I tagli alle indennità di 1.300 uomini e donne della Dia ci sono ma vengono negati dal Governo Berlusconi

La decisione di tagliare le buste paga dei circa 1.300 uomini e donne della Direzione investigativa antimafia fa il giro degli uffici politici e di quelli sindacali. Per il Governo, però, i tagli non esistono.

Ieri una rappresentanza di dipendenti della Dia è scesa in piazza a Roma per protestare contro la previsione – contenuta nel disegno di legge stabilità – di decurtare le indennità. Se attuato, il taglio comporterebbe una riduzione dello stipendio del 20% di redditi ricompresi tra 35mila e 75 mila euro lordi all’anno.

In realtà questa decisione nei confronti della struttura investigativa antimafia – il cui padre nobile è stato Giovanni Falcone – è figlia di un paradosso. A chiedere il taglio alle indennita al Dipartimento di pubblica sicurezza, che ha poi di fatto spianato la strada alla previsione governativa, secondo quanto denunciano i sindacati che ne hanno persino chiesto le dimissioni, è stato il direttore della Dia, Alfonso D’Alfonso, nominato dallo stesso Dipartimento il 16 giugno di quest’anno e che dovrebbe rimanere in carica solo fino a metà 2012.

Sempre ieri, però, il ministro per i Rapporti con il parlamento Elio Vito, rispondendo a un’interrogazione urgente di Rosa Villeco Calipari (Pd) ha affermato che «nessun taglio è interessato alle spese di funzionamento della Dia e resta invariato lo stanziamento di 4 milioni e 900 mila euro. Con il disegno di legge di stabilità si é intervenuti sul trattamento economico aggiuntivo, ristabilendo un principio di equità fra gli operatori di polizia».

A quanto pare questo è solo l’ultimo anello di una lunga catena di paradossi in una struttura che avrebbe dovuto accostarsi ad omologhi organismi investigativi, quali Fbi e Bka, con una forte vocazione al contrasto del crimine organizzato. Due settimane fa le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative hanno inviato una lettera al ministro dell’Interno Roberto Maroni, lamentando la drastica riduzione di risorse economiche. Dal 2001 i fondi sono passati da 28 milioni agli attuali 15 milioni, di cui cinque attinti dal fondo “spese impreviste” del Viminale, “non sufficienti neanche a pagare le spese correnti e i contratti in corso, stimate in nove milioni”, sottolinea Marilina Licordari, rappresentante sindacale della Associazione nazionale funzionari di polizia, in servizio presso Dia.

Nel frattempo i risultati – soprattutto nella lotta ai patrimoni mafiosi – non sono mancati: dal 2009 al primo semestre 2011 i beni sequestrati hanno raggiunto il valore di 5,7 miliardi e quelli confiscati di 1,2 miliardi. “Questi successi rendono la Dia – conclude Licordari – un’azienda in attivo in termini economico-finanziari, che contribuisce in maniera consistente ad implementare le risorse del ministero dell’Interno e della Giustizia attraverso il Fondo unico della giustizia”.

LA PERCEZIONE INTERNA

È chiaro che questa escalation è stata interpretato come una punizione nei confronti di chi, fino ad oggi, ha costantemente raggiunto brillanti risultati di servizio. Le mafie hanno un volume d’affari quantificato in 311 miliardi nei 27 Paesi della Ue, classifica nella quale l’ Italia è seconda, con 81 miliardi, secondo quanto emerso in un convegno tenuto a Napoli a maggio scorso, nel prologo del Festival dell’Economia di Trento. Una stima inferiore alla realtà per la difficoltà di quantificare le risorse sottratte all’economia legale attraverso la corruzione e il controllo di attività illegali. Secondo un dossier della Banca d’Italia intitolato "I costi economici della criminalità organizzata",  le organizzazioni criminali sottraggono al Mezzogiorno il 15% del Pil procapite. I sistemi di contrasto necessitano di continue evoluzioni ed aggiornamenti, in modo da consentire non solo la repressione ma anche soprattutto la prevenzione.

Il Governo – dicono in sostanza i rappresentanti sindacali delle Forze dell’ordine – ha fatto della lotta alla criminalità organizzata uno dei pilastri fondanti della politica sulla sicurezza ma alle parole non ha fatto seguire l’adozione di misure coordinate e di adeguati investimenti.

A fronte di un’organizzazione ormai sempre più strutturata secondo criteri imprenditoriali che fa della pianificazione del proprio agire uno dei pilastri della gestione delle attività illecite – sottolinea Licordarivengono riproposti modelli di contrasto inefficaci, consistenti nell’adozione di misure tampone verso eventi che appaiono gestiti come se si versasse di continuo in una situazione emergenziale. A tale incomprensibile logica risponde la creazione di sempre più numerosi, settoriali, gruppi di lavoro chiamati ad occuparsi di singole realtà criminali, parcellizzando l’attività antimafia, come sta accadendo nel caso degli appalti, materia questa di competenza della Dia, per la ricostruzione dell’Aquila, nel caso dell’Expo Milano 2015, e della Tav, lavori pubblici per i quali sono stati creati, presso la Direzione centrale della polizia criminale, nuovi organismi interforze con notevole dispendio di risorse economiche nonché di personale. A tal proposito si è distaccato personale altamente qualificato della Dia in questi gruppi di lavoro superflui, laddove quella stessa attività è già svolta efficacemente dall’“Osservatorio centrale sugli appalti”, istituito presso la Dia per svolgere l’attività di monitoraggio con riguardo alle opere pubbliche di carattere strategico, individuate ai sensi della legge Obiettivo, istituito per coniugare le esigenze di vigilanza centralizzata con quelle di intervento mirato sul territorio. Inoltre si prospettano ulteriori tagli, e ci si chiede per quale motivo, in questo momento di crisi, invece di intervenire sugli stipendi del personale e sulle risorse destinate alla struttura, il Governo non abbia tenuto in considerazione la possibilità di operare attraverso i risparmi di spesa, conseguenti ad una gestione più oculata delle risorse, operando per esempio sui costi di locazione delle sedi occupate dai Centri operativi oppure dello stabile che ospita Dia, Dcsa e Dcpc, il cui canone di locazione ammonta a circa 17 milioni all’anno”.

r.galullo@ilsole24ore.com

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  • A.N.I.P. Italia Sicura |

    Gentile Redazione, complimenti per l’articolo, rispechia perfettamente l’attuale situazione, però volevo sottolineare che la Direzione Investigativa Antimafia è stata istituita per Legge, la n. 410, il quale prevede il transito dello S.C.O, R.O.S. e G.I.C.O per creare un unico Uffico per la lotta alla criminalità organizzata. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quando era Ministro dell’Interno diede disposizione per l’attuazione. Ad oggi ancora non è stato Fatto. Quanto si risparmierebbe se confluissero tutti nella DIA? Inoltre la Legge costitutiva della DIA prevede che i suoi opeatori venissero posti fuori ruolo, proprio per consentire di operare in modo più completo come l’FBI, il BKA ecc. ecc.. Le sigle Sindacali di base del Centro Operativo della DIA di Roma e della Direzione che si trova presso il polo anagnina, sono stati i primi ad inizio anno, a segnalare che era in corso un cambiamento drastico. Il Governo rispondendo al question time ha paragonato l DIA agli altri uffici dando dimostrazione di non conoscere la legge cistitutiva di questo ufficio. Invito Voi di leggere la Legge costitutiva così da informare più completamente i vostri lettori. La Legge assegna alla DIA una specificità e il TAR del Lazio ha riconosciuto questa specificità dando torto a chi ha fatto ricorso. La domanda a questo punto nasce spontanea: non è che la DIA ha dato o da fastidio a qualcuno della “casta”? Grazie per l’attenzione.

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