Padova.

Condello sapeva – e sa – che al momento giusto, con pazienza e devozione le altre tessere, calamitate intorno a quel coacervo di interessi della cupola mafiosa, si sarebbero serrate intorno ad un disegno preciso che avrebbe riaperto quell’epoca.

Tessere che avrebbero risollevato, al momento giusto, quel giunco che, come solo l’intelligenza mafiosa sa fare, si era “piegato” al vento delle indagini condotte dal Ros del colonnello Valerio Giardina (abilmente promosso per toglierselo dagli zebedei e sottoposto da tempo al fuoco amico) su inchieste istruite dal pm Giuseppe Lombardo.

Il disegno, completato da tutte le tessere, era ed è quello di disseminare il terreno di trappole pronte a scoppiare al momento giusto. Una “rete” esplosiva pronta a difendere quel sistema fatto di ‘ndrangheta, politica cresciuta all’ombra delle cosche, massoneria deviata, uomini borderline dei servizi segreti corrotti e professionisti allevati a “vangelo” e libri di diritto.

Quella “rete”, quel sistema criminale, sa che il momento è questo: o la va o la spacca. O riesce ancora a mestare, delegittimare, deviare, sconfessare, distruggere, confondere, disperdere, depistare e annientare non tanto con gli omicidi eccellenti quanto con gli omicidi di Stato – gli unici in grado, come nel caso di Alberto Cisterna, di uccidere lasciando in vita il morto – oppure i pm che si stanno coagulando intorno a Federico Cafiero De Raho potrebbero (dico: potrebbero) riuscire a riscrivere la storia di questi ultimi 20/30 anni, risalendo alla nascita, alla crescita e al rafforzamento di quel sistema criminale che oggi in casa si trova fior di politici, fiori di professionisti, fior di (presunti) servitori dello Stato, tutti beatamente rilassati ma mai satolli all’ombra delle logge deviate.

Riscrivere 20/30 anni di storia della ‘ndrangheta vuol dire stravolgere capitoli importanti della vita contemporanea italiana e riscriverne parti essenziali, compresa quella delle stagioni delle stragi del ‘92/93, servite anche a lanciare come uno shuttle nel firmamento criminale la ‘ndrangheta dei De Stefano.

CAZZI VOSTRI

Mai come in questo momento Reggio Calabria – l’ho scritto e detto mille volte – è una polveriera pronta a saltare perché le cosche Condello, De Stefano, Tegano e Libri sanno che il momento è decisivo: o loro o Giuseppe Lombardo, Valerio Giardina, Gerardo Lardieri, Alberto Cisterna, Enzo Macrì, Roberto Pennisi e dunque, in ultima analisi, ora, anno domini 2013, Federico Cafiero De Raho.

Delle due l’una: tertium non datur.

La profezia di Condello si sta puntualmente avverando e – sul tavolo di Federico Cafiero De Raho – c’è solo una carta da rivoltare per rispondere alla cupola condellodestefaniana: quella che permette di accelerare le indagini che da oltre un anno attendono di essere portate al cospetto di un Gip per la convalida e che permetteranno, finalmente, di aprire squarci di verità sul quella pustola infetta che governa Reggio Calabria, la regione e su per li rami zone franche di potere criminale nell’Italia tutta.

Guardate che la sintesi – al di là delle letture che gli analisti della domenica vi propinano condendole di tatticismi, buona fede dei protagonisti e cautele – è solo e unicamente questa: o loro (e per loro intendo la cupola del sistema criminale) o la Giustizia (e per Giustizia intendo quei pochi che in questi anni nel Cedir e nelle stanze investigative hanno avuto le palle per fare indagini controvento).

Giuseppe Lombardo – nel dibattito del 15 maggio nel Comune di Reggio con il collega di Palermo Nino Di Matteo – lo ha sintetizzato chiaro e tondo, anche a nome di quei pochi che con lui combattono ogni giorno. Senza mezzi termini. Senza perifrasi. Senza quello stile mafioso che sta a cuore ai nostalgici di diverse stagioni e stagioni diverse. «Mi è stato detto – queste le testuali parole e c’è la registrazione che fa fede – nel passato: ma dove sono le sentenze da cui trarre elementi per affermare che oltre la ‘ndrangheta c’è un altro livello? Mi è stato detto, ci è stato detto, falsamente, che non esistono».

Falsamente, capite? Falsamente…Questo vuol dire una sola cosa: qualcuno nel passato ha mentito e dunque ci sono (e c'erano già prima) tutti gli elementi per andare allo scontro con la cupola mafiosa in un aula di Tribunale, luogo unico ed esclusivo, dove trasformare gli elementi in prova o vederli appassire in mere ipotesi magari vere ma indimostrabili.

TEMPO SCADUTO

Anche su questo Lombardo è stato chiaro, chiarissimo: «A Reggio Calabria i tempi non sono maturi. Sono più che maturi. A Reggio Calabria certe risposte abbiamo l’obbligo di darle».

O loro o la Giustizia. O la condanna a morte per la Calabria o la speranza di fermare la mano del boia. La speranza, sia chiaro, solo la speranza…

Solo così, caro Federico Cafiero De Raho, sarà possibile evitare lo scempio del quale, in queste ultime settimane, abbiamo visto i soli prodromi.

In attesa di bocciare quelle carte o di firmarle con il cuore in gola per averle sottoposte al vaglio del Gip, caro Procuratore, c’è una sola cosa da fare che Lei conosce come pochi: la sua regia unica delle indagini in attesa che Lei possa sapere di chi fidarsi e chi no nella nascita del suo pool di napoletana memoria e prestigio.  In questo modo – e solo in questo modo – sarà possibile preservare l’unicità delle indagini e non il fiorire di contro indagini e contro analisi che non solo sputtanano in parte il lavoro della Procura ma danno ossigeno, senza volerlo, alla cupola mafiosa, al sistema criminale. E non abbia paura di avviare indagini disciplinari sottoponendo al vaglio della Procura generale atti, parole ed omissioni di chi infrangerà le regole.

Ricordo non a Lei ma a chi infanga il Suo credo (che è l’unico, per Dio, nel quale riconoscersi nell’amministrazione della Giustizia), ciò che disse il giorno del Suo insediamento a capo della Procura, quando giurò mentre intorno a Lei volavano molti corvi di palermitana memoria: ««Curerò personalmente questo aspetto – ha detto scandendo le parole – vale a dire che la Procura sia come un solo ufficio, una sola persona. Ciascun sostituto si muoverà per gli altri e con gli altri in spirito di collaborazione eccezionale. Quando si muoverà uno sarà come se si muovesse l’intero ufficio. Tutti costantemente intorno allo stesso tavolo per discutere le indagini e contribuire a smantellare le organizzazioni criminali. E con loro, con noi, ci saranno la Polizia, la Guardia di Finanza, i Carabinieri e la Dia. Il lavoro è di squadra».

E’ così ora? No, no e no.

Sarà così da oggi? Deve esserlo. Caro Procuratore: tempo non c’è n’è più. Finito.

E da un mese circa con un rischio in più: che la mattanza dei Condello e dei De Stefano viva una nuova stagione. Chi rimarrà sull’asfalto morto o vivo nella sola apparenza? Soltanto gli informatori, soltanto i traditori o anche chi conduce quelle inchieste all’interno delle quali, come ha sussurrato un corvo alimentato dalle granaglie della cosca De Stefano, qualcuno ha interesse a scavare? Chi? Per fare cosa? Semplice: per delegittimarne il lavoro.

O voi (cioè anche noi, vale a dire chi crede che la legge è uguale per tutti e che l’azione penale è obbligatoria) o loro.

Caro Procuratore, la sabbia è scesa tutta, nella clessidra della speranza. Questo Lei lo sa ma, purtroppo, lo sanno anche loro.

r.galullo@ilsole24ore.com