Emergenza mafia in Lombardia /1 I padroncini calabresi (in tutti i cantieri) sono un problema socio/politico: parola del Parlamento

La Commissione d’inchiesta parlamentare sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, ha presentato ieri a Milano la relazione conclusiva sulla Lombardia (datata 12 dicembre 2012) alla presenza, tra gli altri, del sindaco di Milano Giuliano Pisapia e del capo della Procura Edmondo Bruti Liberati.

Sulla relazione ho scritto ieri sul Sole-24 Ore online (rimando dunque al pezzo sul sito attraverso la ricerca nel suo archivio).

Su questo blog propongo da ieri approfondimenti su alcuni aspetti particolari. Ieri ho proposto uno spaccato numerico, oggi invece scrivo di uno straordinario (e inquietante) confronto.

L’infiltrazione mafiosa nel movimento terra, con il controllo dei camion e dei mezzi utilizzati in tale settore, comporta quale diretta conseguenza il controllo del traffico dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, che vengono gestiti in modo del tutto arbitrario e in violazione di ogni regola o criterio di corretto smaltimento.

Sul punto, vale la pena di richiamare il parallelismo effettuato dal Paolo Storari, sostituto procuratore Dda di Milano, nel corso dell’audizione del 17 aprile 2012, tra la realtà lombarda (e milanese in particolare) e la vicenda di Bardonecchia, comune dell’Alta Val di Susa, il cui consiglio comunale, primo caso nel Nord Italia, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose nel ‘95.

A Bardonecchia, agli inizi degli anni ’70, a seguito di applicazione di misura di prevenzione personale del tribunale di Locri, era stato inviato dalla Calabria in soggiorno obbligato Francesco Mazzaferro di Gioiosa Jonica il quale, appena arrivato, aveva da subito avviato una ditta di escavazioni (che operava a Salice d’Ulzio), con una dotazione di camion e macchine scavatrici sempre più ampia, che aveva finito con il monopolizzare tutto il mercato del movimento terra.

Dopo l’arrivo di Mazzaferro e di Lo Presti erano emigrate a Bardonecchia dalla zona di Gioiosa Jonica (la stessa di Mazzaferro e di Lo Presti) circa 300 persone, portando negli anni ’90 la popolazione della cittadina piemontese da 2.700 a 3.100 unità e non vi era cantiere edile in cui non operassero i calabresi, i quali di seguito avevano finito con l’occupare l’intera economia dell’Alta Val di Susa, fino a invadere anche la politica, posto che, corrispondentemente, era aumentato anche il numero degli iscritti nelle liste elettorali.

Fatto sta che, nel 1995, il sindaco era stato arrestato e il consiglio comunale di Bardonecchia era stato sciolto, a causa delle infiltrazioni mafiose.

Oggi in Lombardia la situazione, pur diversa, presenta un certo parallelismo dal momento che vi è bisogno di manodopera, che i lavori devono essere eseguiti e che servizi a basso costo lo danno proprio queste imprese mafiose. Si tratta, infatti, di attività che richiede bassa professionalità e pochi costi, essendo sufficiente il leasing di un camion.

Come sottolinea il Gip di Milano, Giuseppe Gennari, nell’ordinanza del 3 marzo 2011 nel cosiddetto procedimento Caposaldo, il movimento terra costituisce il settore prevalente di interesse della ’ndrangheta imprenditrice, grazie alla presenza sul mercato lombardo e, in particolare su quello milanese, di un vero e proprio esercito di  “padroncini calabresi”, «tutti collusi e sempre disponibili i quali, per un verso, costituiscono un serbatoio pressoché inesauribile, cui attingere a piene mani per il controllo dell’intero settore e, per altro verso, forniscono alla ’ndrangheta un altrettanto notevole serbatoio di voti da far valere al momento opportuno nei rapporti con la classe politica, come si vedrà di seguito».

Tutto ciò è possibile in quanto l’organizzazione mafiosa esercita sui cosiddetti “padroncini” un controllo gerarchico. Basti riportare ciò che elenca la Commissione:

1) la sentenza del Gup di Milano del 28 ottobre 2010 nel procedimento Parco Sud, confermata dalla Corte d’Appello, con sentenza del 12 gennaio 2012 nei confronti del clan mafioso che fa capo a Domenico Barbaro e a suo figlio Salvatore, che ne era il braccio operativo, i quali operavano nel territorio del comune di Buccinasco e zone limitrofe, presentandosi come prosecuzione della consorteria dei Papalia (Domenico, Antonio e Rocco, tutti già condannati nel processo Nord-Sud per il medesimo delitto di associazione mafiosa);

2) l’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Milano del 6 luglio 2010, nel cosiddetto procedimento Tenacia, nei confronti di Salvatore Strangio e di altri indagati, i quali per conto delle ’ndrine di Platì e di Natile di Careri avevano acquisito il controllo delle società del gruppo Perego;

3) l’ordinanza di custodia cautelare del Gip di Milano del 3 marzo 2011, nel cosiddetto procedimento Caposaldo, nei confronti di Giuseppe Romeo e di Giuseppe Flachi, a capo di due famiglie mafiose che lavoravano in sinergia.

Invero, si legge con sgomento nella relazione della Commissione parlamentare, la presenza dei “padroncini calabresi”, ovvero dei proprietari o gestori in leasing di camion di origine calabrese, «presenti in pressoché tutti i cantieri costituisce un problema socio/politico, prima che giudiziario, in quanto massa di manovra delle famiglie calabresi operanti al Nord».

Tutti i provvedimenti esaminati mettono in evidenza il ruolo che i clan calabresi esercitano sui “padroncini calabresi”, intervenendo a regolare il numero dei carichi di terra mista (composta di sassi e sabbia e utilizzata nel settore edilizio per i riempimenti), di grande valore commerciale, che ciascun padroncino poteva effettuare. Ciò al fine di non pregiudicare il carico/scarico di “terra non mista” e di rifiuti da demolizione e da scavo – privi di valore commerciale e per di più gravati da oneri di smaltimento – che i padroncini sono tenuti ad effettuare nei vari cantieri di competenza del clan mafioso di turno ma che, nell’assenza di un particolare tornaconto, fanno di tutto pur di sottrarsi.

Accadeva infatti – e sicuramente accade tuttora sottolineano i commissari parlamentari – che nei cantieri occupati dai “padroncini calabresi” vige l’anarchia, posto che costoro, quando operano in modo indipendente, organizzano il lavoro esclusivamente secondo i propri interessi, e non secondo le esigenze dei cantieri in cui lavorano, con la conseguenza che caricano sui loro camion esclusivamente “terra mista” di qualità, abbandonando in loco le macerie e la “terra sporca”.

L’intervento di autorevoli esponenti delle varie famiglie calabresi, nel caso di specie la relazione elenca i Barbaro, Strangio, Romeo, Paparo e i loro sodali, era ed è tuttora in grado di riportare l’ordine. In caso contrario il committente si trova esposto alla mercé dei singoli padroncini, ciascuno dei quali si accaparra il lavoro più conveniente, diventando sostanzialmente ingestibile.

La conclusione incredibile dei commissari è che «solo la ’ndrangheta è in grado di imporre una disciplina nei cantieri in cui operano i  padroncini calabresi e, tuttavia, si tratta di disciplina che ha un costo, posto che i capi cosca effettuano trattenute sulle prestazioni dei cosiddetti padroncini da loro chiamati a lavorare nei cantieri di cui hanno acquisito il controllo».

In tal modo, l’organizzazione mafiosa esercita sui cosiddetti “padroncini” un controllo gerarchico.

Naturalmente, la ’ndrangheta interveniva e interviene anche sullo smaltimento delle macerie e della “terra sporca”, posto che lo smaltimento veniva e viene effettuato in modo assolutamente illegale e, cioè, non nelle apposite discariche, bensì nei siti più disparati e conseguente inquinamento di cave, terreni e falde, con il coordinamento delle famiglie mafiose in costante contatto telefonico con ciascun autista per suggerire siti ed evitare i controlli dei Carabinieri o dell’Arpa.

IL PASSAGGIO ALLA POLITICA

In tale contesto, il passaggio della ’ndrangheta dal settore economico a quello politico diventa molto breve e del tutto automatico, si legge nelle 340 pagine della relazione, anche in virtù dei consensi elettorali che la ’ndrangheta è in grado di procacciare e il riferimento ai “padroncini calabresi” non è casuale.

E questo spiega i rapporti tra i mafiosi e alcuni referenti politici a livello regionale, come è emerso in numerose inchieste giudiziarie.

Del resto, è almeno dagli anni ottanta – periodo consacrato, dal punto di vista giudiziario, nel 1997 in primo grado negli atti del cosiddetto processo Nord-Sud – che la presenza incontrastata della ’ndrangheta nel movimento terra è un fatto acquisito. Diceva il collaboratore di giustizia Salvatore Morabito nel processo Nord-Sud: «Credo che sia il caso di ricordare che l’organizzazione di cui facevo parte era, e lo è ancora oggi, di puro carattere mafioso. Nonostante i maggiori esponenti si trovino in carcere in questo momento, essa continua a proliferare in ogni campo».

Purtroppo, ancora oggi, come emerge chiaramente dai procedimenti penali in corso, si legge sempre nella relazione conclusiva sulla Lombardia, ciò è assolutamente vero ed è reso possibile dalla particolare struttura con cui la ’ndrangheta opera, anche nel Nord, posto che – come si vedrà di seguito nel dettaglio – pur tra contrasti interni e individualismi vari, la ’ndrangheta coniuga una disciplina di stampo paramilitare con rapporti di carattere familistico e di sangue, sempre rigorosamente tra calabresi.

1 – to be continued (si vedano anche le puntate pubblicate su questo blog il 17 e ieri, 21 gennaio)

r.galullo@ilsole24ore.com