I messaggi di Antonio Alvaro a Don Pino De Masi (Libera): la vostra sfida e l’inchino di Sinopoli a Don Micu

Pajechi, Merri, Pallunari, Testazza (o Cudalonga), Carni i cani.

E poi ancora u forgiaru, cupertuni e massaro Mico.

Non è uno scioglilingua (anche se può sembrarlo). Sono le varie “branche” criminali e alcuni dei soprannomi dati a boss incontrastati della cosca Alvaro che da Sinopoli parte e da Sinipoli, a 550 metri dal mare, su su per li primi contrafforti dell’Aspromonte, arriva.

Un testa-coda criminale, con una scia infinita di sangue, morte e potere che si estende a Roma (dove sono stati appena confiscati agli Alvaro 200 milioni di beni tra i quali il famoso Cafè de Paris), nel Nord Italia e all’estero, dall’Europa all’Australia alle Americhe.

Questi sono gli Alvaro, che pur divisi e separati per genie di affari, rappresentano in unicum il gotha della ‘ndrangheta reggina. Famiglia Alvaro che ebbe un ruolo decisivo nell’ultima guerra di mafia reggina dove la loro prepotenza criminale, di volta in volta, si alleava o si scontrava con quella delle cosche Condello, De Stefano, Tegano e Nirta.

Proprio la famiglia Alvaro fu chiamata a garantire per lo schieramento dei condelliani (con i quali sono imparentati) nella pax mafiosa che fu siglata, guarda tu il caso, nel 1992 proprio a Sinopoli. Per i destefaniani, a garantire, era stata la cosca Nirta di San Luca.

Carmine Alvaro è stato uno tra i capi indiscussi dell’organizzazione mafiosa per conto della quale ha gestito le principali attività illecite – come scrivono a pagina 229 di una richiesta di ordinanza di custodia cautelare del 2009 nei confronti di un notissimo politico reggino, che non vedrà mai la luce per spaccature interne alla Procura di Reggio e per chissà quali altri motivi – e segnatamente: traffico di stupefacenti, di armi, estorsioni, omicidi oltre che i più importanti appalti pubblici e privati.

Carmine è nipote del defunto Cosimo detto, indovinate perché, u campusantaru, il patriarca della ‘ndrangheta reggina. A Carmine veniva riconosciuto carisma e doti di leader da tutti e dunque era un garante degli equilibri della ‘ndrangheta.

A Carmine – secondo i magistrati – subentrò Domenico Alvaro, nato a Sinopoli il 5 dicembre 1924, detto “Micu u Scagghiuni”, il principale protagonista, nel 1992, raccontano i magistrati antimafia, della pax mafiosa sancita a Sinopoli.

Don Micu è morto di morte naturale un anno fa, il 26 luglio 2010, nella sua abitazione di Sinopoli. Dopo essere stato portato in carcere, Micu Alvaro, a causa delle sue precarie condizioni di salute, era stato trasferito negli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria. Successivamente le condizioni di Alvaro erano peggiorate ed il boss era stato portato nella sua abitazione.

L’anziano Don Micu era stato colpito da provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso nel corso dell’operazione Crimine scivolata sull’asse Milano-Reggio, in quanto ritenuto responsabile del reato di associazione di stampo mafioso “con la qualità di capo e organizzatore dell’associazione mafiosa ‘ndrangheta nonché capo del Locale di Sinopoli all’interno del quale dirigeva e organizzava il sodalizio, assumendo le decisioni più rilevanti, impartendo le disposizioni o comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, decidendo e partecipando ai riti di affiliazione curando rapporti con le altre articolazioni dell’associazione, dirimendo contrasti interni ed esterni al sodalizio, del locale di appartenenza”. Questo è quanto si legge a pagina 5 dell’ordinanza firmata il 28 febbraio 2011 dal Gip di Reggio Calabria Kate Tassone che a pagina 78 scriverà ancora: “E’ interessante il riferimento fatto da Oppedisano Domenico alle regole ribadite da Alvaro Domenico cl. 24 dato che conferma , ove residuasse dubbio alcuno, che benché sideralmente lontane dagli assetti che si immaginerebbero essere quelli di un’organizzazione criminale del terzo millennio, le regole che governano una delle piu’ potenti organizzazioni criminali del mondo sono incredibilmente arcaiche ma incrollabili, affidate all’autorevolezza dei loro custodi, tra i quali, un associato di lunghissimo corso come Alvaro Domenico cl. 24”.

Il 14 luglio 2010 viene sorpreso e arrestato in una contrada di Rizziconi (praticamente a casa sua) Cosimo Alvaro, 47 anni, latitante da oltre un anno, straconosciuto alle Forze dell’Ordine e considerato dai magistrati antimafia uomo di vertice della cosca. Probabilmente colui il quale ha preso il posto nella gerarchia del padre Domenico.

LA LETTERA AL COMPAGNO SANSONETTI

Se la mia ricostruzione è esatta – vi assicuro che c’è da perderci la testa su per li vari rami della folta famiglia – un fratello di Cosimo, figlio anch’esso di Don Micu, Antonio Alvaro, il 27 luglio ha scritto una lunga e letterata missiva (scritta da lui?) al direttore di una testata locale, Piero Sansonetti, giornalista di lungo corso comunista capitato chissà come e chissà perché alla corte della famiglia Citrigno.

La lunga premessa che avete letto sopra era indispensabile per leggere in filigrana quella lettera, messa in prima pagina e giunta esattamente un anno dopo la morte del padre, la cui memoria è stata familiarmente difesa a spada tratta dal figlio.

Nella lettera Antonio Alvaro – la cui ricostruzione paterna cozza con la storia familiare sopra meticolosamente e in minimissima parte ricostruita con le carte giudiziarie e dunque non con quelle veline delle Procure che nella missiva misteriosamente Antonio Alvaro richiama – dice in filigrana alcune cose straordinariamente interessanti.

Primo: chissenefrega che il sig. Questore di Reggio (il nome non viene fatto mentre altrove nomi e cognomi ci sono e vengono fatti ma poi vedremo) ha vietato che i funerali si svolgessero in forma pubblica (che a quanto mi risulta è un provvedimento eccezionale preso sempre nei confronti dei boss di mafia quando si corrono rischi di ordine pubblico). “Tutta la popolazione di Sinopoli ci ha comunque partecipato il suo cordoglio – scrive Antonio Alvarovenendoci a trovare a casa durante i giorni dedicati al lutto”.

Chiaro il messaggio: la famiglia Alvaro è stata omaggiata e riverita da “tutta Sinopoli”. Non sarà vero ma poco importa quando a parlare è il padrone di casa. E il padrone di casa non è certo il sig. Questore di Reggio Calabria né le Istituzioni e neppure la collettività amministrata.

Secondo: Antonio Alvaro critica in maniera feroce Don Pino De Masi (questa volta un nome e un cognome per quella Chiesa che non merita, come nel caso dello Stato, l’indifferenza, vale a dire la maggiore forma di disprezzo per ch
i non mette realmente paura, ma merita invece il riconoscimento e lo status symbol di “nemico” numero uno).

Don Pino De Masi è il vicario della Diocesi di Palmi-Oppido che ha negato il trasporto della salma nella Chiesa di Sinopoli ed è, soprattutto, il referente di Libera in Calabria.

La lettera di Antonio Alvaro si conclude con: “…la giustizia terrena e quella divina sono per fortuna due cose distinte e separate…”. Chiarissimo anche in questo caso il messaggio: “la giustizia terrena…

La risposta di Piero Sansonetti a questa lettera è stata inversamente proporzionale al commento che avrebbe meritato. Due capoversi stitici: “Io francamente, penso che Domenico Alvaro fosse un boss. E penso che anche i boss abbiano diritto al funerale pubblico”.

Ora, detto “francamente” che a nessuno frega nulla del giudizio personale di un giornalista su Don Micu, visto che parla la storia familiare e parlano da ultimo le carte giudiziarie del Crimine e detto che affermare che una persona come Don Micu ha diritto ad un funerale pubblico vuol dire non solo non capire una beata fava delle dinamiche criminali al Sud (e non solo) ma vuol dire anche e soprattutto accompagnarsi al coro di chi disprezza coloro i quali quelle decisioni prendono (cioè lo Stato attraverso la Prefettura e la Questura), quel che lascia perplessi è che di questa lettera siano stati evasi nella risposta i due concetti chiave che ho sopra descritto.

Non sono state, cioè, date risposte a chi ha sottolineato non tanto la verginità giudiziaria paterna (atto dovuto e comprensibile) quanto l’indifferenza verso lo Stato e la critica verso chi, quella Chiesa che si sovrappone all’associazionismo antimafia non di facciata, costituisce tra i pochi argini eretti in Calabria alla strapotenza della ‘ndrangheta.

ALVARO E LA POLITICA

Non capire e non colpire con l’inchiostro queste cose è drammatico, soprattutto nel momento in cui la magistratura reggina, concentrata sui colpi all’ala militare della mafia, è del tutto distratta sul fronte ‘ndrangheta-politica-massoneria e servizi deviati che da sempre governano questa terra maledetta dalle cosche e benedetta da quel che resta di una Chiesa che ha spesso paura anche della propria ombra.

Non dimentichiamo, infatti, che si stanno muovendo proprio ora pedine importanti sullo scacchiere politico calabrese. E gli Alvaro sono tra i dominus (si veda il mio post in archivio del 20 agosto 2010).

Secondo un’informativa della Polizia di Stato del 12 febbraio 2007, depositata presso la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, la cosca Alvaro ha avuto un ruolo vitale nelle elezioni amministrative del 2005 (le influenze su quelle di quest’anno, stradominate dal voto criminale, le scopriremo tra qualche anno).

Nel quinto capitolo dell’informativa si legge testualmente che gli Alvaro avevano presentato due uomini (non posso fare i nomi perché la richiesta di cui parlo non ha mai visto purtroppo la luce ma uno di questi nomi dice tutto) anche se al suo interno la cosca non appariva così unita. Leggete qui un passo intercettato tra un avvocato e un Alvaro.

Avvocato: “…gli Alvaro se votano per gli Alvaro mi fa piacere e non mi permettevo mai di andare là ma gli Alvaro che votano per…OMISSIS… (dietro l’omissis si nasconde il potentissimo politico calabrese nei confronti dei quali la Procura di Reggio non riuscirà a spiccare l’ordine di arresto e secondo la quale ha contatti ad altissimo livello con tutte le cosche calabresi, ndr)…mi fanno arrabbiare ha detto! Basta ora vi faccio parlare con suo figlio o con suo genero…

Buona Calabria a tutti ed evviva la libera stampa calabrese!

Lunga vita a te, caro amico Pino De Masi.

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 00.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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