La Procura generale di Reggio Calabria ha rotto il patto tra professionisti, magistrati, cosche e servizi: il pentito Marino lo dirà?

A Reggio Calabria, dove sono stato nei giorni scorsi (si veda il mio post di ieri) accade che un nuovo pentito (la cui attendibilità non sta a me giudicare), Marco Marino, secondo quel che fonti privilegiate mi confermano, potrebbe raccontare quel che (per diversi profili ovviamente) io sto scrivendo da anni perché frutto della pura e banale logica: le bombe nella notte tra il 2 e il 3 gennaio 2010 e quella sotto casa del Procuratore generale Salvatore Di Landro il 25 agosto non sarebbero altro che due messaggi – l’uno più forte dell’altro – contro il nuovo corso della Procura generale.

Ni vidumu n’appello, “ci vediamo in appello”: questo era ciò che da anni e anni si diceva alla fine di ogni giudizio che in primo grado vedeva soccombere a Reggio Calabria gli interessi delle cosche. E in appello, chissà perché, spesso le cose si raddrizzavano. Questo status quo doveva rimanere: rivoluzionarlo avrebbe significato rompere il patto decennale tra professionisti, alcuni settori della magistratura, cosche e servizi deviati. Punto.

Il pentito potrebbe e, a quanto sembra, vorrebbe raccontare queste cose. Se sono vere non sta a me dirlo e scriverlo.

Uso il condizionale per due motivi. Primo: ne ha accennato alla Procura della Repubblica di Reggio che l’ha, correttamente, stoppato su questo filone. Di ciò che concerne i fatti che riguardano i magistrati come parti offese se ne deve occupare la Procura di Catanzaro.

Secondo: dal 19 settembre – da quando cioè Marino ha espresso la volontà di collaborare con la giustizia – la Procura di Catanzaro non l’ha mai ascoltato.

Strano ma vero e dalla Procura di Catanzaro – che ho personalmente contattato – fanno sapere che non solo non sanno quando lo ascolteranno ma fanno anche sapere che dalla Procura di Reggio Calabria avrebbero ricevuto appena una sintetica nota in cui nessun accenno diretto agli attentati verrebbe fatto. Strano.

Un basso profilo probabilmente voluto ma che stride notevolmente con quel che nei corridoi degli uffici giudiziari calabresi e in alcune stanze del potere romano si racconta, vale a dire che Marino vuole mettere a disposizione la sua verità su ciò che sta dietro la serie di attentati alla Procura generale.

PUZZA DI SERVIZI DEVIATI

Il bazooka dei misteri fatto trovare davanti alla sede della Procura il 5 ottobre 2010 ha avuto verosimilmente il compito di riequilibrare la pressione sugli organi inquirenti e giudiziari ma, al tempo stesso, soprattutto il compito di confondere abilmente le acque. Su quel bazooka le perizie – i cui risultati davanti al Gup di Catanzaro Assunta Maiore dovevano e sono infatti state depositate entro fine ottobre – sono concluse e, incredibile ma vero, non sarebbero state trovate le impronte dell’esperto di armi della cosca, ultimamente, senza territorio (!!!) Lo Giudice, Antonio Cortese, che il nano-Nino Lo Giudice accusa di aver piazzato. Non solo: la voce che annunciava la bomba non sarebbe quella di Cortese.

Se le perizie lo confermeranno ci troveremo così di fronte ad un evento straordinario: un presunto armiere di una cosca che usa i guanti (magari bianchi) per piazzare un bazooka e sollevare una cornetta telefonica per non lasciare impronte, manco fosse Arsenio Lupin e che – attenzione attenzione – non godendo abbastanza di questa fantasmagorica abilità criminale riesce anche a camuffare la voce manco fosse Alighiero Noschese.

A voi non viene da ridere? A me viene da piangere anche perché, se così fosse, sento puzza di servizi deviati lontano un miglio. Chi meglio delle braccia deviate dei servizi segreti che a Reggio sguazzano da sempre avrebbe potuto organizzare una cosa del genere?

LA CHIAVE DI VOLTA: IL PROCESSO RENDE

Ma torniamo a Marino, ritenuto uno dei componenti del commando che il 1° agosto 2007 assaltò il portavalori della Sicurtransport nella zona sud di Reggio Calabria. Nel conflitto a fuoco perse la vita la guardia giurata Luigi Rende.
Nasce così quello che verrà definito il processo Rende che è il primo e inaspettato scoglio con il quale Di Landro deve fare i conti appena arrivato: ottobre 2009.

Marino, insieme ai presunti complici, fu condannato in primo grado e in appello ma poche settimane fa la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado, rimandando il caso a un’altra sezione della Corte d’Assise d’Appello.

Marino potrebbe – se ascoltato dai pm di Catanzaro – disvelare quel che il procuratore generale Salvatore Di Landro ha detto subito e riservatamente con una lettera all’ex ministro alla Giustizia Angelino Alfano: con quel processo egli ha rotto il circuito tra professionisti, ambienti giudiziari, servizi deviati e cosche? L’anello che reggeva la catena era stato spezzato per sempre e questo le cosche non potevano permetterlo? Di qui i doppi attentati la cui seconda data non è affatto casuale: ad agosto Salvatore Di Landro era a Reggio per avere la certezza che il proprio lavoro portasse alla rottura della catena. Una certezza che avrà solo nella prima settimana di agosto. L’attentato arriverà – sembra con ritardo rispetto a ciò che era stato programmato – qualche giorno dopo.

A domani, con l’interrogatorio sulla politica che non avreste dovuto leggere.

r.galullo@ilsole24ore.com

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