Il paradosso di Napoli: Carabinieri, Polizia, Dia, pm e Gdf contro la camorra ma l’un contro l’altro armati

A Napoli da anni l’anomalia nella lotta alla camorra e alle illegalità è la regola. Nonostante le anomalie i successi non mancano (anche se è indubitabile che la furia dei clan sia come la coda delle lucertole: gliela tagli e quella, piano piano, ricresce).

Vi racconto, per iniziare la riflessione su quanto sta accadendo a Napoli, un episodio personale. Alcuni mesi ero in quella città per un’inchiesta e – come faccio solitamente – contattai alcune fonti tra gli organi investigativi. Mi trovo a prendere un caffè con una di queste persone ma avevo capito che c’era qualcosa di strano. L’appuntamento, preso al telefono, sembrava un dialogo in codice tra un agente segreto e uno sprovveduto (io). Mezze parole, mezze frasi, fretta e concitazione da parte dell’interlocutore. Scioltezza e battute da parte mia.

Ci incontriamo e lo scenario è comico. Mezz’ora di chiacchierata. O meglio: io parlo. Dall’altra parte scena muta e fare circospetto in una saletta riservata di un bar del centro, salvo l’ammissione finale di fronte al mio imbarazzo. “Robè qua simm tutt intercettati. Nun parlamme. E’ nu casino. Tutti contro tutti. Damme retta. Hai visto l’inchiesta su Bisignani? Ti sei chiesto perché la Procura non ha delegato la Gdf di Napoli per le indagini e i riscontri più riservati? Meglio che al telefono nun parlamme cchiù. Questa è la mia mail personale. Scrivimi ma non ti aspettare risposte”.

Nella mia somma ingenuità – visto che dell’inchiesta Bisignani mi importava zero – non mi ero fatto quella domanda ma, con il senno del poi e a mesi di distanza, con le notizie che stanno uscendo sulle frequentazioni di Bisignani tra gli alti gradi della Gdf, non mi stupisco più.

Il punto, però, è che Napoli oggi rappresenta un pericoloso caso di studio su come tutti siano contro tutti – Gdf, Procura, Dia, Carabinieri, Polizia di Stato – eppure i risultati nella lotta alla camorra arrivano: boss arrestati, manovali della camorra decimati, immobili sequestrati o confiscati. Semmai c’è da domandarsi perché la politica riesca a farla sempre franca nelle indagini ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano, fin dentro le aule parlamentari che non rilasciano le autorizzazioni a procedere anche quando perfino i bambini sanno che certi politici campani sono mafiosi in doppio petto.

C’è da chiedersi se il successo nella lotta alla camorra sia l’ennesimo miracolo di San Gennaro e il tutto-contro-tutti non sia una ferita della democrazia sopportata negli ultimi anni, che non sarà priva di conseguenze. A mio modesto parere, infatti, così non può durare.

LE TAPPE DEL CALVARIO: LA DIA “PARALLELA”

La vicenda che ha travolto il capo della Squadra mobile di Napoli, Salvatore Pisani, che proprio ieri ha sostenuto un interrogatorio di 5 ore respingendo ogni addebito, accusato di avere spiacevoli frequentazioni con il clan Lo Russo, in realtà è dunque l’ultima tappa di un calvario che sta sconvolgendo pezzi dello Stato vitali nella lotta alla camorra.

Molti se ne sono dimenticati ma solo nel gennaio 2011 (cioè solo sei mesi fa) un finanziere e due poliziotti, già indagati da tempo, furono arrestati nell’ambito dell’inchiesta sulle investigazioni illegali della Dia, la Direzione investigativa antimafia. Tutti e tre erano già stati sospesi dal servizio.

La Dia è stata travolta da quell’indagine – avviata circa 3 anni fa – che ipotizzava una vera e propria “Dia parallela” all’interno della Dia ufficiale che divulgava segreti che sarebbero dovuti restare segreti.

Una cosa da brividi che è rimasta confinata all’interno della Campania anche e perché le Istituzioni sono state brave a relegarla. Ora è la stessa Dia che sta indagando su Pisani.

I DISSAPORI IN PROCURA

Tra l’estate 2008 e la primavera 2009 si aprì un altro spinoso e delicato capitolo: quello che vide il capo della Procura di Napoli, Giandomenico Lepore (che grida contro il senso di impunità della politica) in polemica con i suoi vice, Aldo De Chiara, coordinatore del pool “Ambiente ed ecologia”, Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, che contestarono lo stralcio delle posizioni di sette indagati, fra i quali Guido Bertolaso e Alessandro Pansa, dall´elenco degli imputati dell´inchiesta su presunti illeciti nella gestione della crisi rifiuti.

Scelta che sarebbe stata motivata dal procuratore anche con l´intento di non turbare il Governo.

Lepore ribadì di aver ritenuto lo stralcio necessario per garantire il diritto di difesa a quegli indagati che non erano stati raggiunti da ordinanza cautelare e aggiunse di aver «doverosamente soppesato limiti e conseguenze che un´iniziativa giudiziaria in quel momento ancora incompleta avrebbe potuto riflettere sull´emergenza rifiuti che in quei giorni tanto drammaticamente interessava il nostro territorio».

Quella polemica finì anche davanti al Csm e rappresentò, comunque, un momento di grave rottura e turbamento all’interno dei già delicati equilibri giudiziari.

TOCCA AI CARABINIERI

Esattamente un anno fa, a luglio, fu la volta di un’accusa devastante: connivenze con la camorra formulata dal capo della Squadra mobile di Napoli, sì proprio Vittorio Pisani, contro Fabio Cagnazzo, il Tenente colonnello dei carabinieri a capo del nucleo investigativo di Castello di Cisterna trasferito poi a Roma. L’ufficiale ha al suo attivo arresti di boss, sequestri di droga alla camorra per migliaia di euro.

L’accusa era contenuta in una informativa depositata in Procura.  “Non sono neanche arrabbiato per queste accuse di connivenza con la camorra, tanto sono tranquillo – disse il tenente colonnello dei carabinieri al Corriere del MezzogiornoLa giustizia farà il suo corso, nel bene e nel male. Io, nella lotta contro la camorra, ho vinto. Il mio reparto ha vinto, la giustizia ha vinto. I risultati parlano e parleranno. In giro ci sono tanti millantatori”. Il procuratore capo della Repubblica di Napoli, Lepore, smentì qualsiasi indagine a carico di Cagnazzo, affermando di essere completamente all’oscuro di qualsiasi iscrizione in un registro degli indagati.
In una nota congiunta della Questura di Napoli e del Comando provinciale dei Carabinieri di Napoli sull’informativa depositata in procura, che si baserebbe anche su intercettazioni e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, si sottolineò la “comune volontà di eliminare ogni ombra”. “I rapporti tra la Questura e il Comando Provinciale dei Carabinieri di Napoli sono connotati da un clima di intensa e di proficua collaborazione – si leggeva nella nota – l’assoluta ed armoniosa condivisione degli intenti e delle responsabilità corrisponde, sul piano interpersonale, a rapporti di amichevole cordialità e forte e sentita stima a tutti i livelli, con grandi benefici nell'efficacia dello sforzo espresso nel contrasto alla c
riminalità e nella gestione delle mille problematiche di ordine e sicurezza pubblica del territori'.'Anche in questo caso si riscontra quindi la ferma e comune volontà di eliminare ogni ombra e di pervenire alla piena comprensione dei fatti, fornendo tutta la collaborazione dovuta all'Autorità Giudiziaria alla quale sono rimesse le valutazioni di merito
”.

Sulla scrivania del procuratore Giovandomenico Lepore arrivò un documento firmato da 25 pm della Direzione distrettuale Antimafia (la stessa che adesso conduce l’indagine che vede coinvolto il capo della Mobile) con la quale i magistrati esprimevano stima e solidarietà all’ufficiale. «I sottoscritti sostituti — si leggeva nel documento — avendo appreso del trasferimento ad altro incarico del tenente colonnello Fabio Cagnazzo, con la presente intendono rappresentarle, affinché la signoria vostra voglia renderne partecipe l’interessato ed i vertici della sua scala gerarchica, il loro più vivo e sentito apprezzamento per l’encomiabile lavoro svolto, in questi ultimi dieci anni, dal predetto ufficiale, come comandante dapprima della compagnia di Nola e successivamente del reparto operativo — nucleo investigativo del gruppo carabinieri di Castello di Cisterna, essendosi egli distinto per le non comuni capacità di investigazione, di lealtà alle istituzioni, di coordinamento e di motivazione del personale dell’Arma alle sue dirette dipendenze, che hanno consentito a questa Dda di ottenere eccezionali risultati nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata e di prevenzione e repressione dei reati sul territorio ricadente nella sua giurisdizione. Per tutti basti ricordare la cattura di 180 latitanti e la disarticolazione delle strutture criminali agli stessi riferibili».

Come si fa in questo clima a non essere maligni e a non pensare che il risultato della partita dello sputtanamento Carabinieri-Polizia sia (per il momento) fissato sull’1 a 1?

LA MONICA E BISIGNANI

A questo inquietante quadretto di polemiche, accuse e arresti di appartenenti alle Forze dell’Ordine e/o della magistratura l’un contro l’altro armati, ci mancava solo lui. Due lauree, 43 anni, piccolo di statura, alcune malelingue dicono che per 7 anni è stato l’amante di un magistrato donna della Procura distrettuale antimafia di Napoli. E’ Enrico la Monica, maresciallo dei carabinieri del Ros, indagato nell’inchiesta sulla presunta loggia P4 (appunto Bisignani & Co) a cui lavorano, a Napoli, i magistrati John Woodcock e Francesco Curcio, oltre al procuratore aggiunto Francesco Greco.

Pesanti le accuse contro di lui: avrebbe utilizzato notizie riservate di matrice giudiziaria per scopi illeciti, in particolare per favorire le trame della cosiddetta loggia segreta di cui farebbero parte protagonisti della politica, della finanza, delle istituzioni.
Il maresciallo indagato, che attualmente si troverebbe in Senegal dalla moglie e dal figlio, operò prima al nucleo operativo dei carabinieri e poi al Ros, il reparto investigativo. Per lunghi periodi è stato distaccato alla procura di Napoli, con compiti di polizia giudiziaria.

LE RIFLESSIONI DI CANTONE

Raffaele Cantone, magistrato antimafia tra i più limpidi e degni che la Campania abbia mai avuto, sul Mattino del 2 luglio ha scritto un’interessante riflessione. Riferendosi all’inchiesta che coinvolge il capo della Squadra mobile Pisani scrive: “…Se tutto questo sarà dimostrato, ci si troverebbe in presenza di un rappresentante per eccellenza di questa nuova borghesia criminale che ha sempre meno le stimmate della mafiosità e riesce a muoversi, a proprio agio, in più ambienti contemporaneamente. Un ruolo possibile soprattutto in una città come questa: in una Napoli delle sabbie mobili dove gli uomini-cerniera tra clan e colletti bianchi vivono perfettamente adattandosi e diventando protagonisti, trasversalmente, dei mondi più vari. E questo interloquire con tutti rende tutto più complicato, meno leggibile ed opaco. Occorre per tutti avere enorme attenzione, a cominciare, sul piano personale, dalle amicizie e frequentazioni tenute dai rappresentanti delle istituzioni, amicizie e frequentazioni innocue che possono diventare strumento di potere per questa nuova classe di mafiosi dal colletto bianco. Perché questa borghesia mafiosa è capace ormai di inghiottire e coinvolgere tutti. È indispensabile, se si vuole davvero vincere la lotta alle mafie arginare e ridimensionare questa nuova borghesia mafiosa, e per far ciò occorre un impegno comune. Tutti i mondi, da quelli delle professioni alla società civile, devono mettere una barriera per evitare che questo grigio ormai imperante a Napoli appanni completamente la città. Ma, per prima cosa, serve un nostro impegno da cittadini. Perché se i pm, con le loro indagini sempre più approfondite (per fortuna), raccontano scenari e contesti già avvenuti spetta a noi, professionisti, società civile, semplici cittadini, costruire buoni anticorpi e tenersi lontani da questa nuova borghesia mafiosa, stigmatizzando chi entra in contatto con questa borghesia criminale e cercando di capire, in anticipo, tutte le situazioni e i contesti che tendono a ingrigirsi. Altrimenti questo grigio diventerà il colore dominante della nostra città”.

Riflessione condivisibile al 100% ma mi domando: non sarà forse che questa zona grigia alla quale fa riferimento Cantone, ha già preso possesso da anni delle stanze dei bottoni campane, comprese quelle, latu sensu, della giustizia e della sicurezza?

r.galullo@ilsole24ore.com

p.s. Invito tutti ad ascoltare la mia trasmissione su Radio 24: “Sotto tiro – Storie di mafia e antimafia”. Ogni giorno dal lunedì al venerdì alle 6.45 circa e in replica poco dopo le 00.05. Potete anche scaricare le puntate su www.radio24.it. Attendo anche segnalazioni e storie.

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  • Christian Ciavatta |

    C’è un problema enorme nel comprendere la realtà quando si parla di mafia. Sbaglia chi dice che le Istituzioni italiane devono “prevenire” le infiltrazioni mafiose nella politica, nell’economia ecc. Queste sono cose che si possono dire in altri Paesi. In Italia dovremmo iniziare a pensare di dovere “estirpare” un dominio mafioso che occupa prepotentemente molti luoghi del potere amministrativo, politico, sociale ed economico, e che si trova in quelle posizioni da più di un secolo !

  • simone villa |

    ….così si può fare subito un bel golpe…no grazie..meglio questi disagi…

  • Giuseppe |

    Ma la vecchia idea di accorparle tutte è tramontata?
    Al di la dei vantaggi di coordinmento delle non-scarse risorse umane sa che diminuzione di sprechi con un solo parco auto, un solo servizio elicotteri etc… ricordo che per problemi di costo la gloriosa RAF e la ancor più gloriosa aviazione della Royal Navy si son fuse da un bel pezzo.

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