Perché la mafia è sempre più forte? Ovvio: è un mercato illegale regolato dalla legge domanda-offerta

Il 6 aprile su questo blog ho analizzato una parte della relazione – che trovo illuminante e che distribuirei in ogni scuola italiana – che Roberto Scarpinato, Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta, ha presentato a Bruxelles lo scorso 29-30 marzo nell'ambito delle discussioni al Parlamento Europeo "Verso una strategia europea per combattere il crimine organizzato transnazionale".

Oggi analizzo una seconda parte che, nella sua relazione, Scarpinato ha preceduto alla parte relativa alla nascita dei “sistemi criminali” che hanno soppiantato le mafie (si veda in archivio il post).

La realtà dei “sistemi criminali” serve per rispondere a una domanda devastante: perché le mafie sono sempre più forti?

Probabilmente se questa domanda la faceste a sociologi, politici, politologi o criminologi, ricevereste le risposte più disparate.

La domanda – in realtà – andrebbe fatta ad un economista oppure – ed è il nostro caso – ad un magistrato che dell’analisi dell’economia criminale ha fatto una ragione di vita.

La risposta è semplice (attenzione: il contrario di banale) e disarmante. “L’offerta di beni e servizi illegali – spiega Scarpinatoderiva dall’esistenza di una fortissima domanda che proviene dalla società civile. I criminali esistono e prosperano  perché milioni di cittadini chiedono di acquistare beni e servizi illegali. Essi sono lo specchio che riflette i vizi segreti di tanta gente comune nei più disparati paesi del mondo.
Dunque la parte più consistente dell’attività criminale è classificabile come un fenomeno di mercato regolato dalle leggi della domanda e dell’offerta. La domanda di beni e servizi offerti dalle mafie ha assunto dimensioni macroeconomiche, non più governabili solo con gli strumenti del diritto penale,  a seguito della globalizzazione dell’economia mondiale che ha ampliato a dismisura la quantità dei consumatori finali e dei beni offerti
”.

E l’esempio che subito dopo il magistrato sottopone all’attenzione del Parlamento europeo è calzante: il mercato mondiale della cocaina. In questo modo riesce a spiegare le relazioni strutturali  esistenti tra dinamiche del  mercato globale e crescita della criminalità transazionale.

Alla fine degli anni Ottanta il mercato mondiale della cocaina era limitato solo ai paesi occidentali ed  era già saturo, tanto che i prezzi dello stupefacente si erano ridotti per divenire accessibili anche a nuovi consumatori delle fasce meno abbienti della popolazione.
La situazione è completamente mutata, quando a seguito della globalizzazione, si sono aperti immensi mercati di nuovi potenziali consumatori.
La nascita di una  nuova borghesia abbiente di circa 250 milioni di persone in Cina che aspira a modelli di vita consumistica di tipo occidentale, la progressiva crescita del reddito medio delle popolazioni dell’Est europeo e dei paesi emergenti, hanno posto le basi per la crescita di un nuovo mercato globale di consumatori di stupefacenti, che viene stimato nella misura del  15% della popolazione mondiale nell’arco del prossimo ventennio.
L’espansione globale in tempi così rapidi del mercato della droga all’intero sistema mondo – spiega Scarpinatorenderebbe impotenti gli apparati di repressione penale nonostante tutti gli sforzi di cooperazione internazionale, tenuto anche conto che tutte le politiche di eradicazione delle  piantagioni sin qui sperimentate si sono rivelate fallimentari. Gli introiti derivanti dal nuovo mercato mondiale della droga subirebbero un salto di scala  tale da consegnare alle organizzazioni criminali transnazionali una quota di ricchezza, e quindi di potere globale, superiore a quella degli stati e delle più grandi multinazionali.
La successiva trasformazione in termini politici di tale potere economico comporterebbe la costruzione di una nuova gerarchia di fatto tra i poteri del mondo.
Per questo motivo, alcuni prevedono che la politica di liberalizzazione delle droghe costituirà prima o poi  uno sbocco inevitabile imposto dalla sproporzione delle forze in campo”
.

La legge della domanda e dell’offerta – attenzione – porta come conseguenza anche il fatto che si scateni sul mercato illegale la legge darwiniana della selezione, come testimonia il mercato della prostituzione. Fino a pochi anni fa il mercato era “domestico” e dunque gestito da attori locali. Oggi il mercato è globale e dunque i players sono attori criminali mondiali. Innanzitutto le grandi organizzazioni mafiose.

Anche la risposta dovrebbe essere mondiale e non locale ma se non si riesce ad armonizzare le legislazioni europee in materia di lotta alla criminalità organizzata, figuriamoci se si possono mettere d’accordo Stati di continenti diversi (come sarebbe invece vitale!).

Ecco un altro motivo per il quale le mafie sono sempre più forti: l’egoismo nazionale e la cecità della politica. Ma questo lo dico io, non lo dice Scarpinato. Chissa se approverebbe: credo di sì.

r.galullo@ilsole24ore.com

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Differenza tra la ‘ndrangheta romana e quella milanese: ruoli capovolti e la capitale della finanza diventa Roma

 

Leggendo in questi giorni – come tutti voi – i servizi sulla truffa che sarebbe stata perpetrata a Roma a danno di (più o meno) facoltosi clienti di Gianfranco Lande, mi sono venute in mente alcune riflessioni che sopivano, forse da qualche tempo.

Tra le varie cronache che hanno riportato il coinvolgimento, tutto da provare, della ‘ndr
angheta, riporto questo pezzo dell’articolo scritto il 4 aprile da Federica Angeli per Repubblica edizione romana: “Spuntano poi, nella lista dei mille e duecento, altri inquietanti personaggi legati alla malavita organizzata. Oltre ad alcuni esponenti del clan della 'ndrangheta dei Piromalli, gli inquirenti stanno approfondendo gli accertamenti nell'ipotesi che per le mani del finto broker sia passato anche altro denaro di dubbia provenienza. Il sospetto è che dietro il grande volume di investimenti si celi un'attività di riciclaggio di denaro di provenienza illecita. Ben 14 milioni di euro – dei 170 che avrebbe complessivamente gestito Lande – gli sarebbero stati consegnati da Antonio e Giuseppe Piromalli, nonché da Antonio Coppola, legato al clan 'ndranghetista per mano di Matteo Cosmi, un commercialista di Forlì già coinvolto nell'inchiesta sulla P3”.

Due giorni prima, la stessa collega e Francesco Viviano, avevano scritto: “Alcuni esponenti della famiglia Piromalli avevano consegnato 14 milioni di euro a due imprenditori di Forlì, un commercialista e un broker, già indagati per riciclaggio. I due danno quel denaro a Lande che a sua volta lo investe alle Bahamas. Il clan ' ndranghetista viene poi a sapere che quei soldi sono finiti nelle mani di Lande e che sono spariti. Quindi vanno da lui a chiedere di riavere immediatamente quel denaro. Ma la restituzione tardava ad arrivare, così i Piromalli si presentano a casa di Lande e minacciano di uccidere lui, la moglie e la figlia. Così il finto broker riconsegna al clan circa 10 milioni di euro. Questo quanto depositato nella denuncia presentata da Gianfranco Lande in procura, prima di essere arrestato. Gli accertamenti della Finanza ora lavorano dunque, oltre alla truffa, a verificare il giro di riciclaggio del denaro di provenienza illecita”.

Ora – per chi non lo sapesse – la cosca Piromalli è di casa tanto a Roma quanto a Milano. Nella capitale lo è molto, ma molto di più di quanto non si possa credere. Un amico magistrato mi ha confidato che in un’inchiesta di parecchi anni fa i fili delle ragnatela della cosca Piromalli arrivavano ad avviluppare ambienti inimmaginabili della città eterna.

Il caso Lande-Piromalli (se ovviamente sarà provato secondo quanto appare al momento logico pensare) permette di fare una riflessioni di carattere generale. La ‘ndrangheta a Roma, da tempo non investe i capitali sporchi nelle sole attività “imprenditoriali”. Da tempo, oltre a riciclare in beni immobili e imprese (dall’edilizia al settore immobiliare, dal commercio al turismo), le cosche si avventurano in operazioni finanziarie. In vere e proprie speculazioni – anche per interposta persona – che servono per ripulire il denaro sporco. Operazioni immateriali, dunque, che si accompagnano ad un altro obiettivo: il finanziamento della politica. Nessuno ne parla ma Roma – capitale della politica sporca più sporca – è un crocevia pazzesco di soldi che afflusicono nelle casse dei partiti o finiscono nelle attività di propagnada, da parte di personaggi vicini alle mafie.

Nel Nord – da Torino a Padova, passando per Milano e Bologna – questo non sembra accadere. Impossibile, certo, negare che capitali mafiosi entrino nelle speculazioni finanziarie ma la stragrande maggiornaza delle risorse è impiegata nell’impresa. Nei beni materiali e non in quelli virtuali. Tutte le recenti inchieste della magistratura milanese lo dimostrano. Così come, appena pochi giorni fa, ha rivelato la Procura di Santa Maria Capua Vetere per i capitali del cosiddetto re dei rifiuti dei Casalesi, investiti in un’impresa padovano che opera nell’ambiente.  Non si tratta di ‘ndrangheta, si tratta di camorra ma il ragionamento è lo stesso.

Una riflessione sul tema l’ha fatta recentemente anche Roberto Scarpinato, Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta presentata a Bruxelles lo scorso 29-30 marzo nell'ambito delle discussioni al Parlamento Europeo "Verso una strategia europea per combattere il crimine organizzato transnazionale".

Nei territori del centro Nord – ha riferito in quella straordinaria audizione – gli esponenti della criminalità organizzata si limitano infatti ad acquisire spesso solo quote di partecipazione societaria di  minoranza. Ciò che conta è riciclare il denaro, disseminare il capitale mafioso in un numero elevato di imprese operanti nel territorio e creare una fittissima rete di complicità tra soggetti coinvolti a vario titolo in affari illeciti. In tal modo si crea un clima generale di omertà e di silenzio sull’attività di occulta colonizzazione di intere zone del territorio da parte dei mafiosi.
Silenzio che arriva al punto di coprire anche le attività di estorsioni classiche attuate a danno di piccoli operatori economici operanti in quegli stessi territori. In un procedimento penale che nel marzo del  2011 ha condotto all’arresto di trentacinque esponenti della ’ndrangheta in Lombardia,  il giudice del Tribunale di Milano  che ha emanato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere,  ha scritto  testualmente “L’impresa mafiosa ha raggiunto un preoccupante livello di accettazione sociale” nel senso che “ i vantaggi di cui gode l’impresa mafiosa non vengono (quasi) mai stigmatizzati dalle imprese sane, che preferiscono subire in silenzio ovvero entrare in affari con gli indagati e non denunciare
”.

A Roma c’è più gusto a fare la bella vita (molti locali della movida sono delle mafie), la finanza speculativa (attraverso broker imbroglioni) e comprare la politica (con la corruzione a suon di bigliettoni e favori).

r.galullo@ilsole24ore.com

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