Eureka: accesso agli atti del Comune di Reggio Calabria – Se si scioglie il Municipio sarà l’inferno

Voglio essere subito chiaro in modo che non ci siano equivoci. Considero (purtroppo, per la rabbia amorosa o per l’amore rabbioso che provo per questa terra che ha dato il 50% del sangue ai miei figli) la Calabria una regione persa. Un cancro per il Paese. Per l’Europa intera. Vogliamo (non) esagerare? Prima o poi del mondo intero. E la colpa è -  a parte le volontarie e interessate connivenze fuori regione – solo dei calabresi. Ripeto: solo dei calabresi.

Dagli anni Sessanta ha esportato massicciamente mafia e ha importato – come il resto del Sud – risorse pubbliche dissipate in mille rivoli senza sviluppo e senza futuro, nella colpevole indifferenza della gran parte di voi, cari calabresi. Ovunque voi siate. Vicini o lontani dalla vostra amata terra.

Ma attenzione: questa è stata (è ancora) la sorte migliore. La gran parte del fiume rigoglioso di denari è andato direttamente nelle tasche dei clan e della politica marcia. Ha arricchito le canaglie e le sanguisughe. I bastardi della miscela esplosiva ‘ndrangheta-massoneria deviata-politica marcia.

Il fiume di denaro – per paradosso mortale – ha impoverito la brava gente che ha rincorso e ancora oggi rincorre le sottane dei politici, per un posto di lavoro che diritto non è. Favore. Ecco cos’è: favore. E il favore in Calabria si paga due volte.

Anche la brava gente – tanta e tanti ne conosco – ha adorato e implorato i politici-boss e i boss-politici e ha venduto l’anima al diavolo. La brava gente ha distrutto per sempre questa terra. Per sempre. La colpa – prima ancora dei “cattivi” – è dei “buoni”, che si sono girati dall’altra parte. Spesso piangendo lacrime vere. Altre di coccodrillo. Ho ancora negli occhi una scena pietosa vissuta anni e anni fa quando sul lungomare di Diamante, ali di folla si aprivano per fare spazio ad un presunto politico che veniva riverito come San Francesco di Paola. Baciamano, implorazioni, tentativi di avvicinarlo, baci e saluti, respinti con il ghigno di chi tutto poteva. Una scena disgustosa che non dimenticherò mai.

Ma quale sviluppo e quale futuro volete che abbia una terra che da Scalea a San Giovanni, da Cassano a Siderno è una colata di cemento soffocante, mare da bere (sic!) come ebbe a dire nel 2008 il presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio (e per questo reso celebre tanto da girare il mondo) e turismo inventato. Ma quale futuro e quale sviluppo volete che possa avere una regione in cui tra il 70% e l’80% dei commercianti e degli imprenditori paga il pizzo ma il 94% di loro dichiara che a loro il pizzo non lo ha mai chiesto nessuno! Ma quale futuro e quale sviluppo volete che abbia una regione in cui il Porto di Gioia Tauro, ormai gioiello da Monte dei pegni, agonizza e le imprese vivono quasi solo di soldi pubblici.

Ma quale futuro e quale sviluppo volete che abbia una regione in cui i magistrati antimafia si fanno la guerra! Quelli antimafia capite!

Ma quale futuro volete che abbia una regione in cui – come hanno splendidamente raccontato Paolo Pollichieni e i suoi ragazzi del Corriere della Calabria nel volume “Casta Calabra” – la politica non è casta: è divinità che tutto può.

Quale futuro e quale sviluppo volete che abbia una terra in cui il terziario non solo non è avanzato ma è arretrato e in cui la larga banda diventa “banda larga”. Solo che non si tratta di cavi ad alto potenziale di trasmissione-dati ma di gang criminali ad alto potenziale di trasmissione-morte. Ma quale futuro e quale sviluppo volete che possa avere una regione che ha i politici che ha. E che ha la classe dirigente – ovunque – che ha.

Questa Calabria andava (va?) bene a tutti: l’Italia (finora) e l’Europa (fino al 2013) sono due polmoni economici che fanno ingrassare le vacche calabresi e in cambio dell’ossigeno finanziario restituiscono, come una fotosintesi clorofilliana contraria e mortale, voti clientelari. A destra e a manca. In Calabria la distinzione di colore politico non esiste.

L’Italia – proprio in virtù dello scambio asfittico-clientelare – continua (non so per quanto) a tollerare questa regione benedetta da Dio e maledetta dagli uomini. L’Europa, invece, da tempo si è stancata degli “italiani-soppressata”.

Me lo vedo già il calabrese che si incazza per quanto sto scrivendo: ma come si permette? Ma chi cazz’ è ‘sto Galullo per sputare sentenze. Siamo magna pars della Magna Grecia. Siamo la patria di Pitagora e di Gioacchino da Fiore. Siamo la terra di Corrado Alvaro e del giudice Antonino Scopelliti. Siamo partiti con la valigia di cartone e abbiamo contribuito alla ricchezza del nord Italia come alla ricchezza della Germania, del Lazio, come quella della West Virginia, Stato federato degli Usa dove i politici locali ogni anno si recano in pellegrinaggio per vitali (!) accordi bilaterali di collaborazione e grassi mangiate e danze a ritmo di “calabrisella mia sciuru d’amuri tirullaleru, lalleru, la la, sta calabrisella muriri e mi fa”.

Bene cullatevi del passato. Anche io avevo 20 anni, un mare di capelli neri e spalle forgiate dal nuoto. Oggi ne ho 49, tanti capelli neri in cui spuntano sempre più minacciosi quelli grigi e ‘na panza che è possibile accompagnarci la banda del paese spacciandola per grancassa.

La Calabria non è più Pitagora. E’ Pesce. Non è più Gioacchino da Fiore. E’ Morabito. Non è più Telesio. E’De Stefano. Non è più il giudice Scopelliti. E’Condello. E non è più nemmeno il tempo del brigante Musolino. Oggi imperversa Alvaro. Che non è Corrado. Questo è il volto della Calabria – attenzione – non tanto e non solo a Rosarno, Reggio, Locri o Gioia. Ma in Italia. In Europa. Nel mondo. I calabresi continuano a tirare su case e palazzi, negozi e botteghe, imprese e finanziarie. Vero. Solo che non lo fanno più spezzandosi le ossa, vivendo a Via Veglia a Torino peggio dei neri a Rosarno, buttando il sangue e morendo cadendo da un ponteggio. Oggi – per la maggior parte – quei mattoni e quel cemento sono il frutto del riciclaggio e della corruzione. Forse – amici miei – non vi siete accorti che l’economia e la finanza criminale calabrese stanno divorando l’economia sana. Da Torino a Reggio Emilia, da Milano a Modena dove il mio amico Giovanni Tizian, calabrese figlio di calabresi morti per mafia, è costretto a vivere con la scorta. A Modena, capite! A Modena (si veda post del 13 gennaio in archivio).

Queste cose ho detto e scritto mille volte. Ergo: nessuna novità ma è meglio riaffermarli certi concetti. Così, tanto per far capire a certi politicazzi che non arretro di un millimetro di fronte alle loro minacce.

Abbandonata dagli uomini, la Calabria comincia a essere abbandonata anche da Dio, come dimostra anche il viaggio di Papa Ratzinger a Lamezia Terme nell'ottobre 2011. Privo di pathos e colmo di pietas cristiana ma nulla più. Forse, chissà, il filo diretto con Nostro Signore deve aver convinto anche Sua Santità che la Calabria è il filo spinato che cinge la testa della nostra povera Patria (si vedano in archivio i post dell’
8 e del 10 ottobre).

VIVA L' ACCESSO

Ma in questo mare di melma in cui soffoca la Calabria ho una speranza. Una speranza in quello Stato che ha dato la forza ad un ministro donna – Anna Maria Cancellieri alla guida del Viminale – di decidere l’accesso agli atti del Comune di Reggio Calabria per verificarne le possibili infilitrazioni mafiose. Sono stato forse il primo giornalista – quasi un anno e mezzo fa! – ad auspicarlo e a chiederlo sulla base non della filigrana ma dell’evidenza di un Comune alle prese con tanti, troppi casi inquietanti. Inutile rievocarli tutti. Sono troppi. E’ impossibile. E comunque l’archivio di questo blog e del Sole-24 Ore tracima dei miei articoli e delle mie analisi su Reggio e sulla Calabria. Paolo Pollichieni scrive su www.corrieredellacalabria.it che la notizia – che loro hanno tenacemente seguito – va gridata. Di più Paolo: va goduta da chi, come me, non è mai arretrato di un millimetro di fronte alle recenti intimidazioni di ogni tipo.

In uno di questi miei articoli auspicavo che la politica tutta calabrese e nazionale, senza distinzione di colore (potete da questo capire quanto il fanciullino ancora alberghi in me) si battesse per l’accesso antimafia agli atti del Comune. Quale miglior maniera per dimostrare la trasparenza di una gestione che è stata per lungo tempo sbandierata come un “modello”? Se lo è, prego. Accomodatevi. Siamo qui per questo. Il Comune è una casa di vetro. Il vetro di Scopelliti Beppe.

E invece sono stato deriso, attaccato, insultato. Risate e attacchi che mi rendono ancor più forte, al punto da chiedere che Nostra Signora del Viminale porti anche un accesso agli atti di altre (e alte) assemblee amministrative. Sarebbe un miracolo e per i miracoli i comuni mortali non sono attrezzati. Quel mio auspicio – limpido e pulito – restò a lungo isolato. Pochi politici tirarono fuori gli attributi per metterli sul tavolo. Tra questi due donne parlamentari: Angela Napoli (Fli) e Doris Lo Moro (Pd). Ivan Tripodi (Pdci), che io ricordi, è stato il primo uomo a chiederlo. Per il resto un’agghiacciante silenzio. Paura e connivenza allo stato puro. Non è un caso che in un comunicato stampa semplicemente spettacolare, ieri il gruppo consiliare Pdl a Palazzo San Giorgio si sia scagliato incredibilmente contro la libera stampa (ancora una volta) Angela Napoli, Ivan Tripodi (irripetibile ciò che si legge) e il Pd (ma quale Pd che non esiste a Reggio!). Un comunicato stampa disperato e disperante. Il tentativo – non sarà l’ultimo – di dibattersi per non morire.

Non so quale sarà l’esito dell’accesso – e pregherò Iddio che porti alla luce la verginità di ogni pagina e di ogni parola di ogni singolo atto – ma so per certa una cosa. A Reggio un potere sta crollando. Non so se troverà le stampelle per reggersi. E anche se le troverà correrà il rischio di trovarle rose dai tarli. Appoggiandovisi, allora, crollerà. Cercheranno tutti – potere politico, magistratura, classe dirigente – di strapparle agli altri le stampelle. Ma il primo che prenderà le stampelle tarlate trascinerà appresso tutti gli altri. Come un domino. Accadrà? Non lo so ma lo spero. Anche se sono certo che la cupola mafia-massoneria deviata-politica marcia ha ancora le sue carte da giocare. Molte avvelenate e le prime voleranno sui tavoli degli uffici giudiziari quando Pignatone Giuseppe sarà volato alla Procura di Roma.

r.galullo@ilsole24ore.com

P.S. Potete acquistare il mio libro: “Vicini di mafia – Storie di società ed economie criminali della porta accanto” online su www.shopping24.ilsole24ore.com con lo sconto del 10% e senza spese di spedizione

  • galullo |

    Senta Arcidiaco
    il fatto stesso che lei pensasse che io non accettassi le controrepliche la dice lunga su quanto possa conoscermi: zero. Delle due l’una: o io in questi anni (visto che lei dice che mi segue) non sono riuscito a far capire chi sono e quanta indipendenza abbia o lei non ha capito nulla della mia libertà assoluta. Si dia lei la risposta (retorica).
    Fatta questa premessa la distanza che passa tra un pubblicista e un professionista è come quella che passa tra il giorno e la notte. Lei per avvalorare che siamo tutti uguali (e così non è) porta avanti il caso trito e ritrito degli “schiavi” sfruttati nelle redazioni. E’ ovvio che costoro sono giornalisti, ci mancherebbe, e auguro loro di spezzare le catene, portare il datore di lavoro davanti a un Tribunale e farsi riconoscere i propri diritti. Come ho fatto io – caro pubblicista Arcidiaco -che ho portato la Cisl davanti a un giudice per farmi riconoscere la mia qualifica di caposervizio (avevo 23 anni) davanti a un giudice. E ho vinto ah se o vinto. E ho vinto anche contro chi diceva: “non farlo, la Cisl è potente, poi pagherai questo tuo gesto, nessun giornale ti assumerà”. Ed eccomi qua: al Sole da 17 anni senza aver mai dovuto piegare la testa davanti a nessuno e ne sono buoni testimoni tutti (e dico tutti) i direttori che ho avuto in questi anni.
    Detto questo il resto del suo ragionamento semplicemente mi repelle: lei sarebbe più libero di me? Ma come si permette? Io scrivo e parlo nella libertà più assoluta. Nessuno e dico nessuno si è mai permesso di suggerirmi A e B e se lei mi conoscese davvero (ma non conosce neppure un dito della mia professione e della mia professionalità) saprebbe quanti mal di pancia ho fatto venire a Confindustria per le mie inchieste! Ma che ne vuole sapere lei, ma perchè parla di cose che non conosce?
    A me le polemiche con persone come lei non disturbano affatto: mi esaltano. Io le persone con le quali stare in baricata le scelgo una per una e io e lei non ci siamo mai conosciuti.
    cari saluti
    roberto galullo

  • franco arcidiaco |

    Buonasera Galullo non le ho risposto subito perchè pensavo che le controrepliche non fossero gradite, ma poi ho visto che lei le accetta di buon grado e quindi desidero dirle che mi ha lasciato veramente basito il suo odioso distinguo tra pubblicisti e professionisti; ma cosa intende dire? Ma ha idea di quanti bravi ragazzi lavorano nelle redazioni dei giornali di tutt’italia (e non solo della Calabria) supersfruttati per pochi centesimi a pezzo? Ma lei quando ha cominciato a scrivere è partito da professionista? Per quanto mi riguarda sono rimasto pubblicista perchè sono sempre stato dipendente solo di me stesso. Collaboro (gratuitamente per mia scelta) con Il Quotidiano della Calabria e TeleReggio in piena libertà e autonomia e vivo con il mio lavoro di editore. Si informi che cosa ha significato per un decennio in questa città il mio giornale Laltrareggio! Veda Galullo lei si vanta (giustamente) dei numeri prodotti dal suo blog e del valore delle sue denunce e delle sue inchieste (tra l’altro contrariamente a quello che lei pensa io la seguo da un pezzo sia sul giornale che a Radio 24); ma tra di noi c’è una differenza: io dipendo solo da me stesso e sono libero di scrivere e di pubblicare quello che voglio, lei è un dipendente (sia pure prestigioso e di prima fila) di un’istituzione quale la Confindustria che non si può certo considerare un’isola felice di trasparenza, correttezza e legalità. Se un giorno dovesse mettere le mani su qualche affare scottante riguardante un dirigente di Confindustria (e non mi venga a dire che in questi anni non gliene saranno capitati) come si comporterebbe? Nessuno mette in discussione il suo valore, ma un bagno di umiltà forse le gioverebbe.
    Ad ogni buon conto, mi creda, questa polemica mi disturba, come mi disturbano tutte le polemiche e le diatribe tra persone che stanno dalla stessa parte della barricata.
    Franco Arcidiaco

  • galullo |

    Cara Dionisia (a proposito Dionisia chi? Io ci metto faccia, nome e cognome. Lei un nome. Un po’ pochino mi pare),
    oh il sarcasmo c’è eccome, non fingo mica sa quando scrivo ma guardi che non c’è alcun raffinato razzismo, al contrario è dire in faccio ciò che penso: nella sua terra e spesso in tutto il sud la censura delle diverse opinioni, soprattutto quando sono scomode e non allineate, è purtroppo un dato di fatto. Se ne faccia una ragione. Le piaccia o meno. E’inutile che provi a fare raffinati discorsi sociologici. Se non avesse purtroppo a che fare con questo non si sarebbe mai permessa di strillare come un’aquila che non le pubblicavo il commento! A me lo viene a dire! Ma crede davvero che abbia timore a confrontarmi con chi – come lei – non riesce a mettere in fila un ragionamento uno per contrastare quel che io penso e liberamente esprimo sulla sua terra (fino a che ci sarà democrazia).
    Io generalizzo? Io ho raccontato circostanze e fatti incontrovertibili altro che generalizzazioni. E non da ieri: ergo sa come la penso se, come dice ma non ci credo, legge da tempo ciò che scrivo. E saprebbe quanti fatti – altro che facili operazioni mediatiche! – ho messo in fila in questi anni. E lei con cosa risponde? Con un pistolozzo lungo quanto la circonferenza del globo terracqueo in cui non sa altro che dire cose che non ho mai detto (i calabresi sono tutti mafiosi) ed è ovviamente costretta a notare – solo ora ohibo! – i fatti che ho analizzato (da tempo, signorina, da tempo) su Reggio. Si arrabbia però se qualcuno le fa notare che la Calabria oggi – nell’opinione pubblica – non è più quella culla della civiltà di un tempo ma ben altro (ciò che ho descritto). E’ quello il vero volto della Calabria? Ovvio che no anche se lei mi attribuisce questo pensiero. Ma – ripeto – in Italia e nel mondo la Calabria mortale prevale sulla Calabria vitale. Non è vero? Riesce a dimostrare il contrario? Non è forse un cancro quello di chi, nella vostra terra, non ha portato sviluppo ma ha mangiato e drenato risorse? Vuole una foto? Ce ne sono migliaia: basta che si fa un giro nell’area industriale (probabilmente non sa nemmeno dove è) di San Ferdinando. Capannoni costruiti nel deserto che non hanno dato un posto di lavoro. Non è cancro quello? Come lo chiama gentilmente? Innocente e casuale (casualissima) distrazione di risorse? La sua terra è piena di questo apra gli occhi e se è piena vuol dire che c’è una metastasi! Una metastasi che chi ha distrutto la sua regione (morta per sempre che se ne accorga o meno) sta esportando in tutta Italia e in Europa perché riciclare soldi sporchi e insanguinati vuol dire far morire l’economia legale e spegnere le società. Ma dove vive Dionisia non-so-.chi, dove vive! Potrei continuare ma mi fermo perché mi sono annoiato e si annoiano i lettori. Ora basta e chiudo qui. Dunque non dica che la censuro: non posso continuare a leggere quello che è il suo pensiero già espresso e io a riaffermare le stesse cose. E mi raccomando, quanto alla autocritica interna a voi giovani (lei, che non legge ciò che scrivo ma coglie solo quello che vuole non si è nemmeno accorta che fanciullino è un termine, positivo, che ho usato anche per descrivere me stesso) continuate a farla. Intanto la Calabria muore. Che le piaccia o meno. Che io le piaccia o meno.

  • galullo |

    Caro Oscar
    ora la seguo volentieri nei suoi ragionamenti. Come vede il fine ultimo è lo stesso: scrollare una terra che entrambi amiamo
    saluti

  • Dionisia |

    Il sarcasmo saccente venato di (non ci dica il contrario) raffinato razzismo e autoapologetico, con cui fa continui riferimenti al nesso “provenienza geografica” – “qualità morali” anche nel suo commento (tipo, il riflesso pavloviano associato alla mia terra, ecc) conferma la mia critica.
    Non posso criticare una sola cosa di quello che scrive? Direi proprio di no. Trovo molto dubbi i parallelismi, meglio, i paradossi kitsch e arbitrari tra gli illustri calabresi del passato e gli infidi attuali – si tratta di un’operazione retorica autoreferenziale e gratuita dal facile effetto presso il lettore qualunquista; ma soprattutto l’operazione logica e morale che presiede alla definizione (e a tutto il suo sostrato ideologico) di “italiani soppressata” imprenditori dell’export mafioso universale.
    Finché fa i nomi e i cognomi non possiamo che appoggiarla. Finché parla di fatti non possiamo che seguirla con interesse e attenzione. Ben vengano analisi su situazione terribile che viviamo. QUando invece spara a zero, generalizza e di nuovo stabilisce un nesso tra le qualità morali e la provenienza geografica, con “cadute di stile” di cui l’espressione “italiani soppressata” è un clamoroso esempio, allora perde di credibilità, e siamo alla fuffa non al giornalismo. Una fuffa tanto più pericolosa in quanto fomenta i luoghi comuni amici dello status quo della calabria, con gli strumenti potenti della comunicazione mediatica con sopra il sigillo autorevole del Sole24ore.
    Proprio il suo invito ai “fatti” è contraddittorio. I fatti sono che tutti questi mafiosi sono calabresi, certo, ma le conclusioni logiche non sono fatti, sono conclusioni logiche arbitrarie: “i calabresi sono il cancro della società!”. Mi dica, ha una foto che possa ritrarci questi “fatti”?
    Sullo scioglimento del comune non dico nulla perché ha adempiuto al suo dovere giornalistico. Quello che definisce “cuore del ragionamento” è l’unico aspetto che si salva del “ragionamento”, perché informa.
    Che non “ci” (perché parla al plurale? Io parlo per me: di nuovo, il blocco sociale indistinto!) / mi piaccia sentirmi dire le storture che attanagliano la mia terra, ciò è fuor di dubbio, come non piace a nessuno – credo – ; ciò non significa che non faccia dell’informazione su quanto mi accade intorno una costante delle mie giornate; ma attenzione è proprio questo interesse a farmi arrabbiare di fronte ad articoli come questo. E’ proprio perché sono interessata all’informazione – checché ne dica lei – che malsopporto le facili operazioni concettuali infamanti che informazione certo non sono – e mi creda, non è un mio problema caratteriale, è qualcosa di oggettivo.
    Non credo di dovermi sentire manchevole rispetto al non aver passato i miei giorni a leggere l’ampia letteratura che lei ha prodotto sull’argomento (sappia anzi che rientrava il suo blog tra i link del mio e che l’ho seguita spesso altroché), ogni articolo è una cosa a sé e per giustificarsi e legittimarsi deve ricorrere a se stesso; non può chiedere a tutti i lettori di leggere tutto quello che ha scritto per dare un senso a ogni tassello del suo mosaico letterario; non è che siccome informiamo sempre una volta possiamo permetterci di non informare indulgendo a opinioni soggettive di carattere offensivo. Lei in questo articolo, ripeto, mostra disprezzo per una categoria sociale (che per lei è anche morale, ecc) e ciò è tanto più grave in quanto si tratta di un blog molto seguito, che gli altri conterranei – non tutti per fortuna – si affrettano ad applaudire.
    Rida, dall’alto dei suoi 25 anni di esperienza; l’aria sprezzante che mostra nei confronti della popolazione calabrese intesa come blocco sociale indistinto non è migliore della mia rabbia. Come lei mi invita a rilassarmi, io invito lei a mitigare tanto disprezzo che ha poco di giornalistico e poco di professionale.
    Infine l’autocritica della ribellione è oggetto di costante discussione fra noi giovani calabresi,e continua indignazione: ma lei (per parafrasare il suo commento), questo, non lo sa. Non è nella sede sprezzante che lei ci offre che i calabresi devono interrogarsi sulle modalità della ribellione.
    Infine, riguardo al paternalistico-sprezzante “fanciullina” lo rimando cortesemente al mittente: il fatto che sia donna e che sia giovane le ispira le stesse operazioni logiche di cui sopra: stavolta, lo stereotipo della fanciullina.

  Post Precedente
Post Successivo