Sistema criminale in Calabria/9 La mutazione genetica: Nicola Gratteri ricorda l’abc di 44 anni fa, Vincenzo Lombardo osa e Michele Prestipino sorprende

Lo dico con tutta l’umiltà e la determinazione di cui sono capace: c’è qualcosa che mi sfugge nelle analisi della ‘ndrangheta. Mi sfugge proprio quando sto per portare a conclusione (parziale) questa lunga inchiesta sul “sistema criminale”, fatto “anche” di ‘ndrangheta, che governa la Calabria e che mette a rischio l’Italia, a partire, brutalmente, dal pm antimafia reggino Giuseppe Lombardo.

Lombardo vuole proseguire l’opera – interrotta nel 2001, processualmente non provata ma quanto mai vera, viva e vegeta – di Roberto Scarpinato (si veda il mio articolo del 4 marzo in archivio).

Le principali pedine sullo scacchiere di Lombardo sono i processi Meta e Agathos, oltre a quelli svolti o in corso come Bellu lavuru e Piccolo carro, l’indagine sulla Lega Nord e su Francesco Belsito e la riapertura, inutilmente negata, dell’omicidio del giudice Nino Scopelliti.

Ciascuno di questi “pezzi” sta arricchendo la trama criminale. Alcune mosse sono state già vincenti. Altre attendono la contromossa. Altre saranno inattese.

Forse (per qualcuno sicuramente) sarò un deficiente ma debbo dire che in questa trama che Lombardo sta faticosamente e isolatamente conducendo, a giungere inattese sono alcune prese di posizione di suoi colleghi magistrati.

Lo dico chiaro e tondo: posizioni stupefacenti. Alcune mi trovano in (quasi) totale dissenso, altre mi sorprendono per un cambio di direzione che – se non è propriamente a U – poco ci manca. Un piacevole (magari parziale) cambio di direzione, lo anticipo, è quello di Prestipino Giarritta Michele.

LA RELAZIONE PARLAMENTARE

Come molti di voi sapranno la Commissione parlamentare antimafia, il 6 febbraio, ha consegnato ai due rami del Parlamento la relazione di fine legislatura.

Tra gli atti raccolti anche le dichiarazioni del sostituto procuratore antimafia a Milano, Dolci Alessandra che ha sostenuto l’accusa nel dibattimento Infinito.

In audizione parlamentare, nel dicembre 2012, tornerà a dichiarare che «al di là di ogni dubbio, perché lo dicono gli stessi mafiosi, esiste una unicità della ’ndrangheta». Esistono numerosi locali, dotati di autonomia affaristica, ovviamente su basi illegali e retti ognuno da un referente principale; tuttavia, tutti i locali mantengono salde le radici con cultura della tradizione calabrese dalla quale provengono.

Esplicativa è ad esempio – per il pm pupillo di Boccassini Ilda – la circostanza che Oppedisano Domenico, ormai ottantaquattrenne, sia stato nominato capo nel momento in cui, dopo l’eliminazione di Novella Carmelo, vi erano da garantire degli equilibri che si stavano disgregando. Sul punto, ha precisato Dolci che «e` accaduto – nel momento in cui, come in qualsiasi fenomeno della globalizzazione, i giovani si potevano avvicinare ad una cultura diversa – che è prevalsa la tradizione, con i suoi principi, a cui bisogna tenere fede perché, in fondo, rimane la loro forza… ritenere quindi che un uomo di ottantaquattro anni, un vecchietto, possa non rappresentare la drammaticità di questa organizzazione significa o non avere capito nulla di ’ndrangheta o fare il lavoro di chi non vuole vedere quello che e` realmente questo fenomeno perché fa molta più paura, se si considera quanto l’antistato – dunque una cultura negativa della tradizione – sia più forte di una persona perbene, che non ha la forza di reagire rispetto a delle angherie, rispetto a dei soprusi. Quindi e` una cultura tanto più difficile da far emergere e tengo molto a sottolineare questo aspetto».

Non ho alcuna – e ripeto fiero: alcuna – difficoltà a gridare ai miei lettori che sono tra quelli che non hanno capito assolutamente nulla di ‘ndrangheta. Almeno quella che intende con questo inciso la pm Dolci, di cui pure e come sempre accade, rispetto le opinioni. Mi strugge dunque ricordare quel che accadde il 3 dicembre 2010, alle ore 14.40, quando il collaboratore di giustizia Antonino Belnome si presenta davanti ai pm di Milano Dolci Alessandra e Boccassini Ilda (si veda il mio post del 17 aprile 2012).

Ecco un piccolissimo inciso.

Boccassini: No, io non intendo …

Belnome: No, nel senso magari pensava che c'era il capo della 'ndrangheta, non esiste.

Boccassini: Non esiste …

Belnome: Non è che… voi avete arrestato per dire Oppedisano, ma Oppedisano non è il capo della 'ndrangheta….

Debbo dire che – ragionando a differenza di decine di colleghi che si reputano giornalisti – solo ed unicamente con la mia testa me ne po’ fregà de meno di avere un pensiero diverso. Le mie idee le difendo alla morte, le cambio quando sbaglio, respingo il pensiero unico che domina i salotti giudiziario/mediatici e non mi interessa neppure sapere che sono in straordinaria compagnia nella mia ignoranza: a partire da quel Giuseppe Lombardo che oggi tutti piangono da vivo e brinderanno da morto (spero fra 1.000 anni).

Siamo almeno in due a non aver capito niente ma se mi guardo intorno, beh…siamo migliaia.

LA RIFLESSIONE DEI PARLAMENTARI

Proseguendo sul filo logico di Dolci, la relazione spiega che quello che il procedimento Il Crimine-Infinito ha consentito di comprendere è che la ’ndrangheta non può essere ridotta a «tanti piccoli eserciti che controllano il singolo territorio», ma deve essere vista come una unica e solida struttura organizzata in grado di tessere una rete relazionale tra i diversi locali e di creare un patrimonio comune per tutti ed ognuno di essi, al fine di agevolare tutte le ’ndrine e tutti i locali.

Un elemento esplicativo che consente di cogliere il senso dell’unicità della ’ndrangheta e della appartenenza ad essa, anche dal punto di vista dell’adesione psicologica, per il singolo soggetto e` il «battesimo».

In proposito ricorda un collaboratore di giustizia di essere stato battezzato in carcere una quindicina d’anni fa, come premio per essersi «ben comportato, commettendo un omicidio nel bar al centro del Paese». Lo stesso collaboratore, una volta uscito dal carcere («non si e` chiamato il posto» – termine utilizzato per indicare il mancato inserimento in un locale – perche ´ quello in cui voleva entrare era stato «fermato», vale a dire temporaneamente chiuso), pur non essendo inserito e non riconoscendosi in alcuna ’ndrina ed in alcun locale, ha continuato ad essere e sentirsi un appartenente alla ’ndrangheta, tanto che, quindici anni dopo, nel momento i
n cui l’organizzazione gli ha chiesto di commettere un nuovo omicidio, non si e` tirato indietro e «come un buon soldato a disposizione dell’organizzazione, ha dato la propria disponibilità ed e` diventato uno dei due killer di Carmelo Novella».

GRATTERI E IL SUMMIT DI MONTALTO

Ora, senza necessità di chiamare in causa (basti vedere quel che ho scritto nei giorni scorsi) un altro ignorante come il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi che fa strame dell’unicità della ‘ndrangheta, senza ricordare l’evoluzione delle opinioni di pm in merito alla figura del “vecchietto”, senza snocciolare gli “Oppedisano chi?” gridati da ‘ndranghetisti e pentiti e senza richiamare la recentissima (scorsa settimana) indagine Metropolis della Dda di Catanzaro che evidenzia come dalle parti di Limbadi l’unicità della ‘ndrangheta è una barzelletta, mi basta oggi richiamare quanto – verosimilmente con giochi di prestigio che la Commissione parlamentare antimafia sperava non fossero svelati – ha fatto mettere a verbale il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri.

Gratteri, tornando sulla questione riguardante l’organo di vertice della ’ndrangheta, denominato «crimine» o «provincia», ha evidenziato che, per l’esatta comprensione dello stesso, è necessario richiamare alla memoria il famoso summit di Montalto del 1969, nel corso del quale Zappia, capo della mafia di Gioia Tauro (Rc), disse, davanti a 170 capi mafia disposti nella vallata di Montalto a circolo formato: «Qui non c’e` più la ’ndrangheta di don Mico Tripodo, qui non c’e` la ’ndrangheta di ’Ntoni Macrı`, qui non c’e` la ’ndrangheta di ’Ntoni Nirta. Qui la ’ndrangheta e` di tutti. Siamo tutti la ’ndrangheta. Chi ci vuole stare ci sta, chi no se ne va».

Gratteri ha dunque rilevato – ooohhhhh! – che di una struttura di ’ndrangheta unitaria nel senso di mutue relazioni, mutui rapporti e mutuo soccorso, già si hanno riscontri da indagini condotte nel 1969, i cui esiti sono stati consacrati nella sentenza del 1970 del Tribunale di Locri.

Gratteri ha riferito che vi sono state anche indagini successive, per tutte quella denominata operazione Olimpia nella quale si parla anche di «province». Ancora, ha reso noto che nell’operazione Primavera del 1998 (oggetto la faida Cordì-Cataldo di Locri), è stata intercettata una conversazione eloquente di un capo ’ndrangheta di Locri il quale dice ad un emissario del crimine di San Luca: «Quando voi sparate alle serrande, quando voi bruciate le macchine, quando voi terrorizzate il popolo, il popolo vi abbandona e quello che avete creato in trent’anni, vi alzate una mattina e lo perderete».

Da ciò il procuratore Gratteri ha tratto, innanzitutto, convincimento del fatto che la ’ndrangheta, come tutte le mafie, per esistere ha bisogno del consenso popolare. Altrimenti non sono mafie ma sono gangsterismo o criminalità comune.

Inoltre, sempre in esito all’ascolto delle conversazioni intercettate, Gratteri ha evidenziato nell’operazione Primavera un organismo verticistico è investito della questione relativa alla faida sanguinaria che si consuma a Locri tra le famiglie Cordì e Cataldo e per questo invia sul posto una sorta di «giudice istruttore» con il compito di comprendere i fatti e di ristabilire all’interno degli stessi locali il rispetto delle regole della ’ndrangheta.

La riprova dell’esistenza di questa struttura verticistica «crimine» si rinviene, ancora, due anni dopo, nell’ambito dell’indagine Armonia che aveva avuto inizio con la cattura di Morabito Giuseppe, detto u tiradrittu. In un’intercettazione ambientale, nella macchina del genero, spiega la chiusura della locale di ’ndrangheta di Locri fatta dal «crimine», o «provincia», per indegnità.

IL CAPO DEL GOVERNO

Secondo Gratteri – non dimentichiamoci che a Reggio è stato lui a sostenere la pubblica accusa nel procedimento – le risultanze di tutte le indagini citate consentono di affermare che il «crimine» e` un organo di vertice cui e` deputato il compito di garantire l’osservanza delle regole mafiose.

Usando un’iperbole Gratteri ha evidenziato che il «crimine» è il custode delle regole, delle Dodici Tavole, l’organo che osserva e fa osservare le regole e presiede il Tribunale della ’ndrangheta. Conseguentemente il «capo crimine», che le indagini e la sentenza di primo grado emessa dal Gup di Reggio Calabria, hanno individuato in Oppedisano Domenico e`, sempre utilizzando un’iperbole, «il Presidente della Repubblica, non e` il Presidente del Consiglio; e` il Presidente del Consiglio regionale, non della Giunta regionale, ossia un soggetto che non ha potere esecutivo».

Ripeto: non ha (NON HA) potere esecutivo.

Guagliò, se fossi volgare, direi che Oppedisano non conterebbe (non contava?) quasi un…ma siccome sono tanto, molto ignorante (pure troppo!) non lo dico né lo penso e mi rimetto umilmente a chi tanto sa e a chi – come Gratteri – ha così poca esperienza da poter dire che «all’interno di una locale di ’ndrangheta vi è un capo, che ne e` il padrone, e nessuno può interferire quando si parla di affari, di business. Il capo locale Oppedisano Domenico non può intervenire sulle scelte di politica criminale di una locale di ’ndrangheta, ossia non può intromettersi nelle decisioni della singola locale relative all’acquisto di cocaina o all’esercizio dell’attività estorsiva nei confronti degli imprenditori. Tuttavia, l’autonomia delle locali dal punto di vista delle scelte criminali, su cui il crimine non interviene, non le esime dal rispetto delle regole comuni a cui tutti devono prestare osservanza, ed e` proprio questo l’ambito di competenza del crimine».

Non sono volgare – detesto la volgarità – e per questo dunque mi limito (con il massimo rispetto per chi la pensa diversamente) a sottolineare che quanto è apparso chiaro nel 2010 con l’Operazione Crimine/Infinito era già chiaro…nel 1969 a Montalto!

Da modesto e ignorante intellettuale da strapazzo quale sono avrei sognato – 41 anni dopo – un’evoluzione nella “lettura” in filigrana dei “sistemi criminali” e una concentrazione delle forze investigative e inquirenti nella lotta a quei sistemi evoluti ma tant è.

VINCENZO LOMBARDO E LA MUTAZIONE GENETICA

Ma la filiera dei pensieri “diversamente abili” messi abilmente ora qui ora lì nella relazione della Commissione parlamentare antimafia che palesemente non ha voluto prendere posizione, continua con Vincenzo Lombardo, capo della Procura di Catanzaro che – come abbiamo visto nel post del 12 marzo non solo non ha mai sentito in vita sua Oppedisano né s
e ne preoccupa – ma va dritto al cuore del “sistema criminale” che dei riti, dei santini bruciati, dei battesimi non sa cosa farsene.

Lombardo va dritto all’evoluzione della ‘ndrangheta e riconosce che solo di recente (sigh!) si è intuito che c’e` stata una mutazione genetica della ’ndrangheta e una maggiore ampiezza della zona grigia. Sarà ma a me – modesto e ignorante studioso da strapazzo dei sistemi criminali mafiosi, anche calabresi – questa mutazione genetica appare chiara da almeno 30 anni ma evidentemente (anche qui) è l’intelligenza e lo studio che mi fanno difetto.

Sul punto Lombardo sottolinea: «cominciamo a capire perché può darsi che prima non riuscissimo a capirlo e che non fosse oggetto d’investigazione. Probabilmente deve essere oggetto di maggiore estensione. Io vedo allargata quest’area grigia e me lo dimostrano le esperienze di Reggio Calabria, di Catanzaro, dove non siamo ai livelli di Reggio Calabria, ma ormai in ogni inchiesta c’e` sempre qualcuno che fa il referente delle cosche, che appartiene alla Polizia, ai Carabinieri o, magari, alla Finanza. Quest’area è cresciuta, anche se, siccome non si macchia di sangue, non e` nemmeno avvertita come appartenenza criminale. Probabilmente c’e` gente che nel fare determinate cose non riesce a capire – o lo riesce a capire e fa i suoi interessi, ben consapevole di questo – la delicatezza di questi rapporti e contatti continui che si hanno con soggetti che sono mafiosi in senso stretto. Quest’area non e` definibile a priori. La ’ndrangheta e` capace di infiltrarsi in tutti i settori; la politica, la magistratura e le istituzioni. Non c’e` nessuno che può sottrarsi ed evitare il rischio; deve rispondere, reagire ed utilizzare i suoi freni inibitori. I modi per ottenere un risultato sono tanti e diversi; possono essere la blandizia, l’offerta, la controprestazione, quasi su un piano di legalità, quasi fosse una prestazione di pari livello. Se non si ottiene quello che si vuole (un assenso in un permesso, un parere favorevole in una procedura amministrativa) con le buone, allora si passa alle cattive».

Ah benedett’ uomo di un Vincenzo Lombardo! Le sue sono eresie (che condivido in gran parte) dettate forse dalla gioventù ma proprio in quanto neofita, se si applica, può capire meglio l’onnipotenza della ‘ndrangheta sull’Apecar.

PRESTIPINO GIARRITTA MICHELE

Devo essere sincero: sono rimasto piacevolmente colpito dalle riflessioni – riportate nella relazione – di Prestipino Giarritta Michele, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, che già mi aveva gradevolmente stupito con le prese di posizione sulla massoneria, che nelle stanze e nei corridoi della Procura ha aleggiato molto e aleggia ancora (si vedano i post del 7 e 8 marzo).

Sull’unitarietà della ’ndrangheta Prestipino Giarritta ha evidenziato che, dal punto di vista della struttura, un’organizzazione può, in ipotesi, assumere diverse connotazioni: può atteggiarsi come un’organizzazione unitaria oppure essere un insieme di cosche che non hanno una strategia comune e che ovviamente possono scegliere o meno di collegarsi per la realizzazione di singoli affari.

L’unitarietà assume anche un ulteriore significato sotto il profilo identitario.

Ascoltando e leggendo il contenuto delle conversazioni che sono state intercettate in luoghi ed in contesti mafiosi-familiari diversi emerge il senso dell’appartenenza di ciascuno ad un’organizzazione unica, ad un ente e/o ad un organismo unitario. Sono molte le interlocuzioni nelle quali i boss dicono «noi apparteniamo tutti alla ’ndrangheta, noi siamo la ’ndrangheta» (o altre parole più o meno di questo tenore).

Tali locuzioni svelano l’esistenza di un interesse generale e collettivo dell’organizzazione, quasi si trattasse di un bene comune criminale, diverso e distinto dall’interesse dei suoi singoli componenti.

Prestipino, a titolo meramente esemplificativo, ha citato una conversazione di cui e` protagonista un capo ’ndranghetista del carisma e della statura di Giuseppe Pelle (figlio di Antonio Pelle detto gambazza, appartenente ad una famiglia che ha fatto la storia della ’ndrangheta e che ne ha avuto il comando per moltissimi anni) al quale si e` rivolto un capo mafioso per chiedergli l’autorizzazione ad esercitare la propria vendetta nei confronti di altri. Dalla conversazione emerge che Pelle gli consiglia di non ricorrere alla vendetta esortandolo a rimanere fermo sulle sue posizioni, ricordandogli che esiste un bene superiore, che e` quello dell’organizzazione, che viene salvaguardato stando in pace, in quanto, nei periodi di pace, la ’ndrangheta fa molti affari mentre, se sceglie la guerra, fa automaticamente scattare l’intervento repressivo dello Stato, che non giova agli affari della criminalità organizzata.

MA QUALE COSA NOSTRA!

Quanto al modello organizzativo, Prestipino Giarritta ha tenuto a puntualizzare che la sintesi mediatica relativa all’avvenuta scoperta di un organismo centralizzato della ’ndrangheta uguale alla cupola, intesa quale «commissione», ossia l’organo di governo di Cosa nostra, e` assolutamente fuorviante non essendo proponibile, allo stato delle conoscenze investigative e delle conferme giurisdizionali, un paragone tra i modelli organizzativi delle due associazioni criminali di matrice italiana.

E ciò in quanto profondamente diversa e` la tipologia delle due organizzazioni in questione, che inevitabilmente si riflette sulle diverse modalità operative e sulle competenze dei rispettivi organismi di vertice cui e` affidata la governance.

Prestipino Giarritta ha chiarito, riguardo all’organo di vertice della ’ndrangheta, che se e` indubitabile che lo stesso esista, poichè numerose sono le conferme in tal senso, alcune anche risalenti ad operazioni condotte dalla Procura distrettuale negli anni passati, vi e`, per contro, ancora molto da comprendere in ordine alle modalità operative dell’organo stesso, al suo funzionamento nel dettaglio ed alle sue specifiche competenze.

E qui Prestipino Giarritta si pone sul binario di Gratteri: che esistesse un organo di vertice della ’ndrangheta, e che, per giunta, si chiamasse «provincia», risulta da intercettazioni effettuate diversi anni fa nel processo denominato convenzionalmente Armonia, ove sono state intercettate conversazioni di alcuni ’ndranghetisti che parlavano della ’ndrangheta in termini unitari e di questo organo di vertice chiamato «provincia». Il termine «provincia» o «crimine» ricorre, quindi, in moltissime conversazioni intercettate nel corso delle ultime indagini svolte dalla Procura distrettuale dalle quali si comprende, in qualche modo, anche la dimensione ed il ruolo di raccordo di tale organo di vertice tra la cosiddetta casa madre dell’organizzazione e le strutture organizzate.

Sostanzialmente costituiscono proiezioni della stessa ad essa legate da un rapporto funzionale, che godono di larga autonomia per le questioni connesse all’esercizio dell’attività criminale di tipo quotidiano, ma che, sulle grandi questioni strategiche, devono rivolgersi all
a casa madre.

Un esempio assolutamente dimostrativo delle modalità di intervento della «Provincia» si può trarre dagli esiti delle indagini condotte a Milano che hanno consentito di disvelare che l’omicidio di Carmelo Novella, eseguito in Lombardia, e` stato deliberato in una riunione in Calabria, della quale si e` appreso a seguito di un’intercettazione in cui due persone che avevano preso parte a quella riunione dicono apertamente che «la "Provincia" ha licenziato compare Novella».

Il significato, già di per sè assolutamente inequivoco dell’espressione, trova riscontro nella circostanza che, dopo quindici giorni, Novella viene ucciso.

Tuttavia Prestipino ritiene che l’organo di vertice della ’ndrangheta non possa essere paragonato alla «commissione» di Cosa nostra per il semplice motivo che sono assolutamente diverse le organizzazioni che questi due organi di vertice sono chiamate a governare. Cosa nostra, anche negli anni di suo massimo fulgore, ha avuto un insediamento ed una stabilizzazione sul territorio siciliano. E neppure su tutto il territorio della Sicilia ma principalmente nelle province di Palermo, Trapani, Agrigento e Catania, mentre vi sono zone della Sicilia che hanno avuto una minore e meno significativa presenza dell’organizzazione mafiosa. Non e` mai, inoltre, esistito un mandamento di Cosa nostra al di là dello Stretto di Messina: vi e` stata la presenza di uomini d’onore di Cosa nostra a Milano, a Roma, a Napoli, ma mai è stata accertata l’esistenza di un mandamento milanese o romano.

La «commissione» governava, quindi, questo tipo di organizzazione.

E, quindi, quando Riina convocava intorno a se i capi dei mandamenti della provincia di Palermo, qualche volta estendendo l’invito ai capi delle altre province, si trattava di 17 persone, più altre tre o quattro.

Ed in quelle riunioni si governava Cosa nostra.

La ’ndrangheta, invece, ha una dimensione ed una struttura assolutamente diverse.

In Lombardia vi sono oltre 25 (per approssimazione) «locali» stabilizzate, vale a dire l’equivalente del mandamento di cosa nostra, le quali hanno a loro volta 25 capi, che eleggono, a loro volta, il rappresentante della Lombardia, mentre per la Liguria sono state accertate locali stabilizzate anche all’estero, fuori dai confini nazionali, in particolare, in Svizzera, Germania, Australia e Canada.

Conclusivamente Prestipino Giarritta ha sottolineato che si e` in presenza di un’organizzazione completamente diversa da governare e che reggere un’organizzazione con questa estensione, con queste proiezioni e queste articolazioni e` qualcosa di diverso dall’amministrare il mandamento di Cosa nostra e ovviamente pone problemi differenti. E ciò non può che riflettersi anche sulla struttura, sulla composizione, sulle funzioni e sui ruoli dell’organo di vertice ribadendo che sul funzionamento del «crimine» o «provincia» c’e` senza dubbio ancora molto da approfondire.

Bravo Prestipino Giarritta: sottoscrivo. Approfondire, approfondire e approfondire. O, in alternativa, rivolgersi a chi ha capito e sa tutto.

A domani con un’altra tessera della riflessione sul sistema criminale calabrese (e italiano).

9 – to be continued (le precedenti puntate sono state pubblicate il 4, 5, 6, 7, 8, 11, 12 e 13 marzo).

r.galullo@ilsole24ore.com

  • GALULLO |

    Egregio Veraldi
    non solo il suo commento è stato letto ma è stato anche da me apprezzato. Credo che il post di domani (l’ho scritto stanotte alle 2) sarà per tutti un enorme spunto di meditazione e riflessione.
    cari saluti
    roberto

  • Alfredo Veraldi |

    Incipit: Caro Francesco mi permetto… La sua considerazione è assolutamente fuori luogo. Il richiamo a parlare di mafia e di ‘ndrangheta (come in questo blog) per vendere libri sulla criminalità organizzata mi ricorda le parole dette da qualcun’altro qualche tempo fa in relazione alle dichiarazioni di un certo Roberto Saviano. Non voglio nominarlo ma Lei avra intuito. Come per il soggetto in questione vale anche per Lei la stessa regola. Fare finta di non vedere non fa in modo che le cose non esistano. Caso mai fa l’effetto contrario. Se Lei dovesse un giorno per puro caso sfiorare anche solo minimamente un soggetto del genere (non umano) più volte ben spiegato in questo bolg non saprebbe riconoscerlo. Solo un consiglio se mi permette: Impari, si documenti, legga, magari anche quel libro a cui fa riferimento. Le sarà d’aiuto quando dovrà spiegare ad un suo caro (magari a suo figlio) cosa significa vivere nella legalità. Mi scusi tanto ma per me era necessario…
    Caro GALULLO
    La ringrazio di tutto cuore. Sono di Catanzaro e conosco benissimo (perchè non mi piace fare finta di niente) cio di cui lei parla. Continui a farlo. Volevo solo darle qualche spunto di riflessione. Il concetto verticistico della ‘ndrangheta è assolutamente verosimile ma solo nella misura del controllo delle varie parti in causa. A differenza della mafia la ‘ndrangheta fa affari ben diversificati e non si “limita” alla strage o all’omicidio poichè questo potrebbe essere controproducente. Crea caos. Questi bastardi preferiscono il controllo non tanto del territorio ma del tessuto della società. E’ più facile e crea molti più vantaggi. Laddove fosse necessario un permesso un canale privilegiato è sicuramente più allettante piuttosto che seguire le regole. Le loro regole (quelle dei bastardi) sono molto più semplici. Ti conosco mi aiuti ti restituisco. Qualsiasi cosa pur di passare davanti a colui che mi precede. E’ questo quello che dobbiamo vincere. Il sopruso, il credere che il fottere l’altro ti renda a lui superiore. Saltare un fila al ticket è fighissimo. Partiamo dai concetti semplici di educazione civica. Probabilmente (ma anche io sono un ignorante patentato) è da qui che bisogna porre le basi per intaccare questo sistema. Magari sono un disilluso. Vivo in calabria in una città che le assicuro è vivibilissima. Splendida per le sue coste e per l’entroterra. Non la cambierei per nulla al mondo. E’ molto difficile trovare lavoro ma se si ha la fortuna come il sottoscritto di averlo trovato le assicuro che si sta benissimo. E allora dove è la ‘ndrangheta e gli ‘ndranghetisti? sono all’interno dei palazzi spingono bottoni sono colletti bianchi che hanno bisogno di regole. E forse questo è il ruolo di Oppedisano. Fare da collettore ad un sistema che ormai è molto collaudato e che per vivere ha bisogno anche di regole ferree. Mi scusi se sono stato prolisso. Probabilmente non leggerà neanche il commento ma avevo voglia di farle sentire anche la mia voce. Attendo domani il capitolo dieci.
    Con profonda stima e affetto
    Alfredo Veraldi

  • GALULLO |

    Gabriele è molto semplice: http://www.parlamento.it. Da li va a “organismi bicamerali”, poi alla commissione antimafia e sotto i documenti approvati trova i due tomi
    saluti
    roberto

  • Gabriele |

    Carissimo Roberto,
    dove è possibile leggere la Relazione della Commissione Antimafia per intero?
    Ho provato in tutti i modi a cercarlo (siti istituzionali compresi..) ma purtoppo ne ho trovato solo degli estratti.
    Sperando possa venirmi in soccorso
    La saluto e la ringrazio

  • francesco |

    si ha l’impressione che si rimandi al 1969 per poter vendere meglio libri tipo “fratelli di sangue”..

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