Alla Cattolica di Milano gli effetti della corruzione sulla spesa pubblica e sul decentramento fiscale: il Sud ne esce a pezzi

La Cattolica di Milano non si tira indietro di fronte al dilagare dell’illegalità. Questa mattina, infatti, nell’Università milanese va in scena la giornata di studi “ Crimine e corruzione tra livelli di potere e rappresentanza politica”.

I professori, si sa, amano parlare, parlare, parlare. Stringi stringi, però, la sintesi è impietosa.

Prendete lo studio su “corruzione e crescita” che viene presentato da Emma Galli, della Sapienza di Roma. Con due colleghe (Nadia Fiorino dell’Università dell’Aquila e Ilaria Petrarca di quella di Verona) ha messo sotto la lente 24 anni (dal 1980 al 2004) di percorso socio-economico nelle regioni.

La domanda dalla quale sono partite per il loro studio è stata: “E’ possibile ricondurre i differenziali di sviluppo che caratterizzano le economie delle regioni italiane anche alla corruzione pubblica?”

La conclusione è scontata: “Le nostre stime evidenziano l’esistenza di una robusta correlazione negativa tra corruzione e crescita economica. La relazione negativa è riscontrata sia per valori bassi di corruzione che per valori alti – si legge nel rapporto – suggerendo che il livello di corruzione nel nostro Paese è così elevato da non rappresentare un mero meccanismo di fluidificazione della burocrazia bensì un vero e proprio ostacolo alla crescita”.

In particolare lo studio stima che se il numero di crimini individuali (ad esempio il peculato, in virtù del quale il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria;) per milione di abitanti aumenta del 1%, la crescita economica diminuisce di circa l'8%.

Lo studio evidenzia, infine, che laddove i livelli di corruzione sono particolarmente elevati, l’impatto generalmente positivo della spesa pubblica sulla crescita risulta completamente neutralizzato. A parità di spesa, infatti, un aumento della corruzione riduce la crescita del 4,5%”.

LA SELEZIONE DEI POLITICI

Sulla selezione dei politici, sposata al cammino del federalismo fiscale, interviene invece Massimo Bordignon, della Cattolica Milano, che ne ha studiato gli effetti con Matteo Gamalerio della University of Warwick (Uk) e Gilberto Turati, dell’Università di Torino.

Dove i cittadini coprono una grossa fetta dei costi dei servizi che vengono prodotti a livello locale con risorse locali, il federalismo sembra davvero funzionare come meccanismo responsabilizzante per i politici locali. Dove, al contrario, i trasferimenti dal centro sono ancora una importante fonte di finanziamento, il meccanismo di responsabilizzazione non funziona, lasciando spazio ancora alla corruzione e all’impiego inefficiente delle risorse.

Le evidenze empiriche disponibili per l’Italia e per altri Paesi – spiega Bordignonvanno esattamente in questa direzione: lo sbilanciamento verticale è una condizione perché il decentramento fiscale rappresenti davvero un meccanismo responsabilizzante”.

La questione che viene affrontata nello studio è perché lo sbilanciamento verticale conta. La spiegazione sulla quale ci si concentra è che la qualità della classe politica a livello locale dipende dal grado di sbilanciamento verticale: dove il finanziamento dei servizi avviene ancora consistentemente con fondi dal centro, i “migliori” politici sono quelli che riescono ad attrarre maggiori risorse, quelli con più connessioni a livello politico. Dove, al contrario, il finanziamento dei servizi è basato sulle imposte raccolte a livello locale, i “migliori” politici sono quelli che riescono a gestire meglio le risorse locali, dei “buoni amministratori”.

IL TEST

Questa spiegazione è testata guardando ai sindaci dei capoluoghi di provincia italiani, sfruttando l’introduzione dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici) che ha ridotto lo sbilanciamento verticale in modo consistente solo in alcuni comuni (principalmente quelli delle regioni del Centro-Nord). I risultati del lavoro mostrano come effettivamente ci sia stata una modifica della qualità della classe politica differente a seconda del grado di sbilanciamento verticale. In particolare, rispetto ai comuni dove permane un forte sbilanciamento verticale, nei comuni dove il meccanismo di responsabilizzazione funziona, si osserva: un incremento consistente del numero di sindaci “buoni amministratori” (+ 26,4% tra il 1988 e il 1997 nel numero di sindaci che provengono da professioni come imprenditore, direttore, ingegnere, commercialista, avvocato, notaio, professore universitario); una riduzione della loro “esperienza politica” (-4,4% tra il 1988 e il 1997 negli anni di esperienza politica sul totale degli anni di lavoro); un aumento della qualità dei servizi (+1,5% nella percentuale di raccolta differenziata, sempre tra il 1988 e il 1997).

Questo risultato non dipende né da Mani Pulite – conclude Bordignonche ha cambiato drasticamente il panorama politico nazionale, né dall’introduzione di nuove regole elettorali, che possono aver influenzato anche le spese per la campagna elettorale, restando effettivamente legato alla “qualità” del decentramento fiscale”.

DECENTRAMENTO FISCALE

Basterebbe già questo per giustificare una giornata di studi ma la Cattolica di Milano presenterà anche uno studio sul decentramento fiscale al Sud, condotto da Sergio Beraldo dell’Università Federico II Napoli e Massimiliano Piacenza e Gilberto Turati dell’Università di Torino. Le premesse dalle quali sono partite sono due: più i cittadini finanziano con risorse proprie i servizi consumati a livello locale, più è bassa l’inefficienza della spesa. Una seconda condizione perché il decentramento fiscale responsabilizzi davvero i politici a livello locale è la qualità dell’ambiente istituzionale: dove l’ambiente istituzionale è “debole”, la responsabilizzazione può cedere il passo alla “cattura” dei politici da parte di oligarchi o elite locali. La distorsione delle risorse a favore di queste oligarchie può riflettere disuguaglianze nella ricchezza, nel grado di istruzione, nello status sociale, nelle connessioni politiche, nel controllo sui mezzi di informazione, o semplicemente nella forza fra questi gruppi e gli altri cittadini.

E quali sono le “oligarchie” che al Sud basano il loro potere sulle differenze in termini di ricchezza, status sociale percepito e forza? La risposta è scontata: le mafie, che possono “catturare” i politici locali e influenzare per questa via la gestione delle risorse a livello locale, vanificando i potenziali effetti benefici del decentramento fiscale in termini di responsabilizzazione.

Per fare in modo che non rimangano solo teorie, i tre professori hanno messo sotto la lente la legge 221/91 che consente di identificare i governi locali “catturati” perché impone lo scioglimento del consiglio comunale in pres
enza di infiltrazioni mafiose. Finora si registrano 201 casi di scioglimento, più di un quarto dei quali in Campania.

LA CAMPANIA SOTTO LA LENTE

I tre docenti si sono concentrati su tre province campane e sono partiti dall’abolizione dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici) sulla prima casa per capire se e come il decentramento fiscale impatta sulla gestione delle risorse comunali a seconda dell’ambiente istituzionale.

I risultati del lavoro suggeriscono che l’aumento dello sbilanciamento verticale conseguente alla riduzione dell’Ici non ha avuto alcun effetto sui comuni sciolti per mafia, mentre ha comportato un consistente incremento della spesa nei comuni non sciolti. Il risultato sembra suggerire che la responsabilizzazione funziona solo in presenza di un ambiente istituzionale sano e forte.

I risultati delle stime tra il 2003 e il 2009 mostrano in particolare che eliminando l’Ici si rinuncia a potenziali risparmi di 54 euro pro-capite nei comuni sani rispetto a quelli infiltrati. Inoltre, sul campione, risulta che in media i comuni non mafiosi raccolgono una quantità di rifiuti più di 6 volte superiore rispetto a quelli mafiosi (4 tonnellate contro 0.66) a conferma del processo di responsabilizzazione dei comuni non mafiosi.

Raul Caruso, dell’Università Cattolica ha analizzato infine il legame tra le opportunità economiche e le estorsioni. I dati pubblicati dall’Istat indicano che nel periodo 2004-2010 le estorsioni in Italia sono aumentate dell’11% su tutto il territorio nazionale con profonde differenze a livello regionale (tra le altre Lombardia +31,1%, Liguria +34%, Lazio +26%, Emilia Romagna +1,4%, Umbria -12,2%, Puglia -9,2%). Un primo risultato dimostra che le estorsioni sono legate alla disoccupazione di lunga durata.

r.galullo@ilsole24ore.com